Beetlejuice – Spiritello porcello è ancora un adorabile delirio

Beetlejuice – Spiritello porcello rimane ancora oggi una cascata di creatività e follia che va oltre i suoi (pochi) difetti

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Dimenticatevi per un attimo l’esistenza di Beetlejuice Beetlejuice, i dubbi e le speranze che riponete in questo sequel inaspettato, il rischio di rovinarvi l’infanzia o la gioia nello scoprire che Tim Burton è tornato in forma. Fate come noi e ritornate alle origini: che meraviglia è riguardare oggi Beetlejuice – Spiritello porcello (forse il peggior titolo italiano di sempre) e constatare che è ancora un piccolo, sbilenco capolavoro! Un film che contiene i semi di quello che diventerà Tim Burton con i film successivi, ma conserva ancora tracce di quella comicità slapstick con la quale il regista aveva giocato nel suo esordio Pee-wee's Big Adventure; che fa ridere come forse non succederà più nella carriera dell’uomo con i capelli strani, ma che ha anche un cuore grande così, facendo presagire quello che accadrà creativamente parlando con i vari Edward mani di forbice e Big Fish.

Beetlejuice – Spiritello porcello e la morte

Beetlejuice – Spiritello porcello è un film che parla prima di tutto di morte. Quella che si porta via, in una delle sequenze introduttive più scioccanti della storia delle commedie cinematografiche, quelli che di fatto sono i due protagonisti del film, interpretati dagli adorabili (e perfettamente in sintonia) Alec Baldwin e Geena Davis. Il film è in ultima analisi la storia di come due persone felici e innamorate debbano venire a patti con il fatto di essere morti, e di aver quindi perso in pochi secondi tutto quello che avevano faticosamente costruito fin lì – e che già rischiava di venire loro sottratto a causa della proverbiale e atavica avidità dell’essere umano.

Riformuliamo: l’aspetto più interessante di Beetlejuice – Spiritello porcello è che il film potrebbe funzionare benissimo anche senza il demone che gli dà il titolo. I coniugi Maitland sono una coppia di protagonisti fortissima, grondante star power e messa dalla sceneggiatura in una situazione che è già interessante di suo – e che peraltro verrà ripresa da parecchi film negli anni a seguire, pensate solo a The Others che racconta la stessa storia con un approccio più francamente orrorifico. Il conflitto con i nuovi abitanti della loro casetta, gli insopportabili Deetz, è materiale sufficiente a costruirci intorno un film fatto e finito, e anche in termini di (glab) worldbuilding Burton introduce abbastanza dettagli deliziosi da dare una caratterizzazione fortissima alla situazione. C’è l’Aldilà immaginato come un inferno burocratico e kafkiano, le regole sul mostrarsi o meno ai vivi, tutta roba che Beetlejuice – Spiritello porcello ci presenta quasi en passant e che oggi basterebbe a riempire sei stagioni di una serie TV.

Il barocchismo di Burton

Insomma, Beetlejuice – Spiritello porcello è un film barocco se non addirittura rococò, un’opera piena, a volume sempre altissimo (merito anche della colonna sonora di Danny Elfman), che trasforma la morte in un circo dove questa parola è usata con accezione positiva. È chiaro che si tratta di un’opera per la quale Burton ha avuto libertà creativa sostanzialmente assoluta. Prendete la regola base del film, il fatto cioè che i due cari estinti non possano uscire di casa. Altrove questa regola sarebbe stata declinata nel modo più lineare possibile: la porta d’ingresso non si apre, oppure c’è una barriera invisibile che impedisce loro di attraversare la soglia.

Burton decide invece che, quando i coniugi Maitland provano a uscire di casa, finiscano intrappolati sul deserto di Saturno, popolato da giganteschi vermi delle sabbie. È una scelta delirante e psichedelica, resa ancor più efficace dall’aspetto bizzarro e artigianale che hanno i pupazzoni carnivori; e dal set extraterrestre, che pare uscito da una puntata della serie originale di Star Trek. Burton riesce nell’impresa di mettere dentro al film tutto il pulp che gli viene in mente, tra momenti sci-fi che potrebbero essere usciti da un vecchio Urania e scene quasi da body horror, tra teste decapitate e volti deformati. Beetlejuice – Spiritello porcello ha una personalità strabordante, che pochissimi autori sono riusciti a esprimere con questa forza già dal loro secondo film (e primo non su commissione).

E poi c’è Beetlejuice, ovviamente

I discorsi fatti finora non hanno ancora preso in considerazione lo spiritello porcello del titolo – non è un caso che qualche recensione dell’epoca si fosse lamentata della scarsa presenza a schermo di Michael Keaton. Non siamo del tutto d’accordo: il futuro Batman è talmente fuori controllo che ogni tanto risulta quasi ingestibile; averne di più forse avrebbe appesantito Beetlejuice – Spiritello porcello, e avrebbe trasformato quella che di fatto è una storia corale (nella quale peraltro Winona Ryder è di fatto l’alter ego ideale per quanto genderswappato dell’autore) in un assolo di delirio.

Beetlejuice, o Betelgeuse come sarebbe corretto chiamarlo, è una scheggia impazzita in un mondo nel quale gli unici sani di mente sono i due che muoiono dopo pochi minuti. Riesce a spiccare sullo sfondo di deserti alieni e cimiteri gotici; è un personaggio semplicissimo e idiota, ma contemporaneamente complesso dal punto di vista narrativo perché incarna in sé la figura del protagonista, del villain e pure del deus ex machina. È un’invenzione nell’invenzione, e ogni volta che compare fa passare in secondo piano tutti i difetti e i dubbi che si possono avere su un film che è comunque imperfetto, soprattutto in termini di scrittura dei personaggi secondari (il signor Deetz su tutti, che cambia personalità da una scena all’altra in modi non sempre giustificati). È un delirio in un mondo già delirante, capace di far ridere e disgustare nella stessa scena. È vero, Beetlejuice – Spiritello porcello funzionerebbe anche senza Betelgeuse; ma non avrebbe quella carica anarchica che ancora oggi, a quasi quarant’anni di distanza, lo rende uno dei migliori film di Tim Burton.

Beetlejuice Beetlejuice uscirà nelle sale italiane il 5 settembre

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