BadMemories: A Way Out e la potenza del multigiocatore locale | Speciale

Dopo aver messo mano ad A Way Out grazie al Game Pass, abbiamo deciso di dedicare questo episodio di BadMemories al multigiocatore locale

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Grazie al mai abbastanza elogiato Game Pass di Microsoft, la scorsa settimana abbiamo avuto occasione di mettere le mani su A Way Out. Titolo sviluppato da Hazelight Studios e prodotto da Electronic Arts, questo divertente action-avventure è stato ideato per sfruttare appieno le meccaniche multigiocatore, offrendo un’esperienza per certi versi unica all’interno dell’attuale mercato videoludico. 

Non ci soffermeremo in questo articolo a evidenziare quanto A Way Out sia un’opera ben scritta, divertente da giocare e in grado di emozionare sinceramente l’utente, ma il risultato ottenuto dal team svedese ci ha fatti riflettere sul multiplayer locale. In un mondo che punta sempre più a realizzare titoli da fruire in solitaria, dove anche nel caso del multigiocatore si è costretti a ricorrere all’online, l’opera ideata da Josef Fares è stata per noi una sorta di fulmine a ciel sereno. Affrontare un’intera avventura con un compagno al proprio fianco, gioendo e soffrendo insieme a lui, permette al giocatore di percepire il videogioco in un modo completamente diverso da quello a cui ci hanno abituato le ultime due generazioni di console.

Negli anni Novanta e Duemila, complice anche l’assenza di una vera e propria connessione internet in grado di farci giocare ai videogames, erano presenti numerosi titoli che offrivano meccaniche multigiocatore. Stiamo parlando, ovviamente, sia di opere che ci spingevano ad allearci con i nostri compagni di ventura, che di veri e propri titoli in grado di distruggere storiche amicizie. Con il passare del tempo, paradossalmente, il linguaggio che tanto amiamo ci ha permesso di comunicare con giocatori provenienti da ogni parte del mondo, ma, allo stesso tempo, dimenticandoci di chi abbiamo accanto.

Quanti sono i titoli moderni a sfruttare lo split-screen? Quante sono le software house intenzionate a sfruttare questa particolare comunicazione tra videogiocatori?

La risposta, fortunatamente, non è “zero”, ma è innegabile che il numero diminuisca drasticamente di anno in anno. Dopo Brothers: A Tale of Two SonsFarer ha deciso di abbracciare appieno questa fetta di mercato tanto bistrattata, sviluppando quel A Way Out che citavamo in testa all’articolo. Lo scrittore di Beirut ha dimostrato di avere a cuore esattamente quelle emozioni che è possibile provare esclusivamente grazie alle persone che ci circondano.

Dopotutto, l’essere umano è un animale che fa delle interazioni sociali la base della propria esistenza. Creiamo amicizie, ci fidanziamo, ci sposiamo e godiamo di numerosi media in compagnia. Andiamo al cinema (sperando di poterci tornare presto) con altre persone. Giochiamo ai giochi da tavolo. Andiamo al ristorante insieme. La condivisione, fianco a fianco, di emozioni come adrenalina, tristezza e felicità vengono assorbite e potenziate quando si è in gruppo. Ed ecco che, A Way Out, riesce a fare proprio questo: sfruttare la presenza di una persona fisica accanto a voi per assorbire e potenziare le sensazioni offerte dal videogioco.

Senza entrare nello spoiler, nonostante il titolo abbia ormai tre anni alle spalle, diciamo che è impossibile non rimanere spiazzati dalla seconda metà del titolo di Hazelight Studios. Nonostante il gioco sia fruibile anche online, la vera catarsi può essere raggiunta solamente nel caso affrontiate l’avventura attraverso lo split-screen locale. Il nostro consiglio, infatti, è quello di sfruttare l’abbonamento a EA Play, compreso nel Game Pass per Xbox e presto anche in quello per PC, per sperimentare questo “nuovo” tipo di emozioni. Emozioni provenienti da un tempo passato, dove erano quasi all’ordine del giorno, ma che ora sorprendono come delle vere e proprie novità. 

E, dopo questa premessa, non possiamo che essere estremamente curiosi di provare It Takes Two, nella speranza che sappia confermare le splendide sensazioni offerte da A Way Out

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