Bad School - Fuga Per La Vittoria, di John Huston
Il Bad School della settimana è Fuga Per La Vittoria di John Huston dove la rovesciata di Edson Arantes Do Nascimento in arte Pelè fa applaudire il nazista
Nel 1981 esce nei cinema di buona parte del mondo un film che ottiene una buona vittoria al botteghino nonostante sia costato la cifra per l'epoca impegnativa di 10 milioni di dollari. Lorimar Film Enterteinment + New Gold Enterteinment cercano di costruire una pellicola che unisca il cinema di guerra a base di fuga dalla prigionia (gli anglosassoni hanno l'acronimo POW per il sottogenere prisoners of war) alla performance sportiva catturata o meglio sublimata dall'arte cinematografica. Fuga Per La Vittoria vorrebbe citare una partita di calcio realmente accaduta tra la Dinamo Kiev e i soldati tedeschi durante l'occupazione nazista dell'Ucraina nel lontano 1942. È un fatto storico diventato poi strumento di propaganda sovietica di tale fascino da ispirare film (l'ungherese Két Félidö A Pokolban) e documentari. L'idea dei soggettisti accreditati Yabo Yablonsky, Djordje Milicevic e Jeff Maguire, cui si aggiungerà lo sceneggiatore Evan Jones, è semplice: una partita di calcio con schierati veri campioni del pallone + star mainstream per raccontare un match tra prigionieri delle forze alleate contro una compagine tedesca di militari sul finire della Seconda Guerra Mondiale. L'intento è quello di creare un confronto cavalleresco tra un ufficiale inglese (Michael Caine) e uno tedesco (Max von Sydow) con il calcio a sostituirsi alle armi per una guerra combattuta a colpi di gol e dribbling. La Grande Fuga + Quell'Ultima Sporca Meta? Certamente. L'idea era quella. I calciatori veri inseriti nel cast furono tantissimi: Bobby Moore (farà un certo cross), Osvaldo Ardiles (farà la sua famosa "bicicletta"), Paul Van Himst, Kazimierz Deyna, Hallvar Thorensen, Werner Roth, John Wark, Jacobus Theodorus Wilhelmus, Russell Osman, Mike Summerbee, Søren Lindsted.
Tra loro anche Pelé, nel ruolo non di un brasiliano (entrarono in Guerra tardi e parteciparono soprattutto alla liberazione d'Italia come racconta anche il film Road 47) bensì di un soldato di Trinidad e Tobago.
Nome?
Luis Fernandez
Ma torniamo al film di Huston per chiederci... che tipo è il Luis Fermandez di Pelé dentro quella avventura?
Mani in tasca e armonica
Partita
L'ultima mezzora del film di Huston, come si sa bene, è dedicata alla partita Alleati vs. Tedeschi (sul tabellone: Deutsche Wehrmacht vs Allierte Auswall). È in quel segmento di film che Fuga Per La Vittoria da commedia drammatica virile di guerra legata ad evasioni da campi di prigionia diventa il film sportivo che fa piangere noi uomini (questo genere cinematografico ha lo stesso effetto su un certo tipo di maschio di quello delle commedie romantiche su un certo tipo di donna). È in quest'ultimo atto che Fuga Per La Vittoria ci regala, ancora oggi, alcuni dei momenti più belli legati alla rappresentazione che la settima arte ha dato nei suoi 120 anni di vita del gioco del pallone. Anche Pelé dei fratelli Zimbalist ha lampi non male durante la finale dei campionati del mondo del 1958 in cui Pelé era un diciassettenne in cerca del binomio divertimento/vittoria. Qui però per molti appassionati ci fu la possibilità di vedere un vero campione ancora scattante glorificato dalla cinepresa di Huston e dalla musica maestosa di un Bill Conti vicino al Šostakovič di Sinfonia n. 7 Op. 60 in do maggiore. Luis Fernandez, dopo aver incitato i compagni ("Gioco duro, eh? Gioco duro"), è uno dei tre alleati pronti a dare il calcio d'avvio. Poi lo picchieranno di santa ragione. I tedeschi sono sporchi, belli (il telegenico capitano alemanno è in realtà l'americano Werner Roth, ex compagno di Pelé al New York Cosmos) e cattivi. Anzi cattivissimi. Chi ne fa più le spese è proprio il 10 Luis Fernandez, preso letteralmente a calci ogni volta che prende il pallone. Non ci vuole molto prima che il numero 2 e 3 tedeschi lo chiudano in una morsa letale che lo obbligherà ad uscire dal campo per una botta atroce al torace. Tutto finito per Luis? Ma nemmeno per sogno. Prima convincerà durante l'intervallo Hatch e Colby a non scappare (era il piano originale) quando gli alleati sono sotto 4-1 ("Hatch, se scappiamo ora perdiamo più di una partita. Ti prego, Hatch!") e poi...
