Bad School - Jumanji, di Joe Johnston

Il Bad School della settimana è dedicato a Jumanji di Joe Johnston, quello strano film del 1995 stroncato dalla critica americana che oggi ci sembra sempre più bello e potente

Condividi
Spoiler Alert

Fiaba

Perché piacque così tanto al pubblico e non fu capito assolutamente dalla critica? Perché arrivò come un fulmine a ciel sereno dentro la testa dei bambini americani, e non solo, di quel lontano 1995? Perché faceva paura. Metteva a disagio. Era semplice e spaventoso. L'originale Jumanji... era puro terrore. L'incubo dentro l'adattamento cinematografico del romanzo del 1981 a firma Chris Van Allsburg risultò sottile e perturbante non tanto per via di animali pestiferi che ti entravano in casa o infestavano la tua classica cittadina tranquilla (anche se la scimmia con il viso da adulto antipatico che carica da sola un fucile a pompa dentro una macchina della polizia è un'immagine ancora oggi veramente forte) quanto piuttosto per alcuni traumi infantili che andava a stimolare con una certa tetra dinamicità. L'ambientazione è fangosa e autunnale (foglie secche ovunque), i genitori ricchi e distaccati, il piccolo eroe wasp vittima di bullismo ma allo stesso tempo ignavo artefice del licenziamento di un lavoratore afroamericano pieno di voglia di fare e speranza (il che crea un senso di colpa lancinante nello spettatore immedesimatosi fin dal minuto 1 nel piccolo protagonista). Alan Parrish, in quel 1969 visivamente cupissimo, è innamorato di una ragazzina che sembra il doppio di lui (la cosa dava una sensazione di inadeguatezza sessuale pazzesca per un giovane spettatore maschio con prime pulsioni etero) e non solo ha genitori distaccati in un maniero gigantesco ma pure una compagna di giochi che lo abbandona in una dimensione terrificante (al contrario di Stranger Things) dandosela a gambe dopo che lui è stato risucchiato in un mondo pieno di pericoli e creature schifose. Prima di vedere questo inizio degno di un raccontino horror e freudiano di E. T. A. Hoffmann... abbiamo assistito a un prologo nel 1896 in cui due fratelli seppellivano tremanti dalle parti di Brantford, New Hampshire un gioco da tavola intitolato Jumanji.

Stile

Mai visto Robin Williams così cattivo. Vogliamo concentrarci sulla recitazione inusuale dell'uomo più simpatico d'America dai tempi di Mork & Mindy, il quale aveva aumentato il suo credito di affetto presso il pubblico mondiale con Good Morning, Vietnam e L'Attimo Fuggente (rispettivamente prima e seconda nomination Oscar)? Il suo Alan Perrish, ritornato improvvisamente dalla dimensione di Jumanji nel 1995, è un bambino tremante in un corpo da adulto vestito con le foglie della giungla (questo accade al minuto 30 di una pellicola lunga 104'), ha uno stress post traumatico peggio dei reduci della Guerra del Vietnam, non nasconde evidenti brame vendicative nei confronti di quella ragazzina che lo lasciò prigioniero del gioco 26 anni prima e ha una certa difficoltà ad assumere un ruolo genitoriale durante la sarabanda del 1995 nonostante debba sopravvivere in compagnia di due fratellini (la sorella grande è Kirsten Dunst) e quella famigerata amica del 1969 diventata ancora più alta (una magnifica Bonnie Hunt) durante un'invasione nella Brantford di metà anni '90 a base di bestiacce realizzate dalla Industrial Light & Magic fondendo cgi e animatronics.

Conclusioni

Il film di Joe Johnston non è solo una stravaganza effettistica cgi post successone di Jurassic Park (1993) a base di scimmie (simili ai gremlins), zanzare giganti, elefanti, leoni, piante carnivore, coccodrilli, ragni e un cacciatore colonialista di nome Van Pelt con la faccia uguale a tuo padre che ti vuole uccidere con la meticolosità del Terminator di Cameron (c'è anche una scena uguale a quel capolavoro sci-fi: Van Pelt va a comprarsi un megafucile in un negozio di armi della realtà 1995 per crivellare di colpi Alan). Jumanji è qualcosa di molto più profondo, freudiano e spaventoso: racconta di bambini amareggiati dalla vita (la piccola Dunst inventa storie macabre sulla morte dei propri genitori), di genitori irraggiungibili, di amici risucchiati nel vuoto, di padri che vogliono uccidere i figli e di amore per una ragazzina che si trasforma in odio puro (quando Robin Williams ritrae all'improvviso la mano con un ghigno ingannando Bonnie Hunt... è forse il suo momento più diabolico al cinema del quarantaquattrenne Williams prima del tentativo di diventare villain nei 2000 con One Our Photo di Romanek e Insomnia di Nolan). Rivisto oggi Jumanji è un film praticamente perfetto perché semplice, diretto, complesso ed elegante (la dimensione dove Alan è riuscito a sopravvivere per 26 anni fa ancora più paura perché non la vediamo MAI). Guardate quanto è buffa la critica cinematografica. Ecco un estratto del Maestro Roger Ebert dalla sua stroncatura del 1995 (la traduzione è nostra per cui chiediamo la vostra indulgenza): “Jumanji è stato presentato come un film di leggero intrattenimento estivo grazie a quel rassicurante luccichio negli occhi di Robin Williams presente in tutti i manifesti che hanno accompagnato la promozione della pellicola. In realtà il film rischia o di far scappare i ragazzini dai cinema per il terrore oppure di costringerli a trovare rifugio nell'abbraccio di mamma e papà. Quelli di loro che riusciranno a sopportarne la visione integrale saranno invece probabilmente visitati di notte da incubi a base di immagini raccapriccianti”. Condividiamo perfettamente l'analisi di Ebert di questo bizzarro prodotto audiovisivo del 1995. Ma per lui tutta quella stramba identità di Jumanji era un errore oltre che un terrore (soprattutto in base al prodotto editoriale che quei filmmakers volevano realizzare). Per noi invece le cose che scriveva il grande Ebert in chiave negativa non sono solo giustissime ma soprattutto hanno reso Jumanji quello che è: un indimenticabile cult movie generazionale invecchiato benissimo capace giustamente di generare 22 anni dopo il buffo e pregevole sequel attualmente nelle nostre sale.

Continua a leggere su BadTaste