Bad School - Lo Sciacallo: Nightcrawler, di Dan Gilroy

Il Bad School della settimana è Lo Sciacallo di Dan Gilroy, prima regia per il regista di End Of Justice. Fu un'opera inquietante con uno spaventoso Gyllenhaal

Condividi
Spoiler Alert
End Of Justice

Prima di affrontare il controverso avvocato assai poco empatico Roman J. Israel Esquire come protagonista del suo secondo film End Of Justice - Nessuno È Innocente, Dan Gilroy scrisse nel 2014 un ruolo non solo poco empatico ma completamente sociopatico per un Jake Gyllenhaal sempre attento a ricercare quelle esperienze che potessero farlo tornare l'attore elettrizzante e sorprendente di Donnie Darko (2001). La collaborazione Gilroy-Gyllenhaal creò qualcosa di profondamente disturbante: Lo Sciacallo - Nightcrawler, piccola gemma noir girata quasi sempre di notte, con cast raccolto, per una Los Angeles placidamente folle ritmata dalla colonna sonora esuberante di James Newton Howard. Lo stringer è un operatore video capace di vendere al miglior offerente filmati di incidenti o fattacci di cronaca che interessano le mille stazioni televisive concentrate nel palinsesto a inserire materiale crime. Devono essere sanguinosi i filmati? No... meglio usare la parola più politicamente corretta: grafici. Certamente una disgrazia in un quartiere ricco fa più audience rispetto alle zone malfamate. Lo stringer si sintonizza con uno scanner alla radio della polizia, si dirige di gran carriera dove sa che convergeranno le forze dell'ordine, filma ciò che è accaduto cercando di inquadrare qualche vittima e poi corre a contrattare la vendita del suo prodotto. Un giovane uomo senza carne (è magrissimo), luce negli occhi (sono due enormi buchi neri in cui è facile perdersi), famiglia (un drammaturgo nordamericano può scriverlo; noi meno), amore, amici, istruzione (è un onnivoro via internet) e scrupoli morali (è un ladro che immediatamente aggredisce il custode di un cantiere dove è sgattaiolato per un misero furto) entrerà nel giro degli stringer. Sarà bravo? Forse qualcosa di più.

Re Per Mille Notti

Lou Bloom (Gyllenhaal) aspetta appollaiato sul tetto della macchina la segnalazione giusta dalla polizia. È famelico e perennemente affamato (Gyllenhaal prese così alla lettera l'indicazione di Gilroy da entrare in un regime di dieta durissimo). Non vuole essere un semplice furfante per tutta la vita. Ha grandi sogni. Come il Rupert Pupkin del Robert De Niro di Re Per Una Notte (1982; enorme punto di riferimento per Gilroy e uno dei migliori Scorsese di sempre) sorride spesso, stringe mani, cerca di farsi benvolere e adora parlare attraverso frasi motivazionali che ha letto online. È rapace e capace di adattarsi alle leggi della giungla mediatica dove è così bravo a imparare le regole del gioco da volerle addirittura cambiare: perché non spostare leggermente la vittima di un incidente automobilistico per ottenere un'immagine migliore? Tanto la polizia non è ancora arrivata. E perché non penetrare nella casa di altri malcapitati mentre i poliziotti sono occupati nel giardino, spostando le foto sul frigorifero della famigliola e riprendendo i proprietari dalla finestra interna. Il controllo sull'immagine diventa per Lou sempre più importante.
Da stringer si trasforma in...

Regista

Al suo assistente (Riz Ahmed: fantastico) dirà come fare gli zoom, lo rimprovererà per delle panoramiche troppo nervose o per una presa troppo traballante della telecamera. Lou sta facendo i soldi. Vende sempre meglio. Forse ha trovato una cosa che finalmente gli piace fare: filmarci mentre siamo sanguinanti. E non è nemmeno illegale. Nuove attrezzature, una macchina più veloce (bisogna sfrecciare per LA raggiungendo i luoghi dei delitti) e soprattutto un'ambizione da filmmaker sempre meno attinente al lavoro di stringer. La modifica e manipolazione dell'immagine è così potente da trasformare anche la notizia giornalistica. Molto interessante: se i filmati di Lou presentano un regolamento di conti tra criminali come fosse invece un brutale omicidio casalingo a danno di incensurati... il telegiornale sceglie di andare nella direzione narrativa scelta da Lou. Se il sociopatico diventa stringer eccolo dirigersi sempre di più verso il cinema (sono gli stessi programmi di news che usano termini anche hollywoodiani come horror ed home invasion) e il cinema è anche investigazione (seguirà gli autori di un omicidio a piede libero non dicendo alla polizia che conosceva il loro numero di targa), azione (inseguimento con sgommate), sparatoria e morte (arriveremo allo snuff movie oppure quello è un vero e proprio omicidio indiretto a favore di macchina?). Con una musica quasi mistica (l'ottimo Howard aveva aperto il film con una sinfonia di vibranti annunci apocalittici attraverso energiche percussioni), eccolo Lou davanti al suo ultimo capolavoro che non a caso Gilroy inquadra quasi come se fosse su grande schermo mentre lui e Nina Romina (Rene Russo: maestosa) lo guardano esaltati come se fossero una coppia di fidanzatini andati a vedere un'eccitante poliziesco. Lei sarà completamente sedotta dal capolavoro di Lou e lei è anche il capo delle news del canale televisivo KWLA 6 con cui Bloom, pur essendo freelance come gran parte degli stringer, aveva deciso di avere un rapporto confidenziale anche per un pragmatico interesse sessuale, esplicitato in una cena messicana dove il nostro sociopatico, che urla a casa da solo allo specchio e ride a scoppio ritardato per una gag di Danny Kaye ne Il Giullare Del Re (1955), l'ha addirittura ricattata sfruttando le difficoltà professionali di una giornalista schiava dello share.

Conclusioni

Il film di Gilroy fu un successone. Non se ne vedevano più di pellicole così morali, pessimiste e ironiche (il film può anche essere letto come una commedia nerissima) dove la sociopatia del protagonista non era mai, sotto sotto, ammirata dal regista con un senso finale di elegante e chirurgico atto di accusa nei confronti di una dipendenza del pubblico televisivo nei confronti delle tragedie umane, diventate solo l'ennesimo prodotto audiovisivo che circonda e allieta la nostra esistenza. Voyeurismo e morbosità sono sempre stati indagati dagli artisti del prodotto audiovisivo, da Hitchcock al Deodato di Cannibal Holocaust (1980) fino al Cronenberg di Videodrome, di cui questo film sembra il fratello meno tossico e delirante. Con Lo Sciacallo il cinema americano tornò a dei livelli altissimi grazie anche a un attore molto coinvolto (anche in produzione) incomprensibilmente non candidato agli Oscar nell'anno (2015) in cui sarebbe entrato in cinquina un per niente eccezionale Cumberbatch di The Imitation Game. Gilroy, fratello del ben più noto Tony, avrebbe ottenuto la nomination all'Oscar per Miglior Sceneggiatura Originale (un copione perfetto anche perché scritto nel corso di molti anni), la pellicola avrebbe incassato bene (50 milioni worldwide a fronte di un budget da nemmeno 9) e qualcuno avrebbe esultato per il ritorno di un cinema per adulti sofisticato, complesso e problematico.
Quando Lou Bloom chiude il film facendo il suo discorsetto motivazionale a quello che sta diventando il suo esercito di dipendenti... non sembra più di vedere solo un sociopatico che ha vinto ma un vero e proprio esercito di sciacalli.
Pronti a moltiplicarsi per le strade buie di Los Angeles.

Continua a leggere su BadTaste