BadMemories: Gone Home e quel viscerale bisogno d'intimità | Speciale
Nell'episodio di BadMemories di oggi parliamo di Gone Home e di come sia un titolo in grado di colpire dritto al cuore dei videogiocatori
Un risultato a dir poco sorprendente per un titolo indie. Ancora più sorprendente se si pensa che, inizialmente, il progetto doveva essere ben altro. La software house è stata infatti fondata da Steve Gaynor, Karla Zimonja e Johnnemann Nordhagen, tre ragazzi che avevano lavorato ai DLC di BioShock 2. Forti di questa esperienza, il trio aveva quindi intenzione di dar vita a un gioco dove l'utente fosse chiamato a esplorare una casa guidata da un'intelligenza artificiale. Con il passare del tempo, il team si rese conto di non avere abbastanza forza lavoro per dar vita a un prodotto tanto articolato e, per comodità, decise di raccontare la storia di una casa vuota. Una casa senza nessuna forma di vita al suo interno.
Proprio con questa sua natura unica, l'opera realizzata dai ragazzi di Fullbright Company riuscì a infilarsi sottopelle a una vasta schiera di utenti. Utenti stanchi di prodotti dove si passa la maggior parte del tempo a combattere avversari e a esplorare ambienti in maniera frenetica. In un ambiente come quello del mercato videoludico, capita a volte di sentirsi sommersi da titoli ridondanti. Titoli che sembrano avere come solo scopo quello di fornire decine di ore ai giocatori, senza badare all'effettiva necessità di aggiungere missioni secondarie o frammenti di storia.
La durata di questa avventura non è certo sensazionale e a malapena si raggiungono le due ore prima di vedere i titoli di coda. Per questo motivo, però, gli sviluppatori sono riusciti a rendere ogni secondo di gioco semplicemente perfetto. Ogni frase, ogni pensiero, ogni stanza che ci troveremo a esplorare racconta un piccolo pezzo di trama, senza il quale non potremmo vedere il quadro completo. Fidatevi quando vi diciamo che, se siete stanchi delle “normali” produzioni mainstream, dovreste recuperare questa fantastica opera e giocarvela con le cuffie, isolandovi del tutto dal mondo che vi circonda.
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Proprio riguardo alla colonna sonora, permetteteci di raccontarvi un aneddoto divertente. Quando gli sviluppatori decisero di utilizzare le tracce di stampo riot grrrl (sottogenere del punk rock), si recarono a un festival di Portland con lo scopo di mostrare il proprio videogioco. La band locale nota come The Youngins rimase a bocca aperta durante lo show e, dopo essere entrata in contatto con i fondatori della software house, venne scelta per fornire la musica per la band immaginaria del gioco nota come Girlscout. Questa storia è un ottimo esempio di come Gone Home riesca ad attirare differenti tipi di pubblico. Bastano un paio di minuti all'interno della magnifica casa del gioco per venir trascinati all'interno di un'avventura senza tempo. Un'avventura unica, ben lontana dal genere fantascientifico ipotizzato all'inizio, ma non per questo meno sensazionale.
Dopotutto cosa c'è di più bello dell'animo umano e di tutte le innumerevoli sfumature.