Bad Movie - Sully, di Clint Eastwood
Il Bad Movie della settimana è Sully, trentacinquesimo film diretto da Clint Eastwood e prima collaborazione con Tom Hanks. Siamo alle soglie del capolavoro
Incubo nell'incubo
C'è subito un incubo come apertura del trentacinquesimo film di Clint Eastwood. In quella ovattata dimensione onirica Chesley Sullenberger guida il suo Airbus A320-214 del volo di linea Us Airways 1549 tra i grattacieli di Manhattan. Ma è troppo basso e l'impatto con gli edifici della città è solo questione di secondi, giusto il tempo di dire: "Lory ti amo" alla moglie che non c'è. "Ti amo tanto" disse al marito la hostess Ceecee Lyles mentre il velivolo su cui lei si trovava, lo United Airlines 93, era prossimo a schiantarsi sulla Pennsylvania l'11 settembre 2001 con alla guida Ziad Jarrah. È il 2009 quando Chesley Sullenberger ha quell'incubo ma è come se fosse ancora il 2001. Poteva otto anni dopo un pilota americano, nato il 23 gennaio 1951 a Denison Texas, replicare ciò che avevano fatto Mohamed Atta, Ziad Jarrah e gli altri 17 attentatori dell'11 settembre 2001? No. Assolutamente no. E infatti Sullenberger si ribellò a quell'idea e nella realtà dei fatti di quella mattina freddissima del 15 gennaio 2009, di fronte alla perdita dei due motori principali poco dopo il decollo del volo di linea da lui condotto, preferì evitare di attraversare la città per raggiungere la pista di LaGuardia tentando invece un atterraggio di fortuna nelle acque gelide dell'Hudson River. Ci riuscì.
E riuscì anche a farlo senza far morire, o ferire gravemente, nessuno dei 155 passeggeri che il suo aereo trasportava quel giorno.
Divenne subito un eroe nazione. Ma subito arrivò anche quell'incubo. E al risveglio... un altro ancora.
Sully
Perché una commissione indaga su un eroe nazionale? Perché bisogna stabilire se Sullenberger ha sbagliato a puntare con decisione l'Hudson River qualora si dimostrasse incontrovertibilmente... che sarebbe stato meglio attraversare la città per andare a LaGuardia. Un vero eroe o un incosciente fortunato? Comincia allora un film capolavoro perché è sempre molto di più di quello che sembra che sia. Si parla del 15 gennaio (data citata incessantemente) ma perché invece ci pare che noi, e Sullenberger, capiamo 11 settembre? Il buio che circonda il comandante è quello di una città stanca che appare come un girone dell'Inferno dantesco. La moglie (Lorraine) è lontana e al telefono ogni tanto ci sono delle interferenze, le figlie sono nominate ma mai né abbracciate né ascoltate per una parola di conforto. Sullenberger allora pensa e ripensa, e vede e rivede nella sua mente, ciò che ha fatto quella mattina alla guida dell'aereo come se fosse un eroe di un giallo di Dario Argento o un omino che perde progressivamente la ragione in un film di Roman Polanski, mentre è imprigionato in camerette asettiche d'albergo e rischia di essere investito da una macchina durante un tenebroso jogging. Ha quell'incubo in cui conduce l'aereo a schiantarsi in pieno centro per poi risvegliarsi in un altro incubo (come ne Il Fascino Discreto Della Borghesia e Un Lupo Mannaro Americano A Londra) laddove lui e il suo simpatico copilota Jeff Skiles vengono messi sulla graticola da esaminatori che somigliano alla Santa Inquisizione (quelli veri, dopo aver visto il film, si sono incavolati). Attorno, nel mondo, il popolo lo acclama e David Letterman lo invita pure nel suo show (prodigioso effetto cgi dove gli attori sostituiscono hostess e piloti mentre Letterman rimane quello vero del 2009). Esternamente va tutto bene. Internamente no. Con grande naturalezza Sullenberger diventa Sully, un nostro intimo e un nostro simile perché noi, come lui, più vediamo il film più siamo a disagio, rischiando di impazzire o non capirci più niente perché ci sentiamo, con il passare di questi durissimi ma suadenti 96 minuti di film, completamente disorientati tra presente e passato (flashback che partono e ripartono), consenso e dissenso, verità e menzogna, personaggi e loro doppi (arriveranno altri piloti che simuleranno il volo di Sully e Skiles al posto loro). Eastwood chiede a Tom Hanks una prova difficilissima perché fatta di dubbio, lancinante sofferenza interiore che però deve essere contenuta, ma non troppo, da una faccia, dei baffi, quei pochi capelli bianchi delicatamente intrecciati come fossero una corona di spine cristologica o un nido di uccelli (sono i volatili la causa del danno in quel 15 gennaio 2009). A un certo punto è come se pensassimo insieme a Sully (questo è il genio di Hanks: la connessione totale con il pubblico): "E se avessero ragione loro? E se io, Chesley Sullenberger, avessi incoscientemente deviato verso l'Hudson River per via di un trauma e di un'irrazionale paura, e seguente rifiuto, di diventare io stesso Mohamed Atta e condurre un aereo, ancora una volta, contro il cuore di New York?".
Conclusioni
Accanto a questo fragilissimo signore canuto sempre più a disagio, corroso dal dubbio interiore e circondato da un insinuante sospetto che potrebbe aprire le porte dell'Apocalisse (gogna mediatica dopo il trionfo e crack economico devastante nella vita della famiglia), Eastwood colloca con grande maestria un maschione solare, semplice e dal baffo più vitaminico. Sì perché Sully è un film coi baffi e sui baffi: più di là che di qua e tendenti ad essere spazzati via quelli bianchicci di Sully e invece decisissimi, folti e pure castani supersexy quelli del copilota Skyles. Egli è un cagnone fedele che corre se Sully gli dice di correre e che, seppur un po' imbambolato, rimane lì, accanto al suo capitano, con questa bellissima attitudine da quattro zampe perbene.
È lui che ha l'onore di chiudere questo meraviglioso film.
Con un sorrisone (come quello di Washington in chiusa fantastica di Flight, altro capolavoro su aerei, piloti ed espiazione) e una battutona che fanno piazza pulita di incubi, buio infernale, segni dell'Apocalisse, distanza dei familiari e ambiguità dell'ambiente lavorativo.
"C'è qualcosa che, se potesse tornare indietro, farebbe in modo diverso?" gli chiedono dalla Commissione.
"Sì, lo rifarei a luglio" risponde Skyles aprendosi in un sorriso caldissimo (Eastwood ci aveva fatto sentire assai il gelo invernale di quell'ammaraggio).
È quello il momento in cui l'incubo di Sully finisce.
Come il film.