Bad Movie - Steve Jobs, di Danny Boyle

Il Bad Movie della settimana è Steve Jobs di Danny Boyle, l'antibiopic scritto da Aaron Sorkin sul cofondatore della Apple

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Spoiler Alert

Via Dulcis

Il film della coppia Boyle/Sorkin dedicato alla figura di Steve Jobs, tratto dalla biografia autorizzata di Walter Isaacson, era molto atteso e, ahinoi, si è rivelato essere solo una montagna che ha partorito un topolino. Anzi due: Michael Fassbender, alle prese con un Jobs sempre bellissimo, dalla battuta pronta e tremendamente simpatico, e Kate Winslet, qui nei panni di Joanna Hoffman, braccio destro di Jobs a metà strada tra il soldato fedele, l'eterna amante e la solida terapeuta. I due attori sono le uniche due tracce dell'attesissima pellicola alla Notte delle Stelle del 28 febbraio prossimo avendo il film ottenuto le nomination solo per Miglior Attore Protagonista e Miglior Attrice Non Protagonista. Perché il film può essere considerato una delusione? Perché fa costantemente la faccia cattiva nei confronti del mitico Jobs per poi leccargli senza vergogna i piedi nel finale (un approccio fariseo che deve aver indignato un'Academy più propensa ad accettare o l'attacco al tycoon o l'agiografia) e perché la struttura a tre presentazioni di prodotti cruciali della sua carriera (1984: Apple Macintosh; 1988: nuova azienda NeXT; 1998: iMac) è sì suadente, divertente e ricca di momenti affascinanti ma anche terribilmente stucchevole, macchiettistica e in ultima analisi sorprendentemente superficiale. Regia di Boyle? Completamente priva di personalità (è un film dove la macchina da presa segue solo la parola dello sceneggiatore Sorkin attenta com'è a non rendere mai i luoghi o i movimenti dei personaggi emblematici o autonomi rispetto al pesantissimo copione). La sceneggiatura dunque è fallace? Più che altro pare ossessionata dal creare una sacra rappresentazione davanti ai nostri occhi con ascesi lenta ma incontrollabile del nostro verso il cielo attraverso tre stazioni esistenziali. Il film non è una via crucis ma una via dulcis (in fundo) e il fatto di essere solo e soltanto questo... fa assai rivalutare il famigerato, ma ben più scorbutico e coraggioso, Jobs di Joshua Michael Stern con Ashton Kutcher, impressionante in quel film come Jobs per via della camminata da cavernicolo e il costante parcheggio della macchina nello slot dei portatori di handicap una volta che arrivava al lavoro alla Apple.

Inferno, Purgatorio, Paradiso

Perché il film può essere considerato una delusione? Perché fa costantemente la faccia cattiva nei confronti del mitico Jobs per poi leccargli senza vergogna i piedi nel finale

Tre stazioni per Sorkin/Boyle e questo per evitare il biopic classico. Quello del cofondatore della Apple è un viaggio dal basso verso l'alto e dall'inferno esistenziale del 1984 al paradiso della riconciliazione familiare (è tutto colpa e tutto merito della famiglia se Steve prima sta bene e poi male; gli amici e i colleghi non contano niente; a ben pensarci... è un concetto inquietante molto più latino che nordamericano). Si parte dalla presentazione dell'Apple Macintosh del 1984 in cui lo vediamo sbraitare e minacciare quasi di morte Andy Hertzfeld (Michael Stuhlbarg) all'idilliaco finale del 1998 in relazione alla presentazione dell'iMac e al ritrovato rapporto con la figlia Lisa.
1984, 1988, 1998. Vediamo le tre tappe di questa Via Dulcis nel dettaglio.

1984 - Inferno

Chi era il cofondatore della Apple Steve Jobs? Un genio del '900 o solo un luciferino capitalista? Un prodotto biologico così mal riuscito da essere rifiutato dai suoi genitori naturali (e anche dai primi adottivi) o il miglior papà di sempre per quanto riguarda prodotti artificiali presentati al mondo con uno zelo che non avrebbe avuto nemmeno la mamma dei Gracchi ("Vi presento i miei gioielli" diceva lei dei piccoli Caio e Tiberio Gracco nella Roma del II Secolo a.C.). Nel 1984 lo vediamo elettrico, dal capello lungo e cattivissimo perché Andy Hertzfeld non riesce a far dire: "Ciao" all'Apple Macintosh durante la presentazione del prodotto. Mentre tutti aspettano il nuovo Mac, Jobs non si aspetta la visita a sorpresa dell'ex moglie Chrisann (la Katherine Waterston di Vizio di Forma) e della figlia non riconosciuta Lisa. Lo vediamo urlare, citare a sproposito Stravinsky, lamentarsi di non essere lui quello sulla copertina del Time (ironicamente c'è solo un computer; diventerà poi una gaffe assai mal risolta dal copione di Sorkin perché la gag sarà praticamente indecifrabile) e ripetere all'infinito: “Lisa non è mia figlia” o “I computer non dovrebbero avere i difetti delle persone” o “Sono come Giulio Cesare, circondato da nemici”. La piccola Lisa, in mezzo a tutto questo trambusto, comincia a disegnare con l'applicazione Mac Paint e improvvisamente lui si illumina. Domanda: è felice per Lisa o è contento che l'aggeggio funzioni bene? Purtroppo quello che sembra un tipico graffio sorkiniano ai danni del suo tycoon protagonista si trasformerà nel finale in un zuccherosissimo prologo per la beatificazione del nostro Steve. E' il segmento migliore del film.
Poi il crollo.

