Bad Movie - The Startup, di Alessandro D'Alatri

Il Bad movie della settimana è The Startup di Alessandro D'Alatri, ispirato al controverso Matteo Achilli, fondatore del social network per trovare lavoro Egomnia

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Spoiler Alert

Realtà?

C'era una volta una copertina affermativa (di Panorama Economy: "Italian Zuckerberg"), un'intervista incuriosita (della BBC: "Is this Italy's Mark Zuckerberg?") e uno speciale convinto (del Corriere Tv: "Matteo Achilli, lo Zuckerberg italiano"; sottotitolo patriottico: "L'Italia che riparte"). Solo per citare alcuni media che si occuparono di Matteo Achilli, fondatore e unico proprietario del portale di recruiting Egomnia. Le testate erano autorevoli e i gruppi editoriali ben consolidati nel tempo. Tutto ciò è accaduto tra il 2012 e il 2014 ed è fruibile e recuperabile online (impressionante, ad esempio, vedere la somiglianza di espressione, e anche facciale, tra l'attonito Matteo Achilli della cover di Panorama Economy 2012 e l'altrettanto basito Mark Zuckerberg della storica copertina di Time 2010 come personaggio dell'anno). Abbiamo, o avevamo, anche noi un giovane geniale imprenditore? C'è entusiasmo in quel biennio 2012-2014 (direttamente proporzionale, ovviamente, alla depressione legata a disoccupazione giovanile e Italia a crescita 0). Il nome di Achilli arriva in prima pagina con la sua bella facciona lunga e i suoi occhioni azzurri. Poi arriva però anche il cosiddetto backlash. Egomnia pare non sfondare e fare numeri eccezionali in fatturato. Al presente ha poco meno di 19 mila like nella sua pagina ufficiale facebook (quasi la metà di BadTaste.it). Guido Romeo pubblica l'8 agosto 2014 l'interessante articolo "Perché Matteo Achilli non è lo Zuckerberg italiano" sulla testata, altrettanto prestigiosa, Wired. Quella che sembrava la regina delle startup di casa nostra viene contestata, criticata e messa in discussione.
Achilli è un bluff? Solo un fenomeno mediatico? Ma allora perché Panorama, Corsera (anche cartaceo) e BBC (stimolata da copertina Panorama) caddero nell'equivoco?
C'è addirittura chi prende in giro Achilli perché non riesce a tirare su un dollaro con un crowdfunding o chi mette pesantemente in discussioni i suoi natali umili (ma il papà era un imprenditore o un impiegato?).
Egomnia, dopo quei tanti lovers del biennio magico 2012-2014, arriva nel 2017 ad avere molti haters o comunque contestatori della patente di realtà imprenditoriale italiana di successo ancora più esaltante (e quindi da copertina) perché il suo fondatore è uno della periferia romana nato nel 1992 (quindi ha 20 anni nel momento di massima esposizione; non da Italia). Poi, nel 2017, arriva in sala un film ispirato alla sua vita e creatura.
Produce Luca Barbareschi e dirige Alessandro D'Alatri.

Cinema!

