Bad School - The Krays - I Corvi, di Peter Medak

Il Bad School della settimana è The Krays - I corvi, resoconto delle gesta criminali di due gemelli inglesi interpretati dai Kemp Bros ex Spandau Ballet

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C'era una volta...

Un cigno bianco che in realtà era nero depone delle uova da cui usciranno... due piccoli mostri. È il sogno, o forse l'incubo, che viene raccontato da una madre dominatrix nell'overture dell'ancora bellissimo The Krays - I Corvi (1990) di Peter Medak, immenso eclettico in grado di passare dalla satira in Concorso a Cannes del 1972 La Classe Dirigente a Species II fino alla tv di Masters of Horror, Doctor House e Breaking Bad. Tutto il film è immerso nella favola, nella leggenda (Brian Helgeland ha voluto intitolare non a caso Legend il suo reboot di questo mitico gangster movie con Tom Hardy), nel circo e nel mondo onirico. Il regista Medak e lo sceneggiatore Philip Ridley si divertono un mondo a raccontare l'ascesa e la caduta dei gangster gemelli Ronald e Reggie Kray nella East London degli anni '60 mescolando Freud con Walt Disney e il Ciclo Arturiano. Un sogno contraddittorio apre il film (una mamma si proietta nella sua mente come cigno bianco quando invece appare a noi sullo schermo chiaramente come un cigno nero) e delle donne londinesi fortissime lo portano avanti tra le case bombardate della II Guerra Mondiale. Sono le femmine Kray a svezzare i "piccoli mostri" Ronnie e Reg mentre i mariti ladruncoli si nascondo nei sottoscala e poliziotti da comiche inciampano ostacolati e obnubilati dal proprio maschilismo.

C'era una volta un Inghilterra in rovina quando i tedeschi bombardavano Londra, i carri trainati da cavalli attraversano le vie (rimando netto all'incontro tra Noodles e Max in C'era Una Volta in America di Leone) e le donne sembravano le uniche con le palle in città. Soprattutto lei: Violet Kray (interpretata da una tostissima Billie Whitelaw) sempre molto orgogliosa, come la mamma dei Gracchi, dei suoi due "piccoli mostri" (li chiamerà così fin dall'inizio) Reg e Ronnie, inquadrati come bambolotti più addormentati che svegli. E poi tutto prosegue sulla linea della favola: ammiccamenti a Biancaneve e i Sette Nani ("Specchio, specchio" dice Violet al suo riflesso), sogni dei Kray che tirano in ballo il mitologico volo di Icaro verso il Sole, raccontini horror che li tengono avvinti con Jack the Ripper protagonista, visite a fiere mostruose dove si esibiscono feti di gemelli morti (i giovani Kray osservano famelici il barattolone che contiene i cadaveri) fino al battesimo del sangue, del protagonismo e della lotta: i Kray salgono sopra un ring circense e se le danno di santa ragione eccitati da un'irresistibile cupio dissolvi. E' la fine di questa prima parte perfetta in cui un genere concreto e prosaico come il gangster movie viene riletto dal surrealismo intelligente e sexy di due geniacci come Medak (il fratello gemello di Ken Russel, si potrebbe dire) e lo sceneggiatore Philip Ridley (pittore, scrittore e futuro regista all'epoca considerato punta di diamante dell'arte inglese).

Dopo le botte sul ring nate quasi da un impulso sessuale (i fratelli si guardano e capiscono che devono spogliarsi e salire su quel quadrato), gli ex due piccoli mostri... diventano effettivamente i Crocodile Men del circo freak che sarà la loro vita da gangster.

Crocodile Rock

Alle fiere si può trovare di tutto. Lynch ci faceva scoprire un uomo elefante. Sam Raimi forse... l'omino truffaldino che sarebbe diventato il futuro Mago di Oz. Peter Medak da lì fa uscire trionfanti, tumefatti e insanguinati due dei gangster più pericolosi e popolari del dopoguerra inglese. Amavano la parola "coccodrillo" già ai tempi della scuola e avrebbero poi mostrato e stretto in pugno una spilla a forma di alligatore pronta a penetrare nelle loro carni in un misto di dolore e piacere. Dopo la fiera, ecco le fiere. Due ragazzoni contenti di vestirsi bene a Saville Road (il Colin Firth di Kingsmen Secret Service avrebbe apprezzato) e pronti a riunirsi come i cavalieri della tavola rotonda mentre mamma Violet porta loro tè e biscotti continuandoli a trattare come bimbi al centro di una cerchia di amici. Le donne forti dell'inizio del film sono diventate delle vecchie signore un po' Pepperpotts dei Monty Python, gracchianti la loro superiorità rispetto ai maschi (stupendo il monologo della Zia Rose sul differente destino tra uomini e donne rispetto alle responsabilità della vita). Ronnie e Reg sono diventati due che vanno in giro con le spade (come Re Artù, appunto) e gusti sessuali diversi. Ronnie preferisce gli uomini (ma non vive proprio bene la sua omosessualità visto che maltratta costantemente il suo giovane amante) mentre Reg, più dolce e remissivo rispetto al fratello aggressivo, si sposa con una borghese un po' scema pronta a cadere nella spirale depressiva da moglie insoddisfatta del gangster fissato con mamma e fratello.

