BadTaste intervista Fabrizio Donvito

Uno dei soci di Indiana, la casa di produzione che vede coinvolto anche Gabriele Muccino e che ha dato vita a La prima cosa bella, ci parla di corsa agli Oscar, di Medusa e della situazione del mercato italiano...

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Rubrica a cura di Colinmckenzie

Che bilancio possiamo fare dell'avventura de La prima cosa bella agli Oscar? E in generale, come sta andando il film all'estero?
Nonostante la mancata candidatura, le proiezioni per il pubblico e soprattutto quelle per l'Academy sono andate benissimo. Non solo, ma le sequenze più apprezzate dal pubblico americano sono le stesse piaciute a quello italiano e la medesima cosa è accaduta quando lo abbiamo presentato al Festival di Shanghai. Ovviamente, accettiamo il verdetto dell’Academy, ma siamo ottimisti perché il film è già stato acquistato in tutto il mondo e ci sono ottime previsioni di successo nei vari paesi. In particolare, stiamo ancora lavorando sull’uscita statunitense, che non è ancora avvenuta.

Ti hanno dato fastidio tutte queste polemiche, in particolare l'idea che essendo il vostro film Medusa, dietro alla candidatura ci fosse Berlusconi?
Il nostro rapporto con Medusa è esclusivamente un rapporto tra produttori di cinema, purtroppo in Italia siamo sempre coinvolti in una sorta di derby, al punto da inventarci complotti pur di non accettare le decisioni di organismi pluralistici e selezionatissimi dal punto di vista professionale come l'ANICA, che ha scelto La prima cosa bella per l’Oscar. Di sicuro, i giurati americani non sono abituati a questo tipo di polemiche, in cui un regista parla male del film di un altro. Per questo, credo che molti siano rimasti amareggiati e sorpresi della virulenza dimostrata da Luca Guadagnino. Che dire? Io gli auguro di avere fortuna in America. E magari di fare film migliori del suo ultimo lavoro.

Puoi spiegarci meglio il rapporto di Gabriele Muccino con Indiana?
Lui è socio, ma ha anche la sua carriera indipendente da regista. Per quanto riguarda i titoli americani, non c'era ovviamente bisogno di un partner come noi a supportarlo lì, ma comunque lui ci sostiene nella nostra attività, come ha fatto per esempio con il film di Virzì, che gli è piaciuto molto. Indiana va avanti con diversi progetti, che probabilmente in futuro lo vedranno coinvolto anche nel ruolo di regista.

Cosa pensi dei recenti grandi successi comici in Italia?
La commedia, in tutto il mondo, sta diventando sempre più locale. Magari può anche funzionare esportata, ma deve essere adattata. Per esempio, il film di Zalone non avrebbe problemi in una versione estera, dopo aver effettuato i necessari cambiamenti. Per il resto, il cinema italiano è esportabile se riesce ad avere una bella storia, come capita con i film di Ken Loach, con cui non ci possiamo certo identificare, ma che ci coinvolgono per il racconto umano. Per questo, credo che ci potremmo prendere delle belle soddisfazioni all'estero, se solo avessimo una strategia più convinta e magari delle agenzie più competitive. Il problema è che noi vendiamo solo film italiani, mentre sarebbe importante avere società che vendono i nostri prodotti assieme a quelli esteri, per dare forza a tutto il pacchetto. E' quello che fa la Wild Bunch, che distribuirà La prima cosa bella in diversi Paesi europei. Penso che ci siano dei titoli che meritano successo anche fuori dai nostri confini, come per esempio Una vita tranquilla. E poi, mancano le coproduzioni internazionali importanti, cosa in cui sono bravissimi i francesi.

C'è il pericolo che le case di distribuzione italiane puntino solo sulle commedie?
E' importante non farsi prendere dall'isterismo, perché ci sono tanti film drammatici che possono andare bene e d'altronde il successo della commedia non è un caso recente. Bisogna ricordare che tutto è ciclico, quindi è pericoloso credere di andare avanti solo con un genere. E' importante variare e per questo servirebbe un maggiore sostegno alle sale di quartiere, che magari riuscirebbero a prendere anche un pubblico più maturo. Certo, quando vedi le polemiche su un ottimo film come Vallanzasca, capisci che siamo ancora indietro, visto che negli Stati Uniti e in Francia non si fanno problemi a realizzare Il padrino o Mesrine.

Considerando il tuo lavoro, che differenze noti tra Roma e Los Angeles a livello professionale?
Le differenze sono enormi, anche solo se ci paragonassimo all'India. Il fatto è che negli Stati Uniti il cinema fa parte di un'industria enorme e viene trattato in maniera adeguata, compresi dei sindacati potentissimi. In Italia invece non siamo presi sul serio e non abbiamo la dignità di industria, almeno secondo le istituzioni.

Non pensi che una responsabilità sia anche quella di associazioni come i 100 autori, compresi registi come Citto Maselli, facilmente attaccabili visto i soldi che ha preso dallo Stato per realizzare film che non vede nessuno?
I 100 autori possono fare quello che vogliono, ma credo che sarebbe preferibile uscire dalle barricate. Il pericolo è quello di ghettizzarsi, mentre dovremmo riunirci tutti per difendere questa industria, che può generare profitto se punta sulla qualità. Per esempio, sarebbe importante avere la conferma delle misure sul tax credit e sul tax shelter, a mio avviso anche più importanti delle cifre del Fus. Adesso, tutti stanno correndo a chiudere i bilanci prima del 30 giugno, ma non è possibile lavorare in questo modo. L'importante sarebbe avere un sistema coerente e costante, magari monitorato ogni anno per vedere cosa funziona e cosa no. Ci sono molte aziende interessate a investire nel cinema, comprese tante banche, ma ci devono essere regole basate sul merito, come capita in Francia, dove viene studiato attentamente il lavoro precedente dei produttori che chiedono i finanziamenti.

Quando sento dire che un film come Gomorra non si sarebbe potuto fare senza l'intervento dello Stato, nonostante il grande successo del libro da cui è tratto, mi sembra che ci sia un problema drammatico a livello produttivo...
Sì, anche se va detto che è un problema generale di tutto il Paese e non solo del mondo del cinema. Anche adesso, se proponi un film che non sia una commedia, è difficile farti ascoltare. Poi, quando si sostiene una pellicola, il parametro di giudizio non devono essere soltanto gli incassi, ma anche la crescita professionale del regista e il fatto di girare nei festival, soprattutto quelli esteri.

Quali sono i vostri progetti imminenti?
Abbiamo vari progetti in cantiere che ci appassionano e in cui crediamo molto, tra cui un opera prima: il film di Matteo Pellegrini che avrà lo stesso protagonista de Il concerto. Inoltre, la nuova commedia di Carlo Virzì che lo vede per la seconda volta dietro la macchina da presa. Devo dire, anche in risposta a chi ha ventilato accuse, che Paolo non è minimamente intervenuto per sostenere il fratello, tanto che il film verrà prodotto da Raicinema e non da Medusa. Tra gli altri progetti per il cinema, ci sarà una pellicola con Paolo Ruffini protagonista e un altro tratto dall'adattamento del libro La storia di un giudice, un film quasi western sul giovane magistrato Francesco Cascini mandato a Locri. Infine, abbiamo la biografia di Pavarotti per la televisione.

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