Bad Movie - Smetto Quando Voglio: Masterclass, di Sydney Sibilia
Il Bad movie della settimana è Smetto Quando Voglio - Masterclass, più che un sequel una dichiarazione di cinema che può cambiare il destino italiano
Smetto Quando Voglio - Statement
Più che un sequel è una dichiarazione di cinema a tutta l'industria audiovisiva italiana. Sydney Sibilia e Matteo Rovere (in loro due vediamo una bella collaborazione simile a quella tra Spielberg e Lucas ai tempi di Indiana Jones non a caso citato in questo sequel attraverso il terzo capitolo), hanno alzato la posta dopo l'opera prima del 2014 da 4 milioni di euro di incasso + 12 nomination David per zero vittorie (meritava quantomeno Miglior Regista Esordiente rispetto al Pif de La Mafia Uccide Solo d'Estate). Questo sequel è anche un back to back (due film girati insieme: non lo facevamo dai tempi del Brizzi di Maschi Contro Femmine e viceversa).
Ma questo sequel è anche un'espansione cinematografica fuori e dentro il testo.
Fuori
Più attori (new entry prestigiose e fresche come Lo Cascio, Scarano, Bonini, Morelli, Lisma; un mix di veterani e nuovi corpi), più location (Thailandia e Nigeria), più minuti (dei pericolosissimi in commedia 110' rispetto ai 100' dell'originale), più franchise (anche solo l'idea di fare una saga con La Banda dei Ricercatori protagonisti è segno di coraggio e ambizione), più copie nei cinema (500).
Dentro
Più action (inseguimenti sia automobilistici che nei confronti di un treno), più stunt (una macchina si ribaltava a parole mentre ora la vediamo mentre lo fa), più amori (Pietro Zinni ha due donne nel film e siamo sicuri che con la poliziotta Coletti... ci saranno novità nel terzo), più umori (c'è del marcio dentro la Banda soprattutto nei personaggi del linguista Mattia Argeri e dell'antropologo Andrea De Sanctis), più apocalisse (cosa vuole fare Walter Mercurio?), più degenerazione cinematografica e non solo (se dalla commedia all'italiana figlia dei problemi sociali del primo episodio passassimo al thriller cospirazionista alla Inferno di Dan Brown per il terzo episodio?).
La parola chiave è...
Terrorismo
Con un buon escamotage narrativo Sibilia, in compagnia degli sceneggiatori Manieri e Di Capua, ci porta all'inizio di Smetto Quando Voglio - Masterclass prima avanti nel tempo (Giulia e Pietro hanno avuto un bambino ma sono divorziati, lui è in carcere ma non vuole uscire e soprattutto si rifiuta di firmare le carte del divorzio; tipica impasse da eroe di cinema americano non incline a ufficializzare la separazione) poi indietro a un anno e mezzo prima ovvero... alla fine esatta di Smetto Quando Voglio. Attenzione che non ci troviamo nemmeno dalle parti di Quantum Of Solace (cominciava diegeticamente cinque secondi dopo Casino Royale) bensì riviviamo il finale del primo Smetto da altri punti di vista soprattutto per permetterci di conoscere un nuovo importante personaggio: l'ispettore di Polizia Paola Coletti interpretata da Greta Scarano. Non solo il nostro eroe non vuole firmare le carte del divorzio come in un film americano ma, come in un thriller hollywoodiano, la Banda viene chiamata a collaborare con la Polizia per trovare nuove smart drugs (ben 39) e quindi lavorare sotto traccia per prendere altri criminali e abbassare la loro pena carceraria. Idea di sceneggiatura perfetta che costringe Pietro Zinni ad accettare. La Coletti è una donna tosta, ambiziosa, indurita da un ambiente maschile dove è difficile emergere con le buone maniere. Immediatamente la Banda dei Ricercatori viene paragonata alla Banda della Magliana grazie a una battutona del grandissimo Francesco Acquaroli, commissario esperto in tensione con la Coletti: "Noi 'ste cose le facevamo negli anni '70". I criminali vengono quindi utilizzati dallo Stato, o meglio da pezzi non comunicanti tra loro dello Stato (parenti dei famosi servizi segreti deviati), non per la strategia della tensione anni '70 del '900 ma, in chiave oggi si direbbe più smart, per degli anni 2000 dove Zinni & Co. vogliono solo avere uno sconto pena.
