Bad School - Big Fish, di Tim Burton

Il Bad School della settimana è Big Fish di Tim Burton, pellicola del 2003 su fantasia e realtà e su un figlio che cerca di capire il mito di un padre

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Spoiler Alert

Dal logo al lago

Il decimo lungometraggio di Tim Burton si apre come il primo Indiana Jones di Steven Spielberg, comportandosi con il logo della Columbia un po' come Spielberg si comportava con il logo della Paramount. Dalla torcia della dama Columbia (il logo del 1924 era stato modernizzato nel 1992) a una luce totalizzante che poi diventa il fondo di un lago. Dove c'è un pesce. Molto grosso.

Dal pesce al padre

Il big fish del lago è Edward Bloom: nome joyciano, nemesi burtoniana, origine wallaciana.
Nome joyciano perché Edward Bloom, il protagonista del film, è ingordo di vita come Leopold Bloom, protagonista dell'Ulisse di Joyce, è ingordo di interiora di animali.
Nemesi burtoniana perché Edward ricorda a Burton suo papà Bill, con il quale il rapporto è stato, ad essere moderati, perlomeno difficile.
Origine wallaciana perché Big Fish (2003) film è tratto da Big Fish (1998) romanzo firmato Daniel Wallace. Ma la faccenda è molto personale per il regista Tim.

La Scimmia Sulla Schiena

Per togliersi di dosso la delusione di Planet Of The Apes - Il Pianeta Delle Scimmie (2001) e per elaborare meglio la recente scomparsa del padre Bill, Burton si getta a capofitto sul libro di Wallace attraverso sceneggiatura di John August dopo che Spielberg ha annusato, flirtato con l'idea della trasposizione e poi abbandonato il progetto. Il gigante è andato via e allora il piccolo strampalato cantore dei freak trasformatosi, anche suo malgrado, in big director commerciale dai tempi del rivoluzionario Batman (1989) perché dark nei '90 divenne cool... può azzannare nel 2003 il progetto e fare letteralmente sue le pagine di Wallace passando per il brillante copione di August. Leggete qua che dice il buon Tim: "Mio padre era morto da poco e, per quanto non fossimo mai stati mai molto vicini, la cosa mi aveva colpito e mi aveva spinto a ripensare al passato. Era qualcosa di cui non riuscivo a parlare chiaramente. E così all'improvviso arrivò questa sceneggiatura, che di fatto parlava proprio di questo. Fare questo film è stato un processo catartico, perché mi ha costretto ad affrontare la questione senza dover per forza andare da un analista"*.
Due bugie: Burton in analisi comunque ci è andato (anche parecchio). E poi... siamo convinti che papà Bill non fu mai vicino allo scapigliato Tim? Chi era allora quel colosso dell'infanzia che faceva tanto ridere Burton bambino eccitando la sua immaginazione già vorticosa dicendogli che lui di notte da genitore... si trasformava in lupo mannaro? Era papà Bill, il quale possedeva una dentiera con due denti più aguzzi degli altri. La muoveva in modo macabro davanti al figlio e il piccolo Burton rideva e rideva e rideva.
Cominciando a ricordare anche questo, oltre alle litigate, Burton è decisamente pronto per Big Fish.

Due uomini, due film

Edward Bloom piace a tutti tranne che al figlio. Può capitare. È un cantastorie intrigante e carismatico ma mentre tutti i ragazzini di Ashton, Alabama, sono rapiti dai suoi racconti il figlio, William Bloom, è sempre più annoiato (montaggio iniziale sublime). Arriviamo a uno scontro fatidico tra i due: William si sta per sposare ed è pronto a diventare a sua volta padre per cui... non ne può più di sentire papà raccontare ancora quella storia circa quel pesce inafferrabile che poi alla fine afferrò. Litigata. Stacco. Sono passati tre anni. Adesso... se Xavier Dolan avesse diretto lui le parti di dramma padre-figlio (curiosità: nel film c'è Marion Cotillard come moglie francese di Will 13 anni prima di trovarsi nelle nostre sale nel capolavoro dolaniano È Solo La Fine Del Mondo) il film sarebbe stato perfetto. Si vede proprio che non è roba da Tim Burton a partire da come veste il figlio rancoroso Billy Crudup: maglioncino e camicetta. È sempre piuttosto ridicolo e legnosissimo nella recitazione. Ma per fortuna, accanto a queste parti di dramma familiare non proprio soavi, cominciano a materializzarsi davanti ai nostri occhi le storie del cantastorie Edward Bloom con Ewan McGregor che prende il posto di Albert Finney come giovane Edward Bloom (casting geniale: i due hanno lo stesso prepotente sorrisone tanto che McGregor sarebbe potuto essere il Finney del Tom Jones del 1963 di Richardson; incredibile). Qui la faccenda si fa assai interessante.

