Bad School - Dolly's Restaurant, di James Mangold

Il Bad School della settimana è l'esordio del James Mangold regista di Logan. Dolly's Restaurant ci proponeva già un approccio revisionista al cinema pop

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Spoiler Alert
Con Bedeschi

Quando il managing editor di BadTaste.it intervista James Mangold in relazione a Logan, si complimenta fuori onda con lui per il suo esordio del 1995 Heavy, intitolato dalle nostre parti anche con una certa sagacia Dolly's Restaurant (si parla di più dei titoli italiani brutti; noi invece vogliamo anche ricordare geni dell'adattamento come quel Roberto Cimpanelli che nel 1982 trasformò il difficile Evil Dead nel perturbante La Casa). Il Mangold del 2017 apprezza il complimento amarcord di Bedeschi e commenta scherzoso: "Il budget di quel film costava come il catering di Logan". Vogliamo quindi ricordare quel piccolo esordio arthouse di 22 anni fa in grado di lanciare la carriera di un regista che ora, a cinquantatré anni, gestisce budget da 127 milioni di dollari?

Con Forman

Michael Bay è stato artisticamente svezzato da Jeanine Basinger, docente di Storia del Cinema presso la Wesleyan University del Connecticut. John McTiernan deve tutto a uno slovacco pazzo, Ján Kadár, il quale lo sottoponeva ad esami tostissimi presso l'American Film Institute di New York in cui gli chiedeva di descrivere l'inquadratura numero 58 de Il Settimo Sigillo di Bergman o quella 37 de La Strada di Fellini.
Ora sapete da dove provengono i registi di Transformers (2007) e Predator (1987).
James Mangold ha avuto due mentori: prima il mitico regista de La Signora Omicidi (1955) Alexander Mackendrick presso il rinomato California Institute of the Arts e poi Milos Forman presso l'altrettanto prestigiosa Columbia University di New York. Durante il periodo di studio con il regista di Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo (1975; da cui Mangold prenderà la malattia mentale raccontata con rispetto "basagliano" e senza il minimo sensazionalismo), il regista trentaduenne cominciò a concentrarsi su un piccola storia ambientata dentro un diner dello Stato di New York in cui un cuoco introverso e sovrappeso incontra una bella fanciulla.
Questa idea divenne una sceneggiatura e questa sceneggiatura divenne un film: Dolly's Restaurant.

Revisionismo

Praticamente è già Logan. Anche se con un budget pari alle spese del catering del film con Hugh Jackman. L'approccio revisionista in questo caso non è con il cinecomic via western bensì con Psyco (1960) via Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo. Si prende un rapporto morboso figlio-madre, si sceglie un luogo di lavoro fisso (il diner Pete and Doll's Restaurant al posto del Bates Motel) e si declina il sottogenere del thriller patologico di natura freudiana canonizzato dal capolavoro di Hitchcock in chiave arthouse (leggi: non c'è dipendenza da shock o climax o catarsi finale). Emblematica è la presenza di Shelley Winters nel ruolo della madre potente Dolly Modino, chiamata da suo figlio Ma' come già capitava a Shelley nel gangster movie matriarcale di Corman Il Clan Barker (1970). Lei e il figlio vivono in simbiosi. Lei gestisce il locale e lui cucina. Lei parla e lui no. Victor (nome da tradizione horror gotico vedi Frankenstein) è una creatura strana: afasico, gioca al solitario, nessuna esperienza sessuale, invisibile nonostante sia un omone (è una caratteristica di cui si accorge subito David Patrick Kelly in incisivo cammeo in ospedale). La timidezza di Victor (un super Pruitt Taylor Vince) è patologica. La madre muore. A quel punto Victor non si mette a indossare la sua parrucca impersonandola... ma poco ci manca. Tiene segreta la notizia del decesso, non avverte nessuno dentro il ristorante e cerca di far finta di niente (sostiene che mamma si trovi in ospedale) perché non concepisce un cambiamento a una vita che vuole sempre uguale. Quindi Dolly's Restaurant è veramente un lavoro molto interessante di declinazione arthouse di uno degli shocker più brutali e commerciali della Storia del Cinema. Ma il cambiamento è sempre il motore del racconto. E il cambiamento è sempre una donna.

