Bad Movie - Revenant - Redivivo, di Alejandro González Iñárritu

Il Bad Movie di questa settimana è Revenant - Il Redivivo, survivor movie con DiCaprio ambientato nel feroce XIX secolo nordamericano e ispirato alla vera vita di Hugh Glass

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Spoiler Alert

Bearman o (la prevedibile virtù del rapporto trascendente padre-figlio)

Dopo Birdman ecco Bearman. L'uomo orso si chiama Hugh Glass e negli Stati Uniti primordiali del 1823 fu abbandonato nel Missouri perché presunto morto dopo che un grizzly inferocito lo aveva praticamente maciullato. Chi era questo signor Glass, malcapitato protagonista di Revenant - Redivivo, film con il maggior numero di nomination (12) all'Oscar 2016 diretto da Alejandro González Iñárritu e interpretato da Leonardo DiCaprio? Avventuriero, funambolico trapper oltre che guida indispensabile per la compagnia di cacciatori di pelli Rocky Mountain Fur Company guidata dal Capitano Andrew Henry (Domhnall Gleeson), Glass è uno dei miti in bilico tra realtà e leggenda dell'epopea nordamericana della Frontiera. Gli dedicarono presto articoli, canzoni, poemi, film (questo è il secondo dopo Uomo Bianco Va' Col Tuo Dio del 1971). E' dunque una storia vera? No. E' un film di Alejandro González Iñárritu regista messicano forse più prepotente che potente ormai specializzatosi dopo Birdman in film in lingua inglese veri e propri tour de force faticosissimi per la sua troupe (capitanata dal geniale dop Lubezki detto il Chivo in procinto di vincere il terzo Oscar consecutivo per Miglior Fotografia) e anche per lo spettatore. I film di Iñárritu ti montano addosso, ti attaccano i sensi e ti schiacciano con una sicurezza che può sconfinare nell'alterigia e una gravitas a tal punto esibita da diventare insopportabile protervia. Revenant fa come l'orso grizzly con il povero Glass di DiCaprio a 20 minuti dall'inizio del film. Si lancia contro di te, ti salta addosso e ti ansima in faccia il suo doloroso plot. Per ben 156 minuti (leggi: due ore e trentasei minuti).

Revenant fa come l'orso grizzly con il povero Glass di DiCaprio a 20 minuti dall'inizio del film

In questo caso il regista messicano sì recupera una grande storia di sopravvivenza della vecchia Frontiera rielaborata ultimamente dal Michael Punke del romanzo Revenant - La Storia Vera di Hugh Glass e Della Sua Vendetta (per noi edito da Einaudi nel 2014) ma soprattutto lo trasforma nel suo terzo film di seguito dove il rapporto padre-figlio viene rappresentato come una relazione dagli sbocchi ultraterreni in grado di trascendere spazio, tempo e Storia. Dopo aver raggiunto la summa dell'idea di globalizzazione del dolore con la trilogia della morte uscita dalla penna di Guillermo Arriaga Amores Perros (2000), 21 Grammi (2003) e Babel (2006), Iñárritu apre con Biutiful una nuova fase della sua filmografia: quella della trascendenza padre-figlio.

Nel bellissimo film con Javier Bardem ambientato a Barcellona, ecco un padre che è anche un figlio immerso nella quotidianità più melmosa sognare fin dall'inizio della pellicola il genitore guerriero che scappò dalla Spagna di Franco per raggiungere il Messico. Il personaggio di Bardem (Uxbal) si ricongiungerà con il papà che non ha mai conosciuto in uno spazio boscoso ultraterreno dopo averlo di fatto rincorso fin dalle prime meravigliose immagini. Il contrasto tra lo squallore esistenziale del mondo del figlio e il fascino epico del mondo rivoluzionario del padre... era tra gli aspetti più affascinanti di quell'impressionante film che fu Biutiful. Poi arriviamo alla seconda trascendenza: un padre diventa addirittura un supereroe in grado di volare davanti agli occhi felici della figlia nell'inquadratura finale di Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza). Ancora una relazione genitoriale che supera i confini dei limiti fisici per librarsi, letteralmente, in aria. E ora? Ora Iñárritu continua il percorso con Revenant - Redivivo e contemporaneamente non puoi evitare di ammirarlo e biasimarlo allo stesso tempo. Perché? Perché il regista messicano è così prepotente e feroce nella sua ossessione tematica da voler lasciare fuori dal film tutti quelli che non siano fomentati dall'argomento quanto lui. E' questo il fascino e il limite del suo cinema. Chi trascende in Revenant il rapporto padre-figlio? Proprio il barbuto e capellone Hugh Glass di DiCaprio (sosia del regista stesso; c'è un significato?), qui genitore di un ragazzo mezzo sangue avuto da una relazione con una nativa indiana.

Il film tradisce la Storia perché nessun documento minimamente attendibile riporta che il vero cacciatore di pelli Glass potesse avere mai avuto un figlio da un'indiana. E quindi, una volta che il regista messicano ha modellato la Storia a proprio piacimento (non gliene facciamo certo una colpa), rieccoci con la sua fissa ovvero l'idealizzazione metafisica del legame di sangue (è il padre qui ad avere sogni e visioni del figlio e della moglie come in Birdman, a differenza del punto di vista filiale, invece, di Biutiful) e rieccoci con la motivazione aggiuntiva alla leggendaria "resurrezione" di Glass: il nostro "ritornante" (Revenant) viene lasciato mezzo morto dopo essere stato attaccato da un grizzly (a sua volta genitore apprensivo, proprio come il cacciatore). Nella realtà Glass, molto prosaicamente, si incavolò di brutto con i due che lo abbandonarono (John Fitzgerald e Jim Bridger) pensandolo morto perché, una volta rimessisi in cammino verso l'altra parte della compagnia che li aveva lasciati a vegliare su Glass, avevano anche rubato il fucile del povero Hugh. Qui è tutto, molto, molto, molto diverso. Glass in Revenant è desideroso di vendetta nei confronti dell'ingenuo Bridger (un grande Will Poulter) e soprattutto del traditore Fitzgerald (un grandissimo Tom Hardy) per via del fatto che suo figlio è stato ucciso sotto i suoi occhi dallo stesso Fitzgerald. Il ritorno alla vita dalla morte e la sopportazione di mille nuove sofferenze nel cammino verso il fortino della compagnia del Capitano Henry sono motivati da qualcosa di così universale (l'assassinio del figlio) da permettere, secondo il chiaro punto di vista di Iñárritu, di evitare il dramma per una struttura più basica e action da survivor e revenge movie stile Rambo e/o dