Bad Movie - Spectre, di Sam Mendes

Il ventiquattresimo film di James Bond è Spectre, diretto da Sam Mendes e con Daniel Craig protagonista. Tornerà il nemico più intimo dell'agente 007

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Spoiler Alert

L'Infernale Messico

In un inizio che richiama con forza il piano sequenza iniziale de L'Infernale Quinlan (1958) di Orson Welles vediamo Bond con maschera della morte sventare un attentato (cosa che non riesce all'ignaro poliziotto messicano di Charlton Heston nell'overture wellesiana) tra fluidi movimenti di macchina, sguardi lanciati tra la folla (Bond sta passeggiando con una donna come Heston passeggiava con Janet Leigh all'inizio de L'infernale Quinlan), festa collettiva e corse felpate sui tetti dei palazzi. Nel cinema di Orson Welles la macchina da presa era più spericolata degli attori e raggiungeva vette non toccate e toccabili dagli interpreti. Nel cinema del 2015 firmato Sam Mendes (o meglio Alexander Witt: il bravissimo regista della Seconda Unità) si può fare praticamente tutto (soprattutto con 300 milioni di dollari di budget) per cui vediamo Bond partire da un semplice pedinamento a piedi a braccetto di una signora con maschera funebre per finire in una lotta vorticosa dentro un elicottero al fine di sventare l'esplosione di una bomba ben più pericolosa rispetto al buffo marchingegno azionato nel primo fotogramma del film di Welles.

Roma Città Aperta

Il Messico è color cenere sotto un primo filtro giallo. Gli abitanti di città del Messico sono degli esagitati che festeggiano come fossero un'orda di zombi di World War Z (la festa con le maschere della morte è una danza macabra) mentre a Roma i cittadini sono andati tutti in vacanza, le vie sono deserte e tutto ricorda un quadro di De Chirico (c'è anche una scena girata nel quartiere neoclassico dell'Eur quasi profetizzato dalle tele del pittore di nascita greca). Predomina il nero (siamo a lutto per la morte del criminale in Messico di nome Sciarra) durante giornate con luce bianca senza sole mentre l'oro fa capolino nelle notti misteriose quando Bond si infila nei palazzi capitolini per trovare la Spectre e si insegue per le viuzze del centro con il pessimo villain di uno sprecatissimo Dave Bautista (unica caratteristica: ha le unghie lunghe) sfrecciando su strade formate da sampietrini capaci di trasformare le macchine in pattinatori sul ghiaccio per l'effetto di scivolate, più che sgommate, causate dall'infido manto stradale. La capitale d'Italia è dunque rielaborata come museo a cielo aperto, senza popolazione, facendo pensare all'uso di Roma scenograficamente scarno de Il Processo (1962) di Orson Welles (ancora) o L'ultimo Uomo Della Terra (1964) di Ragona/Salkow. Il passaggio dalla folla macabra del Messico al silenzio monumentale di questa Roma così inorganica segna il momento migliore dell'avventura numero 24 di Bond. Perché i personaggi non parlano e perché lo spettatore non è costretto ad assistere a rapporti umani sulla carta emblematici ma sullo schermo proposti come la più sciatta e superficiale soap opera televisiva.

Quando si parla, Bond muore

Le avventure di Bond si faranno sempre più private, ordinarie, da dramma familiare di terza categoria

Dopo questo prologo muto tra Messico e Roma coerente con il nuovo Bond afasico e catatonico di Craig, assistiamo alla scalata al potere un po' troppo repentina nell'M16 a Londra di tale C (Andrew Scott, troppo simile al suo Moriarty della serie tv Sherlock Holmes) in contrasto con l'eterno nuovo M precario e impacciato (come era Bond in Casino Royale) di Ralph Fiennes. Mentre il segmento di Spectre che riguarda Fiennes è vagamente geopolitico (Il C di Andrew Scott vuole controllare tutto e tutti citando espressamente l'affaire Snowden), le avventure di Bond si faranno sempre più private, ordinarie, da dramma familiare di terza categoria con continui rimandi alla sua infanzia, foto di quando era giovane, rivelazioni telefonatissime circa brutte parentele e traumi che sanno di offese di bimbi. Insomma, tutto molto ombelicale con il nuovo mondo, con le sue nuove alleanze e cambiamenti geopolitici, che non trova più di tanto spazio sulla parete di questo spy movie dove sono appese sempre e solo le stesse cose: foto di famiglia.

Cucù

E così arriviamo a lui ovvero alla delusione più profonda di un film già profondamente deludente. Mentre Craig è sempre più imbronciato e offeso con il mondo intero e il film sempre più stanco e noioso (Mission: Impossible - Rogue Nation e Kingsman: Secret Service, a confronto, sembrano very, eccitanti, spy movie) con battute insignificanti (vedere il patetico scambio a base di Topolino con l'attore italiano Beppe Lanzetta per credere) e personaggi femminili puramente accessori perché mai né desiderati, né temuti, né stimati da Bond (nella scena d'amore a Roma con Monica Bellucci, il Bond di Craig ha una vera e propria smorfia di disgusto sul volto)... ecco addirittura il recupero del passato privato del cattivo Mr. White del finale di Casino Royale e dell'inizio di Quantum of Solace. La vita borghese di figurine da spy movie senza spessore come gli sgherri del Dr. Evil erano strepitoso materiale comico in Austin Powers - Il Controspione (1997). Ora è interessante notare come, nemmeno 20 anni dopo quei film con Mike Myers, quest'idea sia diventata serio materiale drammatico in questi seriosi Bond di Craig. Stiamo arrivando verso il peggio del peggio del film e quindi si cominci pure a parlare del supercattivo Franz Oberhauser in futuro Ernst Stavro Blofeld. Ovviamente... anche i suoi sono sempre e solo affari di famiglia. Il villain di Inferno di Dan Brown (prossimamente una nuova avventura di Robert Langdon diretta da Ron Howard), quello di Kingsman: Secret Service e quello di Mission: Impossible - Rogue Nation avevano scopi precisi a livello planetario: i primi due volevano uccidere un bel po' di persone per equilibrare il rapporto tra popolazione terrestre e risorse del pianeta; quello di Mission: Impossible - Rogue Nation sognava un sindacato di ex spie governative in grado di operare per conto suo... proprio come quella Spectre ipotizzata dal primo Blofeld businessman di Wall Street in A 007, Dalla Russia Con Amore (1963). Per questo Blofeld qui invece qual è l'obiettivo? Ma vendicarsi dei traumi infantili che il fratellastro Bond gli ha inferto da piccolo, ovviamente. Dovevamo ancora riprenderci dall'isterico cattivo da operetta Raoul Silva di Skyfall (traumatizzato dalla M di Judi Dench come fosse una mamma che aveva preferito a lui l'altro figlio James Bond) e ci ritroviamo tra le mani quest'omino ossessionato da un orologio a cucù di quarant'anni prima, rancorosamente sulle tracce di Bond fin dai tempi di Casino Royale per via di un rosicamento adolescenziale che lo portò a diventare cattivo. Poverino. E' praticamente la copia di Raoul Silva di Skyfall solo che non possiede una dentiera senza la quale la faccia gli diventa un orologio sciolto di Salvador Dalí.

Questo Ernst Stavro Blofeld non è minaccioso, non è spiritoso, non è tragico, non è mai preoccupato

Ricapitolando: era decisiva la "genitrice" in Skyfall (M di Judi Dench come "mamma" di Bond e Silva; un'idea che poteva essere convincente sul fronte dell'esasperazione intima se solo non avessimo visto la Dench in atteggiamenti parimenti affettuosi e materni anche con il precedente Bond di Pierce Brosnan) ed è decisivo il papà in Spectre (Bond e Blofeld sono fratellastri cresciuti insieme con il papà naturale di Oberhauser a fare da patrigno a James).

Uno pensa: la motivazione l'hanno riprodotta identica scopiazzando quella del precedente villain di Skyfall... ma almeno avranno dato tutto per creare un nuovo Ernst Stavro Blofeld all'altezza dei sette precedenti (compreso quello apocrifo di Max Von Sidow per il Bond non Eon Mai Dire Mai), diventati così iconici da fornire dei modelli sia per il Dr. Evil di Austin Powers che per il Gru di Cattivissimo Me (2010). E invece no. Nemmeno per sogno. Il Blofeld dello sbagliatissimo Christoph Waltz ha il solito, insopportabile, sorriso accondiscendente dell'attore austriaco due volte premio Oscar senza possedere battute memorabili, attrezzi di scena incisivi, tic avvincenti, vezzi pittoreschi o un costume degno di questo nome. Quando lo vedremo torturare blandamente Bond, Blofeld sembrerà una bieca copia del sadico "dentista" Lawrence Olivier de Il Maratoneta (1976) mentre sfoggerà la camicia maoista imposta come abito blofeldiano dal Pleasence di Agente 007 - Si Vive Solo Due Volte (1967)... addirittura sbottonata in basso come segno di ribellione rispetto alle icone del passato. Alcuni la possono chiamare destrutturazione postmoderna (chissà di chi è stata l'idea di violare la sacralità della divisa maoista sbottonandola in quel modo sgraziato), altri, più semplicemente, la possono vedere solo come una mancanza di rispetto per quel gusto preciso nella connotazione parossistica, e geopolitica, del villain che si aveva nel passato rispetto al nulla iconografico del presente (hanno avuto anche il coraggio di copiare l'occhio sfregiato di Pleasence).
Questo Ernst Stavro Blofeld non è minaccioso, non è spiritoso, non è tragico, non è mai preoccupato.
Non è NIENTE.

Conclusioni

Abbiamo affrontato il primo e unico amore (Vesper Lynd) la cui mistificazione ci ha fatto diventare dei mocciosi che disprezzano le donne (non sarebbe stato più coraggioso, e realmente rivoluzionario, avere il primo Bond apertamente gay della Storia?), poi mammina adottiva (M), poi la casa d'infanzia (Skyfall), poi papà adottivo, poi il fratellastro cattivo e rosicone. Cosa manca a questa saghetta familiare? Una sorella psicolabile? Un nuovo primo e unico amore (la chiusa con la Madeleine Swann di Léa Seydoux va purtroppo in quella direzione) ovviamente minacciato in futuro da un Blofeld qui così scialbo da rimanere vivo nel finale mentre nessuno se lo fila?

Non sappiamo in che direzione andrà il Bond 25. Ma temiamo che sarà sempre il solito, ridicolo, affare di famiglia.

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