1988 - Purgatorio

Ritroviamo Steve quattro anni più tardi, nel 1988 mentre presenta la sua nuova azienda NeXT. E' stato cacciato dalla Apple, nessuno crede nella nuova avventura ma lui ha uno strano ghigno in faccia e un piano devastante in testa (secondo errore di Sorkin: quando Steve lo spiega a Joanna... non si capisce veramente niente). Continua a ricevere, come lo Scrooge di Canto di Natale di Dickens, visite dei fantasmi del passato: dal John Sculley di Jeff Daniels (reo di sapere forse troppo del suo passato da bambino rifiutato da genitori naturali e non) allo Steve Wozniak di Seth Rogen, il quale sembra proprio che non riesca a non volergli bene. Lisa adesso ha dieci anni e gli gironzola intorno ormai riconosciuta come sua figlia legittima. Il rimprovero è sempre dietro l'angolo (“Devi andare a scuola”; un altro insopportabile tormentone del film come l'omonimia di nome tra Hertzfeld e Cunnningham e il passato mittleuropeo della Hoffman) ma un abbraccio improvviso della piccola potrebbe metterlo knockout peggio di mille consigli d'amministrazione schierati contro la sua risaputa megalomania. Steve sta migliorando.

1998 - Paradiso

Steve è sempre più vicino al cielo. Infatti l'ultimo scambio cruciale con Lisa (ora diciannovenne e incomprensibilmente incavolatissima con lui  al punto da offenderlo più di una volta davanti a tutti) si ambienta sul tetto del palazzo dove lui sta per presentare l'iMac. E' il 1998 e per l'ascesi è solo questione di qualche minuto. Jobs è tornato a mordere la mela come nuovo capo Apple e il mondo ora pare pronto per i suoi prezzi alti e per il suo sistema chiuso end-to-end criticato in passato da Wozniak. L'oggetto delle meraviglie che concretizza la sua ossessione estetica quasi più che ingegneristica è l'iMac (Woz: "I computer non sono quadri" Jobs: "Vaffanculo"; è un altro tormentone che si trascina stancamente per tutti i 122 minuti della pellicola). Ecco l'ultimo Jobs. Quello stempiato, sempre sorridente come un santone religioso, in maglietta nera a collo alto, jeans blu e scarpette da ginnastica. Nel momento del massimo trionfo professionale preludio agli ultimi anni delle meraviglie "jobsiane", i fantasmi maschi del passato si possono fare anche più acidi (Andy Hertzfeld), rancorosi (“Non voglio essere Ringo quando in realtà ero John!” gli urlerà Wozniak, il coprotagonista del mito della caverna-garage dentro cui lui e Jobs inventarono la filosofia computeristica Apple) o tragici (John Sculley, ormai, è pallido e invecchiato come un vecchio zombi di Walking Dead). A Jobs, e al film, non interessa. Conta solo la famiglia. E la famiglia è Lisa. Ecco quindi lui sorbirsi pazientemente i rantoli postadolescenziali della ragazzona per poi riconquistarla in due secondi netti sul tetto del palazzo bofonchiando delle scuse e aggiungendo: “Metterò mille canzoni nella tua tasca” ovvero svelandole che il superamento del walkman è alle porte e si chiamerà iPod.

Con il ragazzino è stato più cattivo

Ma quanto odiò Mark Zuckerberg il grande sceneggiatore di West Wing? Sorkin terminò il copione della pellicola diretta da David Fincher facendo vedere Zuckerberg che al termine di The Social Network preme tristemente, ed autisticamente, "aggiorna" sulla pagina del profilo facebook di quella Erica Albright che lo mandò a quel paese e alla quale lui adesso sta chiedendo l'amicizia. Prima il creatore di Facebook non è riuscito nemmeno ad invitare a cena l'avvocatessa avvenente con cui ha vinto una causa miliardaria e dopo, addirittura, sentirà in colonna sonora John Lennon che gli canterà sardonico: "Baby, You're a Rich Man" con l'evidente intento di sfotterlo.
E come finisce invece l'attesissimo Steve Jobs di Boyle/Sorkin?
Immerso in una luce paradisiaca, l'ex uomo spietato interessato solo a presentare nel miglior modo possibile i suoi prodotti al mondo lascia chiaramente il centro del palco per camminare beato nella luce sempre più sfavillante verso la figlia dietro le quinte, un tempo marginale e ora essenziale.
Come dire: Jobs lascia volutamente tutti quegli occhi puntati verso di lui e quel tipo di evento un tempo organizzato con brutale e violenta precisione... per procedere gongolante e rilassato verso la figlia un tempo crudelmente rifiutata.
La scalata verso il Paradiso è ora pienamente completata.
Steve ha addirittura conservato quel disegno fatto con il Mac Paint nel lontano 1984.
Uno degli uomini più controversi e affascinanti del capitalismo nordamericano in grado di attraversare indenne la fine del secolo XX per cominciare alla grande l'ancora enigmatico XXI... è diventato grazie a questo film un santo.
In fondo...  ci sono volute solo tre presentazioni.

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