Battlefield V: la donna soldato che sta facendo infuriare il mondo, tra realismo e parità dei sessi

Il reveal di Battlefield V si è trascinato dietro una serie di polemiche più o meno (in)comprensibili

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Poche ore fa, Battlefield V si è svelato al mondo e, come qualcuno pronosticava, anche DICE ed Electronic Arts hanno deciso di tornare nella Seconda Guerra Mondiale, come Call of Duty: WWII prima di loro, un anno fa.

Il trailer di presentazione è ovviamente spettacolare, squisitamente votato a rincorrere l’estetica e la narrazione di stampo cinematografico (quello d’azione e tutt’altro che introspettivo, si intende). Ci sono macchine che cadono da non si sa dove in testa a dei soldati, aerei che precipitano a fianco di gente che con tutta tranquillità si rialza e continua a correre sparando a caso, un’azione in una casa che sembra la crasi ideale tra una sequenza di John Wick e l’assalto a Sokovia in Avengers: Age of Ultron, ed infine una donna soldato con una protesi bionica al braccio sinistro.

Ehi, come una donna soldato? Ma durante la guerra non rimanevano in casa a preparare la cena per i loro maritini al fronte? La risposta di chi conosce un po’ la storia reale, magari raccontata da chi l’ha vissuta davvero e non dal cinema e videogiochi, dovrebbe essere un sonoro “no”. Perché le donne in guerra c’erano, fornivano supporto, si occupavano della logistica, e qualcuna, spesso, andava anche al fronte imbracciando il fucile (soprattutto in Russia).

Ma la donna di Battlefield V non va bene perché sacrifica “il realismo” e “l’attinenza alla realtà storica”.

[caption id="attachment_185343" align="aligncenter" width="1200"]Battlefield V key art Eccone un'altra, ma come si permette?[/caption]

Nello stesso franchise in cui, come nella stragrande maggioranza della produzione videoludica che mette in scena dei conflitti a dir la verità, i soldati corrono per svariati minuti senza avere il fiatone mentre indossano chili e chili di equipaggiamento, imbracciano armi pesanti e sparano in corsa senza mirare, sopravvivono a granate, vedono la propria energia ricaricarsi dopo una salva di proiettili, e tanto altro.

Le critiche a Battlefield V, che trovate nei commenti dei siti specializzati quanto nei social del gioco, sono sostanzialmente di due tipi: la completa lontananza da un minimo di verità storica, la stessa che DICE ed Electronic Arts hanno rimarcato di voler inseguire più volte, e la presenza delle donne e degli uomini di colore.

"Le critiche a Battlefield V, che trovate nei commenti dei siti specializzati quanto nei social del gioco, sono sostanzialmente di due tipi: la completa lontananza da un minimo di verità storica, la stessa che DICE ed Electronic Arts hanno rimarcato di voler inseguire più volte, e la presenza delle donne e degli uomini di colore"Sulla prima potremmo anche essere d’accordo, con dei distinguo molto importanti. Già nel comunicato stampa ufficiale, che vi abbiamo riportato su queste pagine, Electronic Arts ha usato la definizione “in una Seconda Guerra Mondiale mai tanto realistica”. Messa così, effettivamente è fuorviante. “Mai tanto realistica” è un’affermazione forte, che andrebbe soppesata e soprattutto affiancata da qualcosa di inconfutabile. Già il trailer mostra qualcosa di molto plausibile, perché non ci sono jetpack o altre soluzioni improbabili e davvero fuori luogo, ma niente di davvero realistico. Una incursione in una abitazione dove le esplosioni ravvicinate non danneggiano minimamente i soldati, che anzi si esibiscono in piroette, salti acrobatici e quant’altro. Molto plausibile, ma niente di realistico.

Comprensibile quindi il fastidio da parte di una certa parte dell’utenza, un po’ meno la comoda amnesia riguardo il passato della saga in particolare, e del genere in totale. Battlefield 1 riproponeva uno scenario di guerra di trincea trasformandolo in un war movie che farebbe ingolosire Micheal Bay, e nessuno si lamentò più di tanto, anzi, in quel caso venne molto lodato il realismo proposto da DICE. Una rivisitazione totale della realtà storica venne scambiata per realismo, oggi una donna che imbraccia un fucile con una protesi (non “bionica” come si legge in giro) al braccio non va bene.

Il secondo punto delle critiche di cui sopra, invece, è proprio fuori luogo. Non stiamo ancora a dibattere sull’eterno scontro tra politicamente corretto e scorretto, tra chi accusa di fascismo l’una e l’altra fazione per lo stesso motivo, ma il fatto che ancora oggi escono fuori questi discorsi è davvero deprimente. Ritorniamo al fatto che le donne dovrebbero stare al loro posto, e a tutto quel machismo che da sempre permea il mondo dei videogiochi e, se viene intaccato, provoca crisi di nervi ad una parte dei videogiocatori (molto più grande di quanto si spera che sia). Non ci siamo.

Non siamo d’accordo col “politicamente corretto a tutti i costi”. Abbiamo apprezzato Kingdom Come: Deliverance per come dipinge la società medievale dell’epoca, con tutte le sue luci ma soprattutto ombre. L’importante è cosa si intende comunicare ai propri utenti. Da un lato EA e DICE hanno sbagliato ad usare il termine “realistica”, perché richiama e richiede delle condizioni molto particolari. Dall’altro, però, i videogiocatori fanno molta fatica a definire questo stesso concetto. Gli FPS sono, per prima cosa, divertimento. Lo erano quando non avevano una trama ma solo una serie di mostri da abbattere, lo sono stati quando hanno iniziato a raccontare qualcosa, hanno continuato ad esserlo nel momento in cui ci hanno messi gli uni contro gli altri online. Il divertimento non fa rima con il realismo, quasi mai, e Battlefield V, come la sua illustre concorrenza deve scendere a compromessi.

Il trailer di Battlefield 1, osannato da tutta l’umana stirpe, che metteva in scena azioni di gioco al testosterone con un remix ruffiano di Seven Nation Army, a tempo con le esplosioni, era tutto meno che realistico. Eppure il gioco piacque, tant’è che affossò il Call of Duty di quell’anno. Battlefield V fa la stessa cosa, con una messa in scena più cinematografica e meno ruffiana, eppure è già una debacle per molti. Vai a capire il perché.

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