Mano sul cuore e rovesciata
Luis chiede all'allenatore in campo Colby (Caine con pancetta più che evidente) di rientrare. Può sembrare strano che un infortunato possa rimettere piede in campo una volta uscito come nel basket, ma all'epoca d'ambientazione del film si poteva fare anche nel calcio. Luis rientra. Gli Alleati si sono portati a un solo gol di distacco. Il numero 10 gioca con il braccio sinistro a protezione dello sterno. Alcuni possono vederla così, altri possono leggere in quella postura da infortunato la fortunata metafora visiva di un Fernandez che affronta quegli ultimi minuti del match con la mano sul cuore. Gli alleati sono sotto ma in risalita e Luis, adesso, sopporta ogni tackle avversario con resistenza stoica mentre il numero 4 tedesco interpretato da Roth, senza più freni inibitori, lo prende addirittura a cazzotti in pancia durante i contrasti. Luis si produce in tunnel, slalom, finte e danze ginga fino a che non passa la palla sulla fascia al Terry Brady interpretato dal mitico Bobby Moore. Stop di petto di Moore.
Stop
Qui comincia un altro film dove finisce Luis Fernandez e comincia il vero Pelé: il nazista perbene Von Sydow percepisce l'arrivo di qualcosa dopo quello stop di petto dell'alleato, Brady crossa, la palla va in aria, Pelé la osserva, due tedeschi saltano a vuoto in slo motion e Pelé... la mette dentro in rovesciata. Huston e il montatore Roberto Silvi fanno a questo punto una cosa geniale: entrano nella testa di Von Sydow. È attraverso il suo privilegiato punto di vista che rivediamo, quasi fosse un replay mentale, quella rovesciata. Una volta, due volte... e in dissolvenza incrociata mentre Bill Conti si fa etereo, quasi mistico, in colonna sonora. Fred Astaire, Gene Kelly, Bruce Lee... Pelé. Questa è la grazia del gesto fisico mentre si compie davanti ai nostri occhi. E poi arriva, dopo la rovesciata, l'altro gesto più bello di tutto il film: l'applauso del nazista Max Von Sydow. Avendo visto e rivisto nella sua testa quella celestiale acrobazia... Von Steiner non si frena e nonostante il colore della pelle di quel signore e l'incredibile pareggio ottenuto dagli Alleati, eccolo alzarsi per applaudire in solitaria sotto lo sguardo esterrefatto degli altri ufficiali tedeschi.
Poteva esserci applauso ed applauso. Come lo fa Von Sidow è appassionato, frenetico, libero e condizionato puramente da un gesto cui non si può negare quel battere di mani se ci consideriamo dei veri appassionati di calcio.
Con il momento della rovesciata lo Huston di Fuga Per La Vittoria diventa la Riefenstahl di Olimpia (citata nel da poco uscito in sala Race) eleggendo a divinità dell'atto sportivo un bellissimo corpo nero come lei aveva fatto con Jesse Owens in quel documentario olimpico così importante per stabilire la grammatica delle riprese audiovisive di un evento sportivo in diretta. Lì, soprattutto, l'atletica leggera e Jesse Owens. Qui il calcio e un Pelé che volteggiando in aria dopo aver staccato la mano dal cuore realizza qualcosa che non sarà mai solo un semplice gol.
Conclusioni
Quel gol finale lo voleva fare Sly. Gli spiegarono che un portiere non poteva permetterselo (il brasiliano Rogério Ceni non sarebbe d'accordo). Allora si ripiegò sul rigore parato al 90esimo minuto da Hatch. Ma nonostante la guerra di sguardi tra il sempre irresistibile Sly e l'antipaticissimo capitano tedesco Werner Roth prima del balzo da pantera in slo mo con cui Stallone afferra la palla di cuoio... Fuga Per La Vittoria si chiude per noi con quella rovesciata di Pelé.
Quando la mano è sul cuore e anche i nazisti si alzano in piedi ad applaudire.