Come Re

I due piccoli cavalieri oscuri della tavola deforme diventano Re della malavita nell'Inghilterra della Swinging London. Ci saranno sale da biliardo adibite ad ufficio (come in Romanzo Criminale), omicidi di nemici, fama ("Conoscete i Beatles?" chiederà loro un gangster yankee pronto a un'interessante connection: "No, ma penso che loro conoscano noi" sarà la risposta geniale dei Kray; ode a Philip Ridley in sceneggiatura), decadenza caligolesca (Ronnie prova sempre più piacere a strusciarsi addosso dei serpenti giganteschi), chiacchiere pop pre-Tarantino (esilarante la critica del gangster americano al significato di Can't Buy Me Love dei Beatles), vicinanza a celebrità (qui Judy Garland come Califano per la Banda della Magliana o Frank Sinatra per la mafia Usa o qualche neomelodico campano per il Sistema alias Camorra) e declino dettato dall'impulso omicida che li farà marcire in galera fino alla fine dei loro giorni. Bravissimo Medak a preferire l'onirismo (grazie anche a una splendida colonna sonora sognante di Michael Kamen) al realismo anche nel momento della caduta.
Prima della fine del film li vedremo al centro di un geniale movimento circolare della macchina da presa di Medak (della serie: tutto torna e tutto è ciclico), vecchi e in religioso silenzio davanti alla tomba di una certa persona.

Mamma

Gangster mammoni? Una marea. James Cagney ne La Furia Umana (1949) di Raoul Walsh (Arthur 'Cody' Jarrett urlerà alla fine: "Ci sono, ma': sulla vetta del mondo!"), Tony Montana in Scarface (1983; la mamma lo mena e rimprovera e lui abbozza), tutto il clan di figli e altri parenti (compreso un Robert De Niro ragazzino) adoranti Shelly Winters ne Il Clan dei Barker (1970) di Roger Corman fino ad arrivare al gangster movie contemporaneo con il Jimmy "Whitey" Bulger di Black Mass (la mamma è l'unica femmina che sembra non odiare con tutto se stesso) e il Samurai di Claudio Amendola di Suburra (ispirato a Massimo Carminati) affettuosamente deluso che mammina non abbia mangiato la torta che le ha portato.

Il balletto degli Spandau

Scelta più perfetta non si poteva fare. Tra le tante mosse intelligenti di un film ancora oggi incredibilmente intelligente e di classe ci fu la scrittura di Gary e Martin Kemp del gruppo pop scioltosi nel 1989 Spandau Ballet come protagonisti nei panni di Ronald e Reggie Kray. Gary è sempre stato il più intelligente, "cattivo", ambizioso e artisticamente dotato del gruppo (era anche quello che collaborava di più con Russell Mulcahy alla regia dei loro videoclip epocali dei primi '80). Indubbiamente non poteva che essere lui Ronald Kray: il più psicopatico, raffinato e violento della coppia di gemelli. Martin, d'altro canto, è magnifico con i suoi occhi dolci da divo americano a incarnare il gemello più passivo, prigioniero, borghese ed equilibrato dei due (forse sa a un livello inconscio di essere desiderato sessualmente dal fratello e la sua malinconia di fondo deriva da quello). Il ruolo di Gary e Martin dentro gli Spandau era esattamente lo stesso e il documentario recente Soul Boys of the Western World (2014) ce lo ha ricordato: Gary (chitarra e testi) era il capo aggressivo e Martin (non a caso: bassista) il belloccio di contorno. Erano loro il fulcro degli Spandau. Sia Tony Hadley (voce) che Steve Norman (sassofono) che John Keeble (batteria) non dovevano troppo interferire con gli obiettivi e strategie dei fratelli Kemp. Soprattutto di Gary.

Hardy Time

E ora? Ora è il momento di Tom Hardy in versione doppia alla Armie Hammer di The Social Network (2010) per i gemelli Cameron & Tyler Winklevoss. Ora tocca al brillante attore inglese incarnare i due fratelli Ronald e Reggie Kray in Legend (2015) di Brian Helgeland, in anteprima italiana all'imminente Festa del Cinema di Roma e già uscito nei cinema inglesi con risultati a dir poco lusinghieri. Che film ci dovremo aspettare? Forse più realistico (la tecnologia di oggi permette più agevolmente ad Hardy di essere sia Ronnie che Reggie) ma speriamo non meno sexy, pericoloso e inquietante della favola freak di Medak & Ridley datata 1990.

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