Battlefield 1 ha stupito tutti superando l’idea di realismo

Punta ad evocare e non a rappresentare: così Battlefield 1 mostra la propria diversità già nei primi dieci secondi di gioco

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Subito, fin dalle primissime immagini di battaglia, Battlefield 1 è evidentemente diverso da tutti gli altri giochi di guerra in soggettiva. Nonostante Call Of Duty sia un caposaldo che di nuova versione in nuova versione conferma la cura e la conoscenza che i diversi team hanno della maniera migliore di divertirsi, giocando già i primi 10 secondi di Battlefield 1 ho scoperto che non hanno capito niente. Pensavo fosse l’incredibile sensazione di realismo che il gioco restituisce da subito, ma non era quello, era il suo esatto opposto.

La serie, che con questo nuovo capitolo ha deciso di tornare indietro nel tempo, è sempre stata degna di rispetto ma stavolta ha toccato un nuovo vertice. Nello spostarsi alla Prima Guerra Mondiale ha deciso di fare delle scelte di campo, di luce e di morte che hanno portato a risultati incredibili.

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Da un punto di vista tecnico sono le nuvole, le luci, la composizione dei luoghi e soprattutto il montaggio sonoro a fare la differenza, fornendo la costante situazione di essere realmente all’inferno. Con un trucco di gameplay intelligentissimo, nei primi minuti si muore tantissimo e si ricomincia come un altro soldato, si muore di nuovo in pochi secondi, per motivi impossibili da prevedere come proiettili vaganti, arrivi a sorpresa, bombe che cascano senza preavviso o attacchi alla baionetta, e di nuovo si ricomincia come un altro soldato del medesimo battaglione nel medesimo attacco. In pochi minuti la sensazione è di assistere ad una strage insensata.

Ma ancora più in profondità è la capacità fuori dal normale di Battlefied 1 di abbinare quest’impressione di realismo al suo esatto contrario, alla falsità pura, alla messa in scena fotografica o ai cieli pittorici, a farmi pensare che forse è arrivato il momento di superare a destra la ricerca del fotorealismo nei videogiochi.

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Gareth Damian Martin, come molti, è un appassionato di fotografia videoludica, esplora mappe e luoghi videoludici facendo screenshot come fossero fotografie. Ha realizzato un set di foto dentro Battlefield 1, alcune delle quali condiscono questo articolo, che non hanno nulla a che vedere con la solita fotografia videoludica. Luoghi e persone dinamiche e potenti, scattate durante l’azione come farebbe un vero fotografo di guerra. I risultati pongono enfasi su sfondi e posizioni che appartengono più al reame dei quadri che a quello della realtà, sono tutti scenari così simili alle vere foto storiche di guerra (ce n’è una addirittura uguale a quella famosissima di Capa del miliziano spagnolo) da dimostrare quanto DICE abbia lavorato sul lato estetico, quanto al realismo abbia affiancato quella versione migliore e più significativa che è la sua rappresentazione.

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Più si va vicini al fotorealismo più la mancanza di una vera morte o vero dolore o vero senso della tragedia si fanno sentire; più abbiamo l’impressione che sia tutto vero, più risaltano le componenti false. È il medesimo problema di qualsiasi altro gioco di guerra (e non), ma Battlefield 1 lo supera sposando la falsità ad un livello inedito. I suoi diversi paesaggi, così specifici e precisi (il gioco è composto di 6 storie ambientate in 6 scenari diversi della Prima Guerra Mondiale), sono pensati per stupire e affascinare, per “evocare” e non per “ambientare”. Le posizioni dei corpi e degli oggetti, le possibili combinazioni che ogni inquadratura o punto di vista possono generare sono meravigliose.

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Chi ha giocato Battlefield 1 ha camminato su uno zeppelin in fuoco mentre è a centinaia di metri d’altezza e ha visto il personaggio salvarsi da morte certa finendo nel fiume invece che a terra (!!), e qui non è davvero una questione di realismo, ma di come quei momenti sullo zeppelin in fuoco, con un accecante sole al tramonto tra le nuvole, siano irripetibili, come facciano appello a qualcosa dentro di noi che non sono i ricordi ma è più simile alla poesia. Chi ci ha giocato ed ha cercato di rubare dei piani nel silenzio delle notti del deserto in cui la luna illumina forte ogni superficie, oppure si è mosso tra le case di giorno, ha provato una sensazione di caldo esotico di lontananza e ambizione che è rara nei videogiochi. Quei luoghi fasulli somigliavano più ai film o alle foto che alle loro reali controparti e come tali evocavano qualcosa di più profondo. Quella morte che il gioco non può restituire.

Ma anche le foreste nebbiose o le trincee fangose rispondono alla medesima dinamica. Di fronte a questo, cioè di fronte alla migliore delle finzioni, così potente e significativa da evocare, anche con quei dialoghi banalissimi, eroismo, sacrificio, epica e grande avventura, sinceramente cosa ce ne facciamo del realismo?

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