Bayonetta | Giochi del Decennio #3

Ripercorriamo i nostri videogiochi del decennio: oggi tocca a Bayonetta, tra stile e gameplay, dimostrare l'eleganza di uno stylish action intramontabile

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Prosegue la nostra selezione di Giochi del Decennio: oggi è il turno di Bayonetta, e fino a lunedì 23 dicembre, qui su BadTaste, vi racconteremo i migliori giochi usciti dal 2010 al 2019, al ritmo di uno al giorno.

Come si fa non inserire Bayonetta nella propria selezione dei videogiochi del decennio? Quando Platinum Games decide di non darsi una regolata, prendere l’eredità di Devil May Cry e costruire un erede con i controfiocchi, scegliendo come mattatrice uno dei personaggi più femministi che i videogiochi abbiano mai prodotto.

Sì perché chi ha davvero giocato Bayonetta, letto i dialoghi, ascoltato il magnifico doppiaggio squisitamente british, sensuale e altezzoso di Hellena Taylor (in Occidente, ovviamente), e capito a fondo la caratterizzazione di Cereza non può considerare sessista un personaggio del genere. Sexy? Sì. Fortemente spinto su un’estetica elegante? Anche. Con una bellezza in grado di stendere? Ovvio.

Ma la bellezza, la femminilità di Bayonetta è tutta al servizio dell’estetica, di un mondo che a 360° celebra il bello in ogni sua forma. Non sono magnifici gli angeli che durante l’avventura si mettono davanti alle (lunghissime) gambe di Cereza con lo scopo di abbatterla? Le quali, oltre a ospitare un secondo paio di pistole o di altre armi varie ed eventuali, diventano uno strumento per mettere in scena delle cutscene al cardiopalma, come praticamente ogni scontro con Jeanne durante l’avventura. Non si vedono tutti i giorni dei combattimenti tra due spilungone affascinanti che si prendono a calci, mentre contemporaneamente si sparano a un centimetro dal viso.

Bayonetta rappresenta in generale una costruzione di un mondo che è unico ancora oggi dopo dieci anni. C’è quell’idea di urban fantasy nata dal genio della premiata ditta Kamiya-Mikami, con diavoli, demoni e altre amenità che vivono nel mondo reale e possono essere sconfitti solo da individui altrettanto unici. Stavolta c’è il conflitto tra luce e oscurità, paradiso e inferno, santi e streghe. Un immaginario che è un instant classic e che è perfettamente coeso con tutto il resto del gioco.

Per non parlare, ovviamente, del gameplay che rappresenta il fulcro della produzione. Il gimmick dei Platinum Games, quella singola idea intorno a cui lo studio costruisce sempre un combat system, che risiede nella schivata da fare un tempismo. Un’idea che successivamente verrà ripresa dallo studio, ma che in questo caso fa il suo esordio e diventa parte centrale del frenetico combo system.

Rigiocandolo di recente, fomentati - lo ammettiamo - dal recente annuncio dell’arrivo della versione rimasterizzata anche su PlayStation 4, abbiamo ritrovato con grande sorpresa un livello di sfida sorprendentemente feroce anche già alla difficoltà normale. Una cosa che Astral Chain non ha, ad esempio, rappresentando generalmente una sfida più abbordabile.

Sebbene il secondo capitolo sia riuscito a surclassare il precedente in tutto, anche rielaborando il design di Bayonetta senza lasciare da parte nemmeno un briciolo del suo carisma, è con l’episodio datato 2010 (in Europa) che è cominciato tutto, ed è giusto celebrarlo come si deve. Aspettando Bayonetta 3, e riascoltando nel frattempo il meraviglioso arrangiamento di Fly Me to the Moon (la trovate poco più sopra), traccia che esplode durante i combattimenti più pirotecnici.

Estetica, bellezza, musica, character ed environment design, e gameplay, tutti uniti sotto l’unica egida del: let’s dance, boys!

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