Il film è entusiasmante. Perché se il cinema è il cinema, come diceva saggiamente Jean-Luc Godard, è sempre a suo modo in grado di creare una specifica realtà legata alla potenza metaforica del racconto e al significato emotivo della narrazione. A noi non interessa minimamente se il film racconti una realtà, per così dire, vera. La faccenda, abbiamo visto, ha i suoi estimatori e detrattori. A noi interessa vedere ciò che non vediamo mai: un film italiano dove il protagonista ventenne fa un bonifico di 20mila euro al padre (che qui, effettivamente, sembra proprio un operaio) e soprattutto un film italiano dove un protagonista ventenne parte per un'avventura dove mamma e papà sono sullo sfondo (e non ammorbanti e asfissianti come in Piuma, Slam e mille altre pellicole giovaniliste) e in primo piano ci sono solo Matteo Achilli e la sua giovinezza con tutti i canonici slanci verso sogno, romanticismo, estremismo, ambizione, errori e avventura. Con un registro volutamente patinato (pochissime inflessioni dialettali, attori fuori dal regionalismo) e una regia ricca di verve (pecca: la musica, troppo invadente e superficiale; non abbiamo riconosciuto i di solito ottimi Pivio & Aldo De Scalzi), D'Alatri ci mette davanti agli occhi un Matteo Achilli cinematografico che ha la faccia briosa e gli occhi da cerbiatto di un Andrea Arcangeli per niente somigliante al vero romano di Corviale. Nella prima sequenza lo vedremo navigare, letteralmente nell'oro, di una piscina dove nuota in slow mo. Poi lo vedremo lottare per la meritocrazia (l'allenatore di nuoto gli preferisce un garrulo raccomandato interpretato con la consueta destrezza dal Guglielmo Poggi di Viva l'ItaliaSmetto Quando Voglio e Beata Ignoranza), essere innamorato di una ballerina seria e perbene (Paola Calliari), trovare in uno scantinato pieno di flipper e giochi da luna park un nerdacchione con cui lavorare all'idea di Egomnia (Luca Di Giovanni, una rivelazione), andare a studiare a Milano (che sembra, rispetto all'ingiusta Roma, New York o Londra in termini di meritocrazia e progressismo) e poi affrontare il successone di Egomnia mentre studia alla Bocconi cominciando a compiere quello che è naturale aspettarsi che compia: una marea di errori.
Ci saranno entusiasmi per l'entrata in ambienti un tempo preclusi (ristoranti, case di ricchi, alberghi chic; che bravo D'Alatri a farci avvertire il disagio della fidanzata ballerina Emma di fronte alla condivisione con Matteo di uno spazio scintillante sì ma abitato da vecchi & escort che non c'entrano niente con loro due), deliri egocentrici (Egomnia: contiene il problema in seno alla radice della parola stessa), qualche tentazione sessuale (bravissima Matilde Gioli a fare la giornalista rampante bocconiana che sfrutta il suo protégé Achilli per accedere anche lei a stanze del potere un tempo inimmaginabili). Tutto ciò sempre con protagonista un ragazzino anche ridicolizzato (cattivissima la scena in cui fa una figuraccia in conference call con investitori brasiliani) e profondamente messo in discussione dal punto di vista umano e professionale ("A te serve un agente, non un ingegnere" gli dirà l'amico-collega-sottoposto smanettone nell'eterna dialettica che abbiamo visto accadere sempre dal fantomatico garage di 2066 Crist Drive, Los Altos, California ai dormitori di Harvard tra chi spicca il volo e i Wozniak-Severin della situazione). Ha allora qualche importanza la futilissima polemica: perché si è tratto un film dalla vita di Achilli?
Ma perché no... scusate? Nel nostro cinema vediamo i giovani spesso relegati a ruoli di innamorati e basta o perdenti sociali, o spalle spensierate di protagonisti adulti. Mentre in questo caso il viaggio dell'eroe è, ripetiamo, originalissimo nella sua mitopoiesi in netto contrasto al contesto drammaturgico nazionale in cui si manifesta.
Il film non è The Social Network perché quel capolavoro, come Quarto Potere, Wall Street e in parte anche The Founder, è il classico attacco morale al tycoon nordamericano molto inserito nella tradizione cinematografica hollywoodiana. Qui i realizzatori sono al fianco di Achilli e chiaramente fanno il tifo per lui, senza però esimersi da nascondere le piccole e grandi sconfitte, o figuracce, del nostro eroe lungo il percorso. Il senso del racconto è dimostrare che il Matteo del film, alla fine, non ha perso amore e amicizia.
E soprattutto...  ha fatto un bonifico di 20mila euro a un padre che esulta come un bambino con la meravigliosa faccia, e simpatia, di Massimiliano Gallo.

Conclusioni

E provocazioni. La realtà di Egomnia non la conosciamo nei singoli dettagli ma se anche il reale Achilli fosse un bluff... ci starebbe simpatico lo stesso. Perché? Perché abbiamo visto il nostro paese in questi anni essere distrutto giorno dopo giorno da vecchi imprenditori non proprio perbene, ex sessantottini venduti e politici disgustosi (grande battuta in The Startup: "L'unica impresa che conta in Italia è la politica").
E se anche un italiano classe 1992 si fosse ribellato alla cronaca di una morte annunciata per la sua generazione e avesse surfato sull'onda mediatica di qualche testata troppo ingenua e vogliosa di paragoni con Zuckerberg... che male c'è? Purtroppo non riusciamo ad indignarci. Anzi.
Il film di D'Alatri è scorrevole (97 minuti estremamente compatti), energico, umano e popolato da attori nuovi e grintosissimi. Cose così, in Italia, non se ne vedono.
Speriamo sia la startup per delle pellicole in cui i giovani lottano per un sogno.
Il loro.

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