Barbie: il successo di un’onda rosa tutt’altro che anomala

Andiamo alle radici del successo del film di Barbie di Greta Gerwig e riflettiamo sull'impatto che avrà sull'industria e non solo

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Non ci sono più molti dubbi sul fatto che Barbie sia il film dell’estate, se non l'evento cinematografico dell’anno. Dopo un week end di apertura di 162 milioni di dollari negli USA e un incasso complessivo che questo weekend supera i 300 milioni (e i 700 milioni in tutto il mondo),il film di Greta Gerwig è ufficialmente il miglior esordio in assoluto per una regista donna, oltre che uno dei migliori incassi dall'inizio della pandemia. 

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Un successo sbalorditivo ma non inaspettato: la Barbiecore è esplosa ormai da mesi, fin dal primo geniale teaser trailer che citava 2001 Odissea nello spazio, costruita anche grazie a una delle campagne marketing più imponenti degli ultimi tempi. Collaborazioni di ogni genere, poster personalizzati, meme infiniti sui social, press tour intensi e red carpet studiatissimi (gli omaggi di Margot Robbie ai look di Barbie scrivono da soli un capitolo nel libro sul rapporto moda/cinema), fino al Barbenheimer, un incredibile fenomeno di promozione spontanea che verrà analizzato per anni. 

La presenza di una fanbase così grande ancora prima dell’uscita in sala non è comune, soprattutto se pensiamo che il film non è trainato da nessun successo pregresso come accade per i franchise già avviati, e nonostante dai trailer si intuissero le vibes generali, la trama di Barbie era invece tutt'altro che prevedibile.

Barbie può essere tutto ciò che desideri

Esattamente come recita il motto della Mattel, il film sembrava poter essere qualsiasi cosa, e così è stato: Barbie è un product placement su uno dei giocattoli più riconoscibili al mondo che però prende in giro le ambizioni capitalistiche della sua azienda produttrice. È una critica diretta al patriarcato e ai ruoli di genere, una lettera d’amore commovente alle donne e alla femminilità, così come una riflessione sulla salute mentale. 

È una commedia slapstick, un condensato di citazioni cinematografiche e di cultura pop, ma anche una celebrazione dei musical classici con una soundtrack che vede tra i nomi Dua Lipa a Nicki Minaj. Barbie è poi un film bello da vedere, stilisticamente ricchissimo, con un production design straordinario e con un cast in stato di grazia che regala performance divertenti ed emozionanti, sorrette da una scrittura densissima che lavora su più livelli contemporaneamente. Più che un film, Barbie è un’esperienza

Se ami Barbie…se odi Barbie, questo film è per te

Greta Gerwig aveva un compito a dir poco impossibile: realizzare un film su di un giocattolo che, diversamente da precedenti operazioni come The Lego Movie o Toy Story, non è semplicemente indirizzato alle bambine, ma modellato su di loro. Fin dalla sua creazione Barbie non è mai stato solo un brand, ma un’icona culturale complessa e sfaccettata, usata spesso come cartina al tornasole per analizzare il ruolo delle donne nel mondo. A prescindere che ci si abbia o no giocato, ognuno di noi la conosce ed ha un’idea precisa su questo pezzo di plastica. 

Barbie è emancipazione femminile, può essere ciò che vuole, non è un bambolotto con cui giocare a fare la mamma, ma una donna in miniatura su cui proiettare le proprie aspirazioni. Ma Barbie è anche problematica, un modello poco inclusivo ed emblema di standard di bellezza impossibili da raggiungere. Barbie è tutte queste contraddizioni insieme e come lei anche il film.

È possibile trasformare qualcosa nel suo contrario e realizzare un film femminista prendendo un simbolo dell'anti-femminismo? A quanto pare si: Gerwig&Co riescono infatti a nell'incredibile impresa di catturare la magia dell’esperienza ludica, di onorare la storia e l’eredità della bambola e allo stesso tempo di criticarne i difetti, ridendo con e di lei.

We Are Barbie Girls in a Barbie World

Se per qualcuno (qui l’uso del maschile non è da intendere in modo generico) il successo di Barbie al botteghino è da attribuire esclusivamente alla volontà di rifugiarsi al cinema per sfuggire al caldo, in realtà ciò che rende un film un fenomeno culturale non è solo la quantità della visione ma anche la modalità. Niente unisce di più di un dress code, e da una settimana le sale sono affollate da legioni di Barbie (e di Ken) vestite di una qualche sfumatura di rosa, il cosiddetto Barbie o Millennial Pink. 

La sensazione è quella di assistere a un’elettrizzante esperienza condivisa, totalmente spontanea e di cui il cinema post pandemia e post streaming ha un disperato bisogno. I film evento non sono qualcosa di inedito, ma qui non stiamo parlando dell’ultimo capitolo Marvel realizzato per piacere ad un pubblico più ampio possibile, ma di un blockbuster che non solo ha come target principale le donne, ma che pone al centro della narrazione propriol’esperienza femminile. 

Un tempo questo stesso senso di sorellanza si avvertiva con l’uscita in sala di film romantici (unico genere in cui confinare l’esperienza di visione femminile e non a caso assente in Barbie), ma nel panorama cinematografico attuale sono anni che mancano titoli "per femmine" che non si vergognano di esserlo. Insomma, stavamo aspettando Barbie da una vita e non lo sapevamo.

