La battaglia di Hacksaw Ridge è bella ma non ci vivrei
La battaglia di Hacksaw Ridge racconta una storia vera ma anche la fede secondo Mel Gibson: sangue, dolore, stoicismo ed epicità
La battaglia di Hacksaw Ridge è arrivato in streaming su Netflix.
Doss era un avventista del settimo giorno, e rifiutava la violenza in tutte le sue forme, con una particolare avversione per le armi da fuoco. D’altra parte era convinto di dover fare qualcosa per il suo Paese, e che la vita del soldato fosse quella giusta per lui. Divenne quindi medico militare, salvò svariate vite, mise a rischio la sua (si potrebbe dire che rimandò solo di qualche anno la sua morte, arrivata dopo cinquant’anni passati con una disabilità riconosciuta del 90%) e si guadagnò la succitata medaglia. Fece tutto questo perché era convinto fosse la cosa giusta da fare, ed era convinto che fosse la cosa giusta da fare perché era un uomo di fede, e il suo Dio gli diceva così. Se conoscete anche solo superficialmente Mel Gibson avrete già riconosciuto tutti i tratti di una storia che sembra fatta apposta per essere raccontata da lui.
E in La battaglia di Hacksaw Ridge Gibson la racconta con tutto il trasporto e la passione di un uomo che ammira talmente tanto il suo protagonista da sognare probabilmente di poter fare come lui. Come moltissimi film del Gibson regista è un film non solo spirituale e religioso ma intrinsecamente cristiano, pieno di simbolismi anche facili (si contano tra gli altri almeno un battesimo-non-battesimo e una morte-e-resurrezione) ma messi in scena con l’estasi di chi non sta solo raccontando una storia ma la sta vivendo come una fonte di ispirazione personale.
Gibson è talmente sicuro di sé da spezzare La battaglia di Hacksaw Ridge in tre atti ciascuno tradizionalmente tripartito, tre archi che raccontano i tre momenti decisivi della vita di Doss: prima l’infanzia e adolescenza fino al matrimonio, che lo plasmano come uomo e come cristiano, poi l’addestramento, che lo rende un soldato, e infine l’eponima battaglia, un’intensissima ora di cinema di guerra che gronda violenza e corpi spappolati, messa in scena con la crudezza e il gelido sadismo che Gibson aveva già dimostrato in Apocalypto e La passione di Cristo, e che sta in delizioso contrasto con l’atmosfera zuccherosa, quasi da romanzo d’appendice, di tutto il primo “capitolo” del film.
È qui che abbiamo più tempo per conoscere Doss (e apprezzare l’interpretazione che ne dà Andrew Garfield), e per apprezzare la povera Teresa Palmer, che ci mette tutto il suo impegno in un ruolo ingrato che la condanna già in partenza a fare da spettatrice. È qui che Gibson si diverte a sfogare tutto il suo romanticismo e la sua voglia di colori pastello, a mettere in scena il suo amore per un certo tipo di America tradizionale con vestitini a fiori e scene di timido corteggiamento al buio di un cinema in bianco e nero. La battaglia di Hacksaw Ridge non manca qui e là di far vedere sprazzi di crudeltà anche in questi momenti più rilassati (particolarmente shockante è la scena dove scopriamo davvero come mai Desmond Doss è un non violento, religione o meno), ma procede calmo e placido con il ritmo del grande romanzo americano, senza alcuna fretta di arrivare a Okinawa: pochissimi autori oggi possono permettersi questa flemma senza perdere l’attenzione del pubblico, e Gibson è uno di questi.
Questo perché il pubblico sa che prima o poi arriverà il momento in cui la proverbiale cacca colpirà il ventilatore, e che ci sono pochissimi registi al mondo bravi come Mel Gibson a mettere in scena la guerra in tutta la sua brutalità. L’ultima ora di La battaglia di Hacksaw Ridge è un massacro, fisico e psicologico, quasi insostenibile e chirurgico nello scegliere sempre la cosa peggiore (e quindi migliore) da mostrare. Si vis pacem, para bellum, diceva Vegezio, e Gibson l’ha preso molto sul serio: il suo film pacifista che parla di pace e dell’importanza della pace fa passare il messaggio sbattendoci in faccia ettolitri di sangue, tonnellate di carne morta e centinaia di esplosioni.
Questo perché, in ultima analisi, La battaglia di Hacksaw Ridge non è veramente un film pacifista, e forse non è neanche un film di guerra. È più che altro quello che si chiama character study, e la guerra è il modo migliore per studiarlo. Doss ha passato anni a rifiutare interviste e documentari sulla sua vita perché aveva paura di venire frainteso in qualche modo: è significativo che solo Mel Gibson sia riuscito a ottenere l’OK perché il film, secondo Desmond Doss Jr., “aderisce alla perfezione al principio di questa storia”. E questo nonostante le modifiche alla biografia di Doss siano tante e anche clamorose, a partire dalla scelta di attribuirgli nel film un padre veterano della Prima Guerra Mondiale che soffre di PTSD. Il cuore però è al posto giusto, e questo per Mel Gibson è chiaramente un onore: guardando La battaglia di Hacksaw Ridge si vede.