Barbarian si ricorda la regola numero uno dell’horror

Barbarian è un horror elevato e intellettuale e metaforico che non rinuncia però mai a fare paura in favore del Messaggio

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Barbarian è su Netflix

Barbarian si può senza alcun dubbio descrivere usando la definizione “elevated horror”, un termine nato una quindicina di anni fa in seguito a una serie di avvenimenti che non staremo qui a spiegare ma che ha a che fare con la A24 e con una certa inspiegabile voglia di nobilitare un genere che non ne avrebbe avuto alcun bisogno, se solo lo si conoscesse un minimo. Ma non saremo qui a lamentarci del fatto che i film dell’orrore stiano conoscendo una nuova rinascita e stiano venendo notati anche da chi solitamente li derubricava a robetta di serie B per gente a cui piace il sangue e gli spaventi facili; quello che ci interessa è Barbarian, appunto, e il fatto che, pur essendo senza dubbio un’opera con una forte impronta autoriale e dei messaggi ben precisi, non dimentichi mai la lezione più importante del cinema di paura: la cosa più importante è (indovinate un po’?) fare paura.

Barbarian e l’elevated horror

Abbiamo detto che non ci interessa parlare di elevated horror ma ci smentiamo subito, perché due parole vanno dette su questa etichetta che ha permesso a gente come Ari Aster e Robert Eggers di farsi una fama al di fuori dei confini del genere, e che contemporaneamente ha fatto molto indispettire chi l’horror lo segue da sempre. Perché il cinema dell’orrore è da sempre cinema autoriale, e se ci sono casi in cui questo è evidente anche a chi “non segue” (pensate a Nosferatu, Shining, Rosemary’s Baby), in altri altrettanto clamorosi c’è sempre stata una divisione netta tra chi ne riconosceva il valore assoluto e chi, invece, continuava a sostenere che roba come Non aprite quella porta o Halloween non fosse abbastanza; che fosse ancora troppo genere e troppo poca arte.

È un’idea ridicola e smentita da anni di critica cinematografica seria, per fortuna, ma lo stigma è rimasto nell’aria fino a quando la già citata A24 e gente come Jordan Peele hanno cominciato a proporre opere delle quali anche i più scettici non potevano non riconoscere il valore. Per cui, a un certo punto intorno al 2010, ci siamo ritrovati di fronte a un momento di spaesamento critico, con gente che dopo aver guardato l’horror dall’alto in basso per anni ha dovuto controvoglia riconoscere la qualità di certi film – i più sfacciati hanno fatto un’inversione di rotta di 180° e hanno cominciato a giurare che loro lo dicevano da sempre. Perdonateci il piccolo sfogo da appassionati del genere, ma il fatto che oggi un film come Barbarian possa diventare un culto e beccarsi votoni e grandi recensioni è in qualche modo una rivincita.

Il rischio di elevarsi

L’altra faccia della medaglia è il rischio, a fronte di una nuova ricettività critica verso il genere, di piegarsi alle esigenze cinefile, perdendosi dietro l’estetica e/o il messaggio e dimenticando completamente che l’horror è un genere (argh) viscerale, che esiste prima di tutto per fare paura. Non faremo nomi perché qui stiamo parlando di Barbarian, ma l’ondata di elevated horror ha purtroppo portato con sé un’ondata di autori convinti di poter giocare con il genere per farsi belli di fronte alla critica, approcciandolo però con lo spirito di chi, sotto sotto, non lo ama davvero. (ci viene in mente per esempio Bird Box di Susanne Bier, ma avevamo promesso che non avremmo fatto nomi). In parole più semplici, da quando una certa fetta di genere si è elevata si è anche popolata di film che sono interessanti, provocatori, intelligenti e artistici ma che di horror hanno molto poco, e in particolare si dimenticano la regola fondamentale del genere.

Questa regola è: l’horror deve fare paura. O almeno provarci, visto che la paura è soggettiva e quello che paralizza la persona A potrebbe lasciare indifferente la persona B. Nessun film horror nasce con la convinzione di riuscire a spaventare tutti, ma ogni buon film horror dovrebbe nascere con l’intento quantomeno di provarci. E Barbarian in questo senso sta dalla parte dei buoni: il debutto di Zach Cregger è raffinato, provocante e intelligente, ma non smette mai per un istante di tenerci sulle spine, di generare tensione e inquietudine, e soprattutto non ha paura di sporcarsi le mani con sangue, budella, carnazza, corridoi bui e cantine inquietanti.

Barbarian è un film di cui è impossibile parlare a chi non l’ha visto

Il titoletto qui sopra dice tutto: stiamo parlando di elevated horror perché se dovessimo entrare nel dettaglio di Barbarian rischieremmo di rovinare la sorpresa ai pochi di voi che non l’hanno ancora recuperato. Perché Cregger è scaltro, e sa come gestire gli scarti di tono e i colpi di scena: Barbarian è (vediamo quanto riusciamo a evitare gli spoiler) un film tripartito, che si apre in un modo e, a intervalli più o meno regolari, prende strade inaspettate ma che acquistano senso proseguendo nella visione. Si apre come si aprono molti horror contemporanei: con una protagonista femminile (la splendida Georgina Campbell) che si trova in una situazione teoricamente normale, ma che diventa inquietante nel momento in cui stiamo parlando di una donna e non di un uomo. È ormai diventato un trope (pensate a Fresh, o a Run Sweetheart Run per citare due titoli recentissimi): una ragazza incontra un ragazzo, e questo incontro, visto dal punto di vista di lei, rivela quanto certi comportamenti possano risultare inquietanti solo sulla base del fatto che è una donna a subirli.

Stiamo dicendo che Barbarian è un horror femminista? Esatto, e già nel primo atto c’è abbastanza materiale per imbastire un film fatto, finito e interessante. Poi però Cregger decide di elevarlo ulteriormente, rivelando un ecosistema più ampio che parla anche di mascolinità tossica dal punto di vista del maschio, e prendendo direzioni sempre più sorprendenti ma perfettamente logiche una volta che i cerchi si chiudono. E in tutto questo, è la cosa più importante, Barbarian non perde mai di vista lo scopo primario del genere di appartenenza: non predica, non fa lezioni accademiche, ma dice quello che vuole dire a colpi di spaventi, violenza e creature orrende. Cregger resiste alla tentazione di buttarla sul teorico, di fare un horror-che-non-vuole-davvero-essere-un-horror, e in questo modo (pensate un po’!) riesce a far passare i messaggi che vuole far passare con ancora più potenza. È una lezione a chiunque voglia salire sul carro dell’orrore intellettuale: concentrarsi solo sull’aggettivo e non sul sostantivo è un errore, un horror valido non deve mai vergognarsi di essere un film di genere e di provare a generare terrore in chi guarda. Poi, che Barbarian vi faccia paura o meno dipende da voi, ovviamente. Ma l’approccio è quello giusto: non vediamo l’ora che Cregger lo rifaccia.

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