BadChronicles: Il signore della fantascienza, Katsuhiro Otomo

Riprendiamo il cammino di BadChronicles con i grandi maestri del fumetto, occupandoci di un mito vivente per gli amanti della Fantascienza: Katsuhiro Otomo

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Rimettiamoci in viaggio dopo una settima di pausa e riprendiamo il cammino di questa seconda fase dedicata ad alcuni dei più grandi esponenti della storia del fumetto occupandoci di un mito vivente: Katsuhiro Otomo.

Nasce il 14 di aprile del 1954 nella prefettura di Miyagi. Per 19 anni rimane a vivere nella zona rurale del distretto di Tome, 400 Km a nord di Tokyo. Fin da piccolo la sua più grande passione è il cinema. Viaggia ore e ore per recarsi nella prima grossa città che fosse fornita di una sala di proiezione per vedere le pellicole americane tra cui adora, Gangster Story (1967) di Arthur Penn, Easy Rider (1969) di Dennis Hopper e Butch Cassidy (1969) di George Roy Hill. Hanno tutte e tre un argomento in comune, l'abbandono della propria casa per cercare fortuna altrove. Forse anche loro contribuiscono a fargli maturare l'idea di lasciare la campagna per la metropoli, convinto di riuscire a sbarcare il lunario con quello che sa fare meglio: disegnare. Nel 1973 si trasferisce nella capitale del suo Paese, dove comincia a realizzare brevi racconti per varie riviste. Esordisce con Jusei (A Gun Report), un adattamento della novella Mateo Falcone dello scrittore e drammaturgo francese Prosper Mérimée, pubblicato su Manga Action di Futabasha, magazine di cui cura anche la copertina. Seguiranno parecchie altre esperienze simili.

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Dell'anno successivo sempre per la stessa rivista è Boogie Woogie Waltz, una raccolta di episodi brevi che descrivono il degrado urbano di una sempre più caotica Tokyo, fatto di droga, sesso e violenza. Verrà considerato dopo, da Otomo, una chiave di volta per la sua prima produzione, un tassello fondamentale per la sua carriera, tanto da chiederne a Kodansha la ristampa in un unico volume. È un lavoro sperimentale dove emerge ancora una ricerca stilistica ma è già presente quella sua abilità unica nel catturare le scene con realismo estremo e nello stesso tempo infondere loro una sfumatura quasi visionaria, il tutto mediato dall'amore per il grande schermo.

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A partire dal 1978 si dedica a varie parodie di classici occidentali, da Hansel e Gretel a Il meraviglioso mago di Oz, a Biancaneve, da I tre porcellini a Robinson Crusoe. Vengono pubblicate sul mensile Young Comic edito da Shonen Gahosha. Ma è del 1979 su Action Deluxe di Futabasha, l'opera (anche se incompiuta) più significativa del decennio, nonché quella più corposa, di 50 pagine: Fire-Ball. L'introduzione è un omaggio al dipinto Mano e globo riflettente del genio olandese M. C. Escher, i contenuti mostrano una maturità e una crescita artistica strabiliante con gli stilemi tipici delle meraviglie future. La fantascienza ha preso il sopravvento, il tema dominante è la potenzialità infinita e terrificante della tecnologia contrapposta alle risorse incredibili dell'uomo. Il tratto si fa più pulito e dettagliato, il ritmo sequenziale incalzante.

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Otomo è ormai padrone dei testi e delle illustrazioni che riesce a piegare come crede alla sua volontà narrativa inarrestabile. Tra il 1980 e il 1983 firma il primo successo internazionale ancora per Futabasha: Domu. Parola composta da due kanji, “do” bambino e “mo”, sogno, viene tradotto in Italia con il titolo Sogni di bambini, che gli vale in patria lo Science Fiction Grand Prix Award, premio che non era mai andato a un manga. Appare su Comic Art tra il 1992 e il 1993. Protagonisti sono un'imprecisata ambientazione postatomica e poteri extrasensoriali incontrollabili. Li ritroveremo nella loro più incredibile e avvincente espressione, nell'apoteosi di Akira. Inoltre è presente un rapporto che diventerà essenziale nel fumetto e nell'animazione nipponica: il rapporto tra gli adolescenti e gli adulti. I primi sono depositari della speranza e del seme del domani, che può significare il male o il bene dell'umanità. I secondi sono il fallimento di quel progetto, prigionieri delle loro paure e dei loro doveri, schiavi solitari della pragmaticità. La trama è incentrata su misteriosi omicidi/suicidi che avvengono in un enorme complesso condominiale. Solo il coraggio di una ragazzina può venire a capo della soluzione, nonostante le pressanti indagini della polizia.