Liv

C'è chi esce di scena (mamma) e c'è chi entra prepotentemente sul proscenio (interesse sentimentale). Anthony Perkins uccideva travestito da sua madre Janet Leigh in Psyco perché il suo Norman Bates si era eccitato spiando quell'avvenente ospite, si era evidentemente masturbato (Gus Van Sant fu più esplicito nel suo remake) e quindi attraverso l'autoerotismo aveva portato in luce l'identità castigatrice della madre pronta a intervenire per eliminare quella pericolosa origine del peccato nonché minaccia per il figlio. La Winters, vedova nel film di Mangold di un uomo che l'aveva tradita, è più bonacciona e quando quella stangona di Callie (Liv Tyler) viene assunta come cameriera nel ristorante, la vedremo osservare da lontano di buon occhio la cotta del figlio nei confronti di questa ragazzona molto bella e molto incerta circa l'avvenire, sia in chiave accademica (Callie non sa se vuole andare al college), sia in chiave sentimentale (il fidanzato musicista interpretato dal vero Evan Dando frontman dei Lemonheads è più antipatico e egoriferito del fidanzato della porcospino femmina Ash in Sing). La Tyler non è ancora esplosa internazionalmente grazie al Bertolucci di Io Ballo Da Sola (1996; ma Dolly's Restaurant viene distribuito in Italia grazie al successo con Bertolucci e quindi dopo, cronologicamente, quella pellicola) ma ha già fatto pace (o meglio è stata riconosciuta) dal papà rocker leader degli Aerosmith. Prima di diventare la perfezione preraffaellita davanti alla cinepresa di Peter Jackson ne Il Signore Degli Anelli, eccola qui portare con grazia, nonchalance grunge tipica di quegli anni e senza la minima presunzione (piacque molto questo aspetto alla critica Usa) la sua bellezza sovrannaturale.

Conclusioni

È un piccolo film di locande di camionisti (Ossessione di Visconti ispirato al Il Postino Suona Sempre Due Volte versione cartacea di Cain) più vicino ad Alice Non Abita Più Qui (1974) di Scorsese (la parte in cui lei fa la cameriera a Tucson e vediamo clienti fissi più rivalità tra cameriere; sarebbe diventata una serie tv di successo) che non ad Alice's Restaurant (1969) di Arthur Penn (anche se il titolo italiano lo fa sembrare simile). Brava Deborah Harry nei panni della cameriera Dolores (la Winters la odia perché il marito la tradì con lei) ad anni di distanza da quando la frontwoman dei Blondie si spegneva una sigaretta sul petto in Videodrome (1983) di Cronenberg.
Due ultime curiosità: 1) si sente che Clerks (1994) di Kevin Smith ha fatto il botto giusto l'anno prima. Mangold riesce a produrre un copione così in sottrazione grazie al successo di film low budget che raccontano lavori umili ambientati in drugstore, locande o altre attività commerciali 2) c'è un bulldog impertinente portato a spasso da un uomo anche qui, e lasciato legato al guinzaglio, prima del Patterson di Jim Jarmush.
Grazie al discreto successo di Dolly's Restaurant (Miglior Regia al Sundance Film Festival, la rassegna più importante in Usa in quegli anni), Mangold entra in contatto con i re degli indipendenti ovvero la Miramax dei Weinstein Brothers con i quali realizza, non senza qualche difficoltà, il successivo Cop Land (1997) con Sylvester Stallone. Ma l'occhio per il dettaglio e la capacità di giocare sulle aspettative di uno spettatore informato con forti rimandi al cinema pop... erano già presenti in questo bel film del 1995.
In fondo Identità, thriller commerciale realizzato dal regista nel 2003, è un ulteriore gioco su Dolly's Restaurant ma sorretto dall'intelligenza di un regista che propone al cinefilo un'ulteriore chiave di lettura senza appesantire la visione del film a chi non è interessato alla sua filmografia.
In quel bel thriller a tema schizofrenia Pruitt Taylor Vince riusciva a essere un classico, e spaventoso, villain dominato dalla dissociazione mentale e invaso da multiple personalità.
Il ragazzone sovrappeso di Dolly's Restaurant, fratello buono del Norman Bates di Psyco, era uscito dal disagio esistenziale gentile di quel film per trasformarsi in un micidiale serial killer.
Mangold aveva deciso di revisionare la sua revisione.

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