Sono solo cose da femminucce 

Nella vita di una donna arriva un momento in cui, quasi come fosse un rito di passaggio obbligatorio, improvvisamente si abbandona tutto ciò che di prettamente femminile aveva fino a quel momento caratterizzato la propria infanzia. Non è un’esperienza universale ovviamente, ma abbastanza comune, che accade solitamente intorno all’adolescenza: nel caso delle Barbie ad esempio, per poter crescere bisogna non solo smettere di giocarci e chiuderle in una scatola, ma rinnegare di averle mai amate. Questo perché da sempre le donne crescono con l’idea che il femminile sia sciocco, che il rosa sia frivolo, che il cinema per femmine sia un guilty pleasure e che per essere prese sul serio bisogna avere idee, interessi e comportamenti tipicamente maschili. 

Poi però, intorno ai trent’anni, quando il patriarcato è ormai una gabbia ben visibile, si torna a guardare con tenerezza a quei pezzi di plastica e a riappropriarsi con orgoglio di una parte di sé. Parlando a proposito della realizzazione del suo Lady Bird, Gerwig affermava che durante il processo di crescita è inevitabile rifiutare la propria origine, per poi rendersi conto troppo tardi che era un posto bellissimo: il rifiuto e la riscoperta del femminile è una tema presente anche in Barbie, raccontato brillantemente nel rapporto fra la teenager Sasha (chiaramente una Bratz) e sua madre Gloria.

Che fatica essere Barbie

Se la Barbie Stereotipo di Margot Robbie è un fulcro emotivo del film, l’altro è invece incarnato dal personaggio interpretato da America Ferrera. Online già si possono trovare decine di video reaction della sala al suo iconico monologo, destinato a diventare per le giovani attrici il prossimo cavallo di battaglia da recitare ai saggi di fine anno. Gloria cattura alla perfezione una sensazione che tutte le donne, che abbiano o meno giocato con le Barbie, conoscono bene: la fatica di dover essere tutto e il contrario di tutto, in un sistema truccato che le vede sempre e comunque mai abbastanza. 

Probabilmente un concetto banale nelle bolle femministe woke, ma che per molti può arrivare come una presa di consapevolezza. Il film fa compiere a Barbie (ma anche a Ken) un viaggio catartico, a tratti doloroso (se persino Barbie piange e si deprime chi siamo noi per non farlo), ma allo stesso tempo spassoso ed autoironico, in cui alla fine sarà proprio lei, un giocattolo, a uscire dalla propria scatola e a trovare il proprio posto del mondo. 

Ritorno a Barbieland

Probabilmente non esiste una generazione i cui valori, ricordi ed esperienze sono così strettamente legati a dei prodotti commerciali più di quella dei Millennials (non è un caso infatti che nel film Barbie Stereotipo appartenga a una donna trentenne e non ad una bambina). I Millennials sono anche la generazione che più di tutte ricorre al potere della nostalgia per scappare dal presente, e quale miglior rifugio della coloratissima Barbieland.

Qui il wordbuilding è più che stupefacente ed è chiaro come il film sia stato realizzato da persone che hanno giocato con le Barbie e che ricordano la logica immaginativa dietro questo universo: dalle dimensioni degli oggetti leggermente sproporzionati alle Case dei Sogni senza pareti e scale fino all'assurdità degli spostamenti, ogni dettaglio ha la capacità di trasportare lo spettatore indietro nel tempo.

Per non parlare poi dell’elemento del fanservice, fondamentale per i cresciuti negli anni '90, con citazioni specifiche e ricercate (il riferimento ad Orgoglio e Pregiudizio è da lacrime agli occhi) e per una volta declinate al femminile. 

Girls Just Want to Have Fun 

Quando si parla di produzioni femminili, fatte da donne o rivolte alle donne, succede sempre una cosa curiosa: siamo talmente poco avvezzi a questo tipo di rappresentazione, che su quei pochi prodotti esistenti carichiamo aspettative enormi ed ingiuste.

Barbie è un’opera cinematografica visivamente magnifica, di grande intrattenimento e che affronta temi importanti con grande intelligenza, ma se al contrario fosse stata un semplice spot per vendere più giocattoli, non avrebbe avuto meno dignità di esistere. Sebbene a Barbieland credano sia possibile, non si può certo chiedere alle Barbie di risolvere il patriarcato

Barbie racconta un tipo di esperienza femminile che non esclude esplicitamente gli uomini, ma che, esattamente come succede alle donne per determinati generi cinematografici, non li include del tutto. Se però le spettatrici sanno da sempre come comportarsi davanti a film del genere (banalmente non guardarli o farsi bastare le briciole), chi invece non è abituato a non vedersi al centro della narrazione ha come possibile reazione quella di sentirsi minacciato e di sminuire il film in ogni suo aspetto. 

A dispetto delle critiche il film ama molto i suoi Ken, ma se anche fosse stato diversamente, non sarebbe stata di certo una tragedia. Prendiamo l'esilarante scena in cui si ironizza sulla pratica degli uomini di "manspiegare" Il Padrino: magari in futuro Barbie diventerà quel film che le donne dovranno spiegare agli uomini, e se così dovesse essere, sarebbe davvero una presa in giro intollerabile?

Il futuro è femmina

Probabilmente il successo di Barbie sarà difficile da replicare, ma l’ultima settimana cinematografica ha dimostrato in modo chiaro ed inequivocabile che di film scritti, diretti, realizzati e con protagoniste le donne (anche super femminili e che non cercano di ricalcare i modelli maschili) se ne ha una grande voglia. Il tempo del male glance (quello sguardo superficiale che l’industria culturale riserva ai prodotti femminili) è finito: i film per femmine fanno soldi e ne fanno anche tanti, e piacciono a tutti, non solo alle femmine. Barbie è un fenomeno destinato a scrivere una pagina di storia del cinema, e lo sta già facendo. Chissà però perché è così difficile dare a Barbie quel che è di Barbie. Probabilmente sarà colpa del rosa. 

Trovate tutte le notizie su Barbie, ora nei cinema italiani, nella nostra scheda.  

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