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Akira è il risultato e il completamento della lunga ricerca di precisione e perfezione che appartiene al DNA del suo artefice. Young Magazine di Kodansha lo ospita dal 1982 al 1990, collezionandolo poi in 6 eleganti tankobon, riproposti recentemente qui da noi da Planet Manga. Nello stesso periodo in Memorie (1991), distribuito sul nostro suolo da Star Comics, raccoglie il meglio della sue creazioni precedenti. Akira sta al fumetto giapponese come Watchmen a quello americano ed entrambi a quello mondiale. Viene cambiato per sempre il modo di concepirlo, aprendo infinite strade ai giovani autori. É il vertice dell'arte di Otomo. L'utilizzo e il controllo completo del silenzio, dei campi lunghi così come dei primi piani, rivoluzionano l'idea stessa di sceneggiatura, per non parlare della qualità espressiva delle immagini. Oltre alla tecnica vi è una capacità innata nel saper concepire e rappresentare un'azione, un concetto, una situazione. La profondità spaziale si fonde a quella emozionale, la vertigine diventa un sentimento fisico e spirituale. La trasposizione in fotogrammi del 1988, curata da lui stesso, segna uno spartiacque anche nell'animazione, mostrando che ne esiste una per il pubblico adulto e apre la strada in Occidente al fenomeno Hayao Miyazaki e agli altri talenti del Sol Levante. Ulteriore merito di cui il suo autore è probabilmente ignaro, è quello di aver definitivamente lanciato i manga in Europa e America. In Italia dove erano giunti sulla scia dell'entusiasmo dei robot di Go Nagai, a differenza dei cartoni in TV, scompaiono presto dalle edicole, exploit a parte della rivista Candy Candy della Fabbri. Tornano il decennio seguente, per mai più lasciarci, grazie al capolavoro di Otomo, proposto per la prima volta dalla Glénat Italia (1990) che scomparirà prima di concludere la saga, poi completata da Planet Manga.

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Verso l'inizio del nuovo millennio Otomo ritorna al suo primo amore, il cinema, anche se non abbandona mai il fumetto, contribuendo a storie inedite solo come soggettista, sceneggiatore e character design. Del 1990 è The Legend of Mother Sarah, disegnato da Nagayasu Takumi. Nel 91 debutta alla regia del live-action World Apartment Horror, tratto dal suo omonimo manga nato in sinergia con Satoshi Kon e Keiko Nobumoto. Lo stesso anno scrive l'anime Roujin Z, di cui poi è stato realizzato anche il manga (in Italia ZeD), su disegni di Tai Okada. Continuano le varie collaborazioni e supervisioni, intanto inizia a lavorare dal 1996 al secondo lungometraggio animato, Steamboy, che esce solo nel 2004 e nel 2005 viene trasposto su pagina dall'artista Yuu Kinutani e distribuito in Italia da Star Comics. L'ultimo suo lavoro è del 2013, Short Peace, progetto multimediale voluto fortemente da Otomo, composto da quatto capitoli tra cui il suo Combustible, del quale si occupa di testi e regia e che è una storia d'amore e onore durante l'incendio nella città di Edo nel 1657. Quest'anno, all''ultima fiera di Angoulême 2015, il sensei è stato insignito del Grand Prix, il trofeo più prestigioso della fiera francese.

KatsuhiroOtomo

È un riconoscimento a colui il quale ha cambiato per sempre il modo di intendere la Fantascienza su carta e pellicola, tanto da venir paragonato per le sue idee dirompenti a Ridley Scott nel cinema e William Gibson, padre del genere cyberpunk, nella narrativa. Due maestri come Steven Spielberg e Jorge Lucas hanno definito a ragione Akira: un cult movie.

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