Bad Movie - Santiago, Italia, di Nanni Moretti
Il Bad Movie della settimana è Santiago, Italia di Nanni Moretti, nuovo documentario del cineasta italiano a 28 anni da La Cosa sulla fine del Partito Comunista
Caro Cile
Prima c'è un movimento di macchina molto simile a Caro Diario quando Moretti inquadra dall'alto il campo di calcio in cui sta giocando da solo. Stavolta lo vediamo in piedi sopra una città ma la macchina fa praticamente lo stesso movimento come a voler cercare qualcosa che non trova tra quei palazzoni anche un po' bruttini di Santiago del Cile.
Talking Hearts
Poi comincia il film vero e proprio che è composto da interviste o in interni di cui non vedi troppo l'arredamento o in esterni di cui non capisci niente a livello geografico (è una strada? Siamo in un mercato al coperto?). Parlano imprenditori, giornalisti, politici, operai, registi cinematografici e muralisti. Ma più che altro sono Patricio, Arturo, Paolo, David, Victoria, Rodrigo ed Erik. Di cosa parlano in queste inquadrature così strette e dunque intime questi signori e signore cilene con l'intrusione di Paolo Hutter e Piero De Masi? Della speranza di quella vittoria nel 1970 alla Presidenziali con Allende eletto dentro l'Unidad Popular alleanza di socialisti, comunisti, radicali e democristiani scissionisti. Non è un documentario su quella storia lì perché sarebbe stato impossibile per Moretti pareggiare la corposità e bellezza di Salvador Allende (2004) di Patricio Guzmán, che non a caso il cineasta italiano inserisce tra gli intervistati dandogli la posizione privilegiata che merita come testimone di quell'esperienza. Il momento della gioia di una generazione di giovani idealisti che ha vinto dura poco. Il più divertente è il nostro Hutter che all'epoca della vittoria è un giornalista umanamente gasato anche solo dal fatto che il suo essere comunista, in quel caso, lo ha messo per la prima volta in una posizione di maggioranza in cui non è mai trovato prima. Il doc di Moretti non è nemmeno un resoconto della repressione e tortura subite da alcuni degli intervistati dopo la morte di Allende per via del colpo di stato dei militari dell'11 settembre 1973 (Ken Loach dedicò a quell'altro 11 settembre il suo episodio nel collettivo 11 settembre 2001). Santiago, Italia non vuole dunque né esaltare la nostalgia di quella storica vittoria politica né contorcersi nel dolore del ricordo di come quell'exploit democratico del sogno socialista fu cancellato dalla violenza dei militari. Gli intervistati sono composti, ben pettinati, fieri e addirittura belli. Qualcuno piange e Moretti non lo taglia al montaggio ma chiede solo: "Perché ti commuovi?" oppure "Come guardi i tuoi anni di militanza?". Il senso ultimo di queste teste parlanti nel linguaggio tecnico del documentarismo è diventare poi testimoni del viaggio dal Cile all'Italia protagonista della seconda parte del film quando si racconta di come la nostra Ambasciata difese i perseguitati del regime di Pinochet proteggendoli all'interno del palazzo e poi spedendoli come rifugiati politici in un'Italia in cui questi "asilati" venivano inseriti nel mondo del lavoro, coccolati dai militanti del partito comunista ma non solo. "Tutti i partiti furono solidali con noi" ricorda l'imprenditore Erik Merino. Molto affascinanti, proprio sul finale, le immagini serali che Moretti prende dal Luigi Perelli di Musica Per La Libertà (1975) in cui compaiono gli Inti-Illimani e Gian Maria Volontè in manifestazioni pro-Cile.
Lui
C'è? Non c'è? Lo si nota di più se è in disparte? C'è in quell'inquadratura iniziale di spalle dove domina su Santiago, poi in voce flebile ("E tu?" chiede a un certo punto ma potreste anche non sentirlo) durante le interviste ma molto raramente e infine con l'ex generale Raúl Eduardo Iturriaga, all'epoca capo della polizia segreta, che si incavola perché l'intervista è faziosa. In un'inquadratura che li vede entrambi di profilo (con Moretti gigantesco nella porzione di sinistra del fotogramma e Iturriaga piccolino a destra), il regista lo fa sfogare (l'intervista è stata interrotta e i due sono in piedi) e poi ammette serafico di fronte all'accusa di scarsa obiettività: "Io non sono imparziale". Il punto di vista finale del doc (l'Italia di eri era solidale con i migranti, quella di oggi no) non viene esposto da lui bensì dal passionale Merino (è lui quello che dice l'unica parolaccia del film) che termina lapidario così: "Io sono arrivato come esule, in un Paese che per me era nuovo sotto tanti aspetti, un paese che aveva fatto la guerra partigiana, un paese che aveva difeso uno statuto dei lavoratori. Sono arrivato in un Paese che era molto simile a quello che sognava Allende in quel momento lì. Oggi viaggio in Italia e vedo che l'Italia assomiglia sempre di più al Cile, nelle cose peggiori del Cile".
Conclusioni
Nel 1990 Nanni Moretti realizza La Cosa, citato affettuosamente in Notti Magiche di Paolo Virzì, sul dibattito interno al partito comunista all'indomani dalla cosiddetta "svolta della Bolognina" del 12 novembre 1989 in cui il segretario del Pci Achille Occhetto annuncia il probabile cambio di nome. In quel caso il documentario è composto da varie sequenze di dibattito politico andando in giro per le sezioni del Pci italiane, da Francavilla a Roma, e inquadrando dunque ambienti, arredamenti (anche agghiaccianti), accenti regionali e persone immerse dentro inquadrature che non esaltano la loro individualità ma anzi le collocano visivamente e metaforicamente vicino ad altri esseri umani dando più l'idea di un sentimento e riflessione collettivi. La macchina da presa è più distante e molto meno intima rispetto a Santiago, Italia che invece tende a concentrarsi sulla specificità esistenziale di chi parla. Sono passati 28 anni da quell'ultimo ultimo, vero, documentario visto che gli altri progetti morettiani non fiction nella sua filmografia o sono cortometraggi giocosi o diari dai set che sanno di backstage. E allora non possiamo non paragonare questo suo ultimo film che va in sala in questi giorni a quei 59 minuti che la Rai manda in onda il 6 marzo 1990. In fondo quei militanti così vivaci e dialettici de La Cosa avevano nel loro bagaglio di memoria politica l'accoglienza dei profughi cileni dal golpe del 1973, accaduto "solo" 17 anni prima.
Ma oggi, magicamente, è come se non esistessero più.