The Dark Side Of The Tim Is The Light 

Il cantore dei dark fa la rivoluzione interiore e comincia ad amare la luce (già dalla prima immersione dentro la torcia di Lady Columbia). Edward Mani Di Forbice? No. Edward Bloom. Un popular, campione di atletica, punto di riferimento della cittadina di Ashton, biondo, sorridente, positivo. Burton disprezzava questi personaggi. Con questo film li ama. Perché? Perché possono essere Edward Bloom ed Edward Bloom... è sicuramente suo padre Bill Burton. Sentite qua: "Mio padre da giovane era un giocatore di baseball professionista. Questo prima che io nascessi. Giocava nelle squadre minori dei Cardinals, ma si fece male e dovette smettere. Poi si mise a lavorare per il Centro Parchi e Divertimenti di Burbank. Era un personaggio esuberante, cui tutti volevano bene, anche i ragazzini delle squadre giovanili di baseball, di softball e di altri sport ancora. Poi cominciò a lavorare part-time come agente di viaggi. In quel periodo era sempre in giro"*. Edward Bloom di Big Fish è un campione sportivo (interessante il parallelismo con lo Svedese di American Pastoral, debutto alla regia di McGregor da capolavoro di Philip Roth dove McGregor interpreta anche l'irreprensibile e superatletico Svedese stesso). Poi è anche un beniamino dei più piccoli e dei più grandi. Poi diventerà un rappresentante di commercio e starà sempre in giro. Tanto che il figlio, crescendo, è convinto che abbia un'altra donna oltre la madre adorante. Un'altra donna? Solo questo?
C'è proprio un altro mondo nei viaggi di Edward.

Flying Circus

Vicine alle non soavi scene di dramma familiare segnate dal fatto che Edward Bloom sta morendo di cancro e il figlio Will è dilaniato da un conflitto interiore riguardo il suo rapporto con lui, assisteremo alla materializzazione cinematografica delle storie fantastiche di papà. Ovvero: giganti (di nome Karl) da accompagnare fuori città, villaggi spettrali di nome Spectre così suadenti da mettere i brividi (sembra un episodio di Ai Confini Della Realtà e infatti a Spectre ti accoglie Billy Redden, il ragazzino suonatore di banjo di Un Tranquillo Weekend Di Paura di Boorman), streghe in case maledette nel cui occhio vedere la propria morte, sirene, circhi dove vige un pragmatismo magico (Fellini avrebbe adorato la parte del circo con Danny DeVito; è la più bella), lupi mannari (come il papà Bill!), campi con milioni di giunchiglie (Burton le volle sul serio e non in cgi), gemelle siamesi solo dal busto in su, spettacoli vaudeville nordcoreani, rapine in banca effettuate da poeti in crisi di ispirazione, ex ragazzine innamorate cui raddrizzare la casa e forse anche la vita.

Conclusioni

"Non ci attraggono più terre straniere, vogliamo tornare alla casa del Padre" scriveva Novalis come ci ha ricordato il Paolo Sorrentino di Youth - La Giovinezza (2015). Lui perse mamma e papà a 17 anni e da piccolo rimaneva incantato a vederli ballare sulle note di Califano (il suo primo film, L'Uomo In Più, ha a che fare con Califano). Il film più bello dei Fratelli Vanzina, Il Cielo In Una Stanza, parla proprio di un figlio conflittuale di fine anni '90 in grado di conoscere e riconoscere magicamente suo padre quando il genitore era solo un piccolo italiano dei '60 in preda al freddo (e infatti la scena più bella è quando il gigantesco figlio Gabriele Mainetti, sveglio, copre il fragile padre Elio Germano, addormentato, durante un gelido viaggio in treno). "Tu racconti bugie, papà" dice William Bloom ad Edward Bloom in Big Fish di Tim Burton al culmine del loro conflitto. Poi però arriveremo a un guascone: "Scappiamo dall'ospedale!" quando il figlio riuscirà ad entrare nelle storie del padre contribuendo, addirittura, a scriverle con, e soprattutto, per lui.
Big Fish è un film con dei difetti. Ma solo se lo si osserva con la severità di un piccolo padre.
È invece bellissimo se lo si vive con la rilassatezza di un grande figlio.
Come era Burton in quel 2003, quando smise di preoccuparsi e ricominciò ad amare la luce del papà.

*Tratto da Burton Racconta Burton, Feltrinelli, Roma, Quarta Edizione Luglio 2014

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