Questo ci porta a un nuovo colore.
Nero
Mai dimenticare quanto il successo della vita criminale precedente avesse "lavorato" psicologicamente su quegli intellettuali sfigati un tempo gentilmente disperati e senza amor proprio. Chi era diventato tossicodipendente (Alberto Petrelli), chi voleva vivere nelle suite (Mattia Argeri e Giorgio Sironi), chi avrebbe ucciso senza battere ciglio (l'antropologo De Sanctis, abituato alla logica della sopraffazione per via dei suoi studi su popoli e territori). Smetto Quando Voglio - Masterclass amplifica tutto ciò aumentando la componente drammatica del plot. C'è l'ambizione di una donna che rischia di fottere Zinni (una donna poliziotto in contrasto con un'altra donna giornalista; idea geniale e nuova dentro il cinema italiano quello di far litigare le quote rosa), c'è un De Sanctis sempre più cinico (l'antropologo è diventato quasi nichilista nell'accettare una logica della sopraffazione che lui ora sa gestire come fosse un superuomo) e un Argeri inquietante e sinistro (grande Valerio Aprea) perché memore di pulsioni omicide che non può più nascondere né a noi né allo spettatore. Poi arriva anche l'imprevedibilità apocalittica.
Mercuriale
Aggettivo che sta per mobile, movimentato, sorprendente. Anche legato all'appellativo latino per il dio greco forse più indecifrabile. Mercurio viaggia e comunica ma vuole anche l'inganno, il furto, la menzogna e la truffa. Geniale l'idea di affidare questo villain (ma lo è?) a Luigi Lo Cascio, abituato a non essere mai cattivo ma appartenente più al cinema drammatico che non comico (Mio Cognato di Piva e Gli Amici Del Bar Margherita di Avati le pellicole più lievi nel suo prestigioso curriculum). Come mai abbiamo sentito puzza di gas nervino, di attentato, di terrorismo, di minaccia globale alla fine di questo ottimo Smetto Quando Voglio - Masterclass? Perché siamo usciti dal film spiazzati dalla gravitas di una situazione che sa di beffa alla Soliti Sospetti di Singer (Walter Mercurio è il nostro Keyser Söze?) o da virus mondiale alla Inferno?
Tutto cambierà in Smetto Quando Voglio - Ad Honorem? Qualcuno de La Banda dei Ricercatori morirà?
L'Italia, o forse il mondo, saranno contaminati e attaccati da questa generazione di intellettuali frustrati?
Conclusioni
Volevano creare un franchise e ci sono riusciti (lo scriviamo prima dei risultati definitivi del primo weekend). Volevano ampliare lo spettro drammaturgico e ce l'hanno fatta. Abbiamo riso per le vecchie dinamiche all'interno della Banda dei Ricercatori, apprezzato le nuove forse in campo (ma volevamo il Giulio Bolle di Marco Bonini più concreta action star; doveva picchiare di più) e ammirato ancora una volta la traduzione di spunti anglosassoni (ma quanto si poteva lucrare ancora su quella meravigliosa Smettomobile modello Blues Brothers o Ghostbusters?!) dentro la commedia all'italiana figlia del neorealismo.
Poi, alla fine, abbiamo sentito la vertigine del terrorismo, la minaccia all'orizzonte come quelle nuvole da temporale che Sarah Connor scorge poco prima dei titoli di coda di Terminator (1984).
Ci siamo spaventati, eccitati e ancora di più incuriositi.
Poi però abbiamo riflettuto su un altro aspetto: la coerenza.
Che si finisca con gas nervino, stragismo e paura... in fondo è assolutamente organico all'incipit che aveva dato il via a tutto. Qui si rideva della disperazione di una generazione di italiano precari, perdenti e umiliati galvanizzati da un successo legato all'essere diventati... dei criminali.
Che tutto possa diventare o sfociare in una catastrofe... era in fondo scritto nella premessa.
Che tutto potesse anche non far ridere, era l'aspetto storicamente più intelligente, e colto, di quella straordinaria commedia del 2014 diventata una saga incredibilmente affascinante e complessa nel 2017.
Con una fine tutta scrivere, vivere ed eventualmente morire, sulla nostra pelle.