Bad School - Il Paese del Sesso Selvaggio, di Umberto Lenzi
Il Bad School della settimana è un omaggio al primo cannibal movie, genere rivisitato oggi da Eli Roth con The Green Inferno. Il regista era Umberto Lenzi
Cannibali
Lo diventammo noi italiani due anni dopo I Cannibali (1970) di Liliana Cavani. Nonostante il film di Lenzi si apra con la scritta enorme Scandinavian posta sulla fiancata dell'aereo che ha portato il fotografo inglese John Bradley in Thailandia, il film non è né norvegese né finlandese né svedese bensì tutto figlio di un italian style che dal neorealismo era arrivato al documentario antropologico e sensazionalista di Mondo Cane (1962) di Jacopetti-Prosperi-Cavara per poi sconfinare con questo film del 1972 firmato Umberto Lenzi nel primo cannibal movie della Storia del Cinema. Lenzi ammetterà infatti in una bella videointervista firmata Paolo Zelati contenuta nel dvd Shriek Show del film che: "Il cannibalismo è un elemento accessorio. Importantissimo ma accessorio". Quando il biondo e glaciale Bradley, interpretato da un Ivan Rassimov in zona Helmut Berger, arriva in Thailandia con la Scandinavian airline vediamo strade congestionate, sciuscià rosselliniani pronti a pulirgli gli stivali, viaggi in treno su ferrovie perse tra le montagne, incontri di boxe thailandese in cui Bradley si eccita vedendo due uomini prendersi a calci e pugni di santa ragione (scommettiamo che il cinefilo Nicolas Winding Refn di Solo Dio Perdona conosce ANCHE questo gioiellino di exploitation italiana?) alienandosi una compagnia femminile forse poi adescata da un locale baffuto. Sono i momenti forse più raffinati del bel film di Lenzi. Lo straniero all'estero fotografa in modo aggressivo, è attratto dalla violenza, beve whiskey, forse uccide (attraverso il ritorno freudiano di quell'uomo baffuto che forse insidiò la sua partner all'incontro di boxe) ma poi se ne vergogna e comincia a scappare con tanto di controlli della polizia in treno mentre lui nasconde la faccia seduto tra i passeggeri come il Cary Grant di Intrigo Internazionale. L'occidentale beone e possibilmente assassino, grazie alla raffinata sceneggiatura di Francesco Barilli (attore per il Bertolucci di Prima della Rivoluzione e poi regista del meraviglioso giallo italiano Il Profumo della Signora in Nero) e Massimo D'Avak, si sente braccato dopo aver dato sfogo alle sue pulsioni assassine e in un certo senso cerca di addentrarsi nella giungla per nascondersi allo sguardo della società indossando una nuova pelle (la muta con cui si immerge nei fiumi: una donna presto lo confonderà per una creatura delle acque) ormai già forse irresistibilmente attratto dal suo nuovo cuore di tenebra. Anche il Colonnello Kurtz di Apocalypse Now (1979), infatti, penetrava sempre più dentro la foresta verso tribù senza tabù occidentali.
Tribù senza tabù
Bradley verrà rapito mentre fotografa la giungla sulla sua barca insieme alla guida Tuan e come il John Morgan di Richard Harris di Un Uomo Chiamato Cavallo (1970) imparerà a conoscere usi e costumi di una cultura per lui aliena al confine tra Thailandia e Birmania. Qui si libererà dalla cattività uccidendo di nuovo (ma in quel contesto verrà considerato un duello corretto il cui esito letale verrà accettato in primis dal suo avversario Karen) e sposerà la bella e dolce Maraya (Me Me Lai), figlia del capo del villaggio Luhana (grande prova dell'attore non professionista Ong Ard), incline a giudicare Bradley con magnanimità a patto che lavori e sia un buon compagno per sua figlia. Bradley cambia. Dall'occidentale che gettava con disprezzo la sigaretta nel fiume come ne Il Mostro della Laguna Nera (1954) di Jack Arnold è passato ad essere un uomo pronto a imparare una nuova lingua, amare sinceramente Maraya (lei lo aveva preso inizialmente come schiavo personale) e difendere la sua nuova comunità con le unghie e con i denti.
Pane, amore e fantasia... nella giungla
Nel villaggio c'è l'arcinemico con cicatrice Karen (è il promesso sposo di Maraya ed è per questo che odia Bradley), lo stregone che Bradley disprezza, la vecchia Taima conoscitrice di qualche parola di inglese (è lei che aiuta Bradley quando è prigioniero), il saggio capo Luhana e alcune famiglie per un'atmosfera tutto sommato pacifica e serena spesso vivacizzata dalla presenza di bambini festanti. Per non cadere nel sentimentalismo bucolico ogni tanto Lenzi inserisce scene in cui si uccidono gli animali in modo spietato a favore di macchina o si vede un'avvincente lotta tra un topo muschiato e un serpente (sorpresa: vince il topo!) in base alla tradizione dei mondo movie poi sconfinata nei cannibal movie e portata da Ruggero Deodato all'apice dello snuff con Cannibal Holocaust (1980). Uccidere gli animali in diretta: una scelta oggi molto rimpianta da Deodato, all'epoca permessa vista l'assenza di associazioni contro il maltrattamento degli animali sullo schermo. Anche Coppola ne abusò nel 1979 in Apocalipse Now (il sacrificio del bue), film in fondo con più di un punto di contatto con questo duro cinema italiano di quegli anni, popolarissimo all'estero.
Quando tutto ebbe inizio
Dopo la violenza in città, dopo il rapimento nella giungla, dopo l'uccisione della nemesi e dopo la lenta ma costante assimilazione di Bradley alla vita sociale del villaggio con tanto di scalata della piramide gerarchica (presto l'occidentale potrebbe non volere più segnalare la sua presenza all'elicottero che ogni tanto volteggia sulla sua testa), cosa può andare storto per il nostro ex fotografo confuso inizialmente da Maraya per una creatura delle acque per via della muta da sub? Ecco due disgrazie: 1) l'attacco della tribù rivale dei Kuru (è qui che tutto ebbe inizio: Lenzi filma i Kuru che banchettano con il braccio di una donna. In quel momento nasce il cannibal movie); 2) la malattia di Maraya (la nostra è anche incinta del figlio di Bradley; ce la farà a dare alla luce il pargolo prima di morire?). Alla fine Bradley diventa compiutamente Kurtz. Meglio rimanere là e combattere per il suo nuovo popolo.
Conclusioni
Quando noi italiani eravamo Re facevamo un cinema che eccitava, innovava e conquistava il mondo. Come è invecchiato Il Paese del Sesso Selvaggio (titolo che oggi fa sorridere perché in fondo il sesso tra Bradley e Maraya non è particolarmente acrobatico o eccentrico)? Piuttosto bene. Bellissima la parte iniziale in città (che bravo Lenzi nella scena al bar: guardate con che classe inquadra di sbieco l'uomo del mistero che era presente all'incontro di boxe e ha seguito Bradley al locale) ed eccezionale Lenzi nella giungla per come inquadra il villaggio e dirige un gruppo di attori non professionisti locali senza conoscere la lingua ma con una maestria che questo talentuoso cineasta toscano all'epoca quarantunenne aveva chiaramente imparato dalla nostra preziosa tradizione neorealista. Il film è ancora oggi molto bello e grazie a quei pochi minuti di cannibalismo segna un'epoca e spinge i produttori del film Assonitis (ebbene sì: l'uomo che avrebbe fatto esordire, e infuriare, James Cameron con Piranha Paura) e Rossi a chiedere subito a Lenzi un nuovo cannibal movie per confermare la squadra de Il Paese del Sesso Selvaggio (Lenzi + Rassimov + Me Me Lai) visto lo straordinario successo economico del film a livello internazionale. Lenzi rifiuta, Deodato subentra al suo posto per Ultimo Mondo Cannibale (1977) e il resto è Storia: Deodato diventerà il regista italiano più simbolico del sottogenere in questione (e da lì arriviamo al suo ruolo di mentore e ispiratore per l'Eli Roth di The Green Inferno) mentre molti dimenticheranno che fu lui, Umberto Lenzi, il regista cannibale numero uno.
Il primo morso... lo diede lui.