Bad School - Il Cielo in una Stanza, di Carlo Vanzina
Alla Bad School questa settimana si studia un folle film nostalgia con viaggio nel tempo del 1999: Il Cielo in una Stanza. Elio Germano aveva appena 19 anni
Stava finendo una decade molto particolare per i Vanzina Bros cominciata con l'azzardo di Tre Colonne in Cronaca (1990), vivace thriller su politica & media stimato dalla critica, e terminata con l'ultima regia del cinepanettone Filmauro Vacanze di Natale 2000 prima di lasciare il campo a Neri Parenti. Come spesso capita con la filmografia di Carlo ed Enrico Vanzina quegli anni '90 furono un gran calderone. Progetti sofisticati ma poco redditizi (Tre Colonne in Cronaca, appunto) o film di grande successo popolare dove però si sentiva la pigrizia di non rinunciare a qualche volgarità di troppo pur di arrivare alla risata facile (i due A Spasso nel Tempo e S.P.Q.R. 2000 e 1/2 Anni Fa). In questo divertente caos trova spazio una follia, unica nella sua squinternata dolcezza, dal titolo Il Cielo in una Stanza (1999). Possedeva l'identità di film nostalgia sull'Italia degli spensierati anni '60 come il loro capolavoro Sapore di Mare (1983) e conteneva al suo interno il paradosso del viaggio temporale come classico escamotage per proiettare un personaggio da un'epoca all'altra (A Spasso nel Tempo) e giocare con la commedia di costume come nel caso della loro ultima fatica Torno Indietro e Cambio Vita. Quel 1999 avrebbe anche visto il passaggio televisivo della loro miniserie Anni '60 dopo la messa in onda nel 1998 di Anni '50. Quindi i due fratelli, noti per la scaltrezza e velocità produttiva, pensarono probabilmente: "Abbiamo scenografie e costumi degli anni '60. Perché non fare anche un film?". Ecco l'idea: un figlio rancoroso degli anni '90 dà del "vecchio" al padre severo durante uno dei loro tanti litigi dovuti alla supposta irresponsabilità del pargolo. Il padre, ferito nell'orgoglio, lo trascinerà con lui indietro nel tempo nell'Italia del 1965 per permettere al figlio di fare la conoscenza con il suo stesso più giovane e capire, in fondo, quanto il genitore fosse stato anche lui un giovane impaziente e frustrato. C'è una buffa coincidenza.
Come te nessuno maiIl Cielo in una Stanza esce nei cinema il 2 aprile 1999. Come Te Nessuno Mai di Gabriele Muccino, invece, il 1 ottobre. I film hanno una strana fratellanza. Anche l'opera seconda di Muccino mette in scena un rapporto di profondo contrasto tra un figlio (Silvio Muccino) di fine anni '90 e un padre antipaticissimo tipico esponente della Meglio Gioventù (Luca De Filippo), ovvero quei nati tra la fine degli anni '40 e i primi anni '50 che sembravano in quel lontanissimo 1999 destinati a prendere in mano le redini del paese dopo aver già scalato molti gradini della società. Massimo D'Alema (nato nel 1949; il film di Muccino conterrà un suo intervento di repertorio in voce) si trovava in quel momento a metà della sua breve esperienza di Presidente del Consiglio. I film condividono dunque qualcosa. Ecco degli acuti cineasti popolari come Vanzina Bros e Muccino Bros (Silvio era autore del soggetto) intuire quanto in quel momento il conflitto generazionale stia diventando cruciale nel Paese. Avevano perfettamente ragione e anzi anticiparono una discussione che sarebbe aumentata in intensità negli anni successivi fino ad arrivare ai giorni nostri. C'è da aggiungere che Ricky Tognazzi, rispetto alla insopportabile prosopopea e presunzione del papà del bravissimo Luca De Filippo (uguale a D'Alema anche fisicamente in Come te nessuno mai), è ne Il Cielo in una Stanza un genitore anni '90 infinitamente più umano e simpatico (anche i Vanzina Bros sono della Meglio Gioventù ma di quella generazione non posseggono snobismo e alterigia). Il corrispettivo giovane di Ricky Tognazzi nel passato, invece, diventerà uno dei più grandi attori italiani del presente. Il suo nome è...
Elio GermanoFormidabile a partire da un doppiaggio in cui esaspera gli stridii di una voce ancora acerba. Però c'è anche Gabriele Mainetti. Diciamolo subito: Mainetti e Germano sono f-a-n-t-a-s-t-i-c-i. C'è una chimica pazzesca tra questi due corpi così diversi. Imponente, spontaneo, trasandato e più disperato Mainetti (aveva 23 anni); azzimato, composto e già in pieno controllo Germano (aveva 19 anni!). Che coppia. Rivedere Il Cielo in una Stanza oggi, nel 2015, ti fa quasi urlare nel cervello: "Ma perché non è nata una serie di film con Mainetti-Germano alla Abbott & Costello, Bud Spencer & Terence Hill o Winter & Reeves (alias Bill & Ted)?". Li avremmo voluti vedere in un road movie negli Stati Uniti, dentro un'avventura alla Indiana Jones in Sudamerica o in un horror comico alla Franco & Ciccio, magari tra Dracula e Frankenstein. Semplicemente: li avremmo voluti rivedere insieme. Chissà. Magari in futuro. Tornando al film... è come se la macchina da presa di Carlo Vanzina si accorgesse che tra i due c'è una sintonia speciale soprattutto quando i ruoli si invertono e Mainetti comincia a comportarsi da papà con quel padre così mingherlino e indifeso (bello quando lo copre con la sua giacca durante un freddo viaggio in treno). Il Cielo in una Stanza pone davanti ai nostri occhi la prima parte da protagonista (con tutto il rispetto per il suo Andrea "Cotoletta" di Ci hai rotto papà del 1993) per il futuro Miglior Attore al Festival di Cannes 2010 (per La nostra vita di Luchetti) per non menzionare i tre David di Donatello a nemmeno 35 anni d'età già portati a casa. Germano in questo momento è un gigante. E' appena reduce dal suo terzo David per essere stato Giacomo Leopardi ne Il Giovane Favoloso di Mario Martone. Mainetti? Stiamo aspettando con grande curiosità il suo esordio alla regia nel lungo con Lo chiamavano Jeeg Robot dopo una bella carriera da "cortista". Ma entriamo nello specifico di questa adorabile commedia nostalgia + viaggio nel tempo del 1999.
Uno stacco violento che avrebbe scioccato Lynch e Buñuel
Dopo la litigata iniziale tra Mainetti/figlio e Ricky Tognazzi/padre nel 1999 (prima avevamo visto una diciannovenne Cristiana Capotondi rompere il fidanzamento con Mainetti in mezzo alla strada) assisteremo a uno degli stacchi al montaggio più brutali della Storia del Cinema italiano (e non solo). Si passerà da un'inquadratura di Ricky Tognazzi che irrompe in camera del figlio per dirgli: "Guarda che son stato giovane anch'io sai!?"... a Ricky Tognazzi trasformato in Elio Germano alla guida di un motorino nella Roma del 1965! Mainetti comparirà seduto dietro di lui più sconvolto che il padre guidi una Lambretta 175 rispetto al fatto di aver viaggiato indietro nel tempo. Aggiungeteci un Gianni Morandi che canta scatenato Andavo a Cento all'Ora in colonna sonora ed avrete un time warp cinematografico così inspiegabile e violento che anche sibillini surrealisti come Luis Buñuel e David Lynch lo avrebbero trovato estremo. I Vanzina no. A cento all'ora verso le avventure di Mainetti-Germano nel 1965 con altre deliranti forzature in sceneggiatura ad attenderci tipo: 1) Perché gli amici di Germano del 1965 non gli chiedono: "Ma chi è quello spilungone che ti porti dietro"? 2) Perché i genitori di Germano del 1965... non fanno la stessa domanda degli amici? (il padre interpretato da un perfetto Maurizio Mattioli gli chiederà solo una volta -il che è ancora più straniante- se quella compagnia maschile così assidua non sia segno di omosessualità 3) Come fa Mainetti ad entrare in classe di Germano e partecipare con lui alle lezioni del classico Liceo Mamiani (la cui facciata è in realtà il Policlinico Umberto I di Roma)? E potremmo andare avanti. Però sapete che c'è? Queste follie in altri film sarebbero imperdonabili. Nel nostro Bill & Ted italiano... rendono il film ancora più folle e tenero. C'è un cuore nella pellicola direttamente proporzionale a queste incongruenze. In fondo la missione di Paolo (Mainetti) nel 1965 è solo quella di osservare il mondo relazionale del papà (anche troppo: ci piacerebbe chiedere ai Vanzina Bros perché il figlio senta la necessità di spiare da una porta la possibile perdita della verginità del genitore) per capire le sue debolezze e provare un'empatia impensabile nel 1999. Il viaggio non è fisico ma psicologico. Il percorso deve essere più interiore che esteriore in Paolo. Visto che non dovrà svolgere nessuna impresa action decisiva, a differenza del Marty McFly di Ritorno al Futuro (1985), quei vuoti di sceneggiatura sono meno fastidiosi di quello che può sembrare. Bisogna lasciarsi andare a un'esperienza filmica di natura onirica. Certo... una chiusura con ritorno ai giorni nostri sarebbe stata forse auspicabile. Ma per i Vanzina... no. Il film si chiude in un traghetto del 1966 (Marco è stato quasi un intero anno lì). C'è anche un pensiero quasi gotico. E se Paolo non tornasse più nel suo tempo e rimanesse intrappolato lì per sempre come Jack Nicholson in Shining? Anche in questo caso... basta osservare il clima emotivo della scena per smetterla di preoccuparsi e amare la bomba. Marco (Mainetti) è così felice di trovarsi in quel traghetto con il papà e l'amico paralizzato Claudio (bravo Francesco Venditti) in viaggio verso l'ex Jugoslavia... da non avere più bisogno di nient'altro che quello. L'emotività può battere la logica in un film. Il Cielo in una Stanza non è tanto una commedia quanto piuttosto una love story tra padre e figlio. Anche se ci sono tanti episodi buffi.
Marco & Paolo Excellent Adventures
I Vanzina Bros stabiliscono in Piazza Euclide del quartiere Parioli la base di partenza per le avventure giovanili di entrambe le generazioni. In queste imprese il papà Paolo è protagonista mentre Marco gli fa da scudiero, un po' Sancho Panza, complice, voyeur, allenatore a bordo campo, coach nell'angolo del ring. Visto che ci troveremo per larga parte del film nel 1965... di quali epiche gesta stiamo parlando? Imbucarsi alle feste, rimanere senza miscela, tornare a casa tardi la sera (tardi... sono le 20.30; negli anni '90 tardi sono le 3 del mattino), lezioni al Mamiani, compagni di scuola, aiutare l'amico figlio del portiere del palazzo Claudio a diventare calciatore (Marco comincia a guardare il padre con occhi diversi quando intercetterà questo spirito interclassista di un padre che non si vergogna di frequentare il figlio del portiere), scherzi telefonici (povero Ragno Gelido), spiare le forme della domestica dell'amico ricco Massimo (la frequentazione tra classi sociali diverse è frutto della scuola statale del dopoguerra), ballare nel locale di punta della movida romana Piper (dove ci si dimena al ritmo di Che colpa abbiamo noi dei Rokes), giocare a pallone ed esultare come Pelé dopo un gol (il padre Paolo è romanista mentre il figlio Marco è laziale), invitare una prostituta a casa quando i genitori partono per un weekend a Pescasseroli, ascoltare il derby Roma-Lazio alla radio grazie a Tutto il calcio minuto per minuto, nevicate romane improvvise (licenza poetica: la neve a Roma cadde copiosamente nel 1956), rimorchiare le svedesi sulla scalinata di Trinità dei Monti a Piazza di Spagna, scrivere una lettera d'amore in inglese plagiando integralmente I Want To Hold Your Hand dei Beatles (è un momento tenerissimo tra Marco e Paolo; l'amore sta finalmente sbocciando), capodanno del 1965, un carnevale in cui i giovani del '66 si vestono da personaggi horror (Germano e Mainetti, vampiri, trattengono a stento la risata per tutta la scena), viaggiare verso la Svezia alla volta di un amore sperato, scegliere di passare le vacanze a Fregene per stare vicino all'amico paralizzato Claudio (stupendo il primo piano di Mainetti che annuisce commosso guardando il padre quando Germano comunica mezzo balbettante a Venditti la scelta di passare l'estate con lui).
Conclusioni
Basta litigare. I due maschi rissosi effettueranno una lunga danza d'amore fatta di chiacchiere letterarie, musicali, sportive, sentimentali. Il tempo sembra non passare mai, le stagioni si susseguono e dopo il capodanno ecco la settimana bianca e dopo la settimana bianca ecco il carnevale e poi la gita a Pompei di fine anno scolastico. E' davvero così importante sapere dove dorme e come fa a vivere Marco nel film? No. Il tempo de Il Cielo in una Stanza è il tempo della nostra memoria. E' un film che ti fa venir voglia di andare a vedere come era tuo padre e cosa faceva con i suoi amici quando era un ragazzino. Se Nebraska di Alexander Payne ci ha insegnato a guardare in modo diverso nostro padre oggi, Il Cielo in una stanza ci spinge a pensare a come stava lui ieri.
"Io sto sempre andando a casa, sempre alla casa di mio padre" dice l'attore californiano interpretato da Paul Dano in Youth di Sorrentino citando Novalis. Ecco, proprio di questo parla questo film del 1999.
Di un padre che era anche un figlio, di viaggi nel tempo impossibili e di un cielo che può essere contenuto in una stanza. Di qualsiasi generazione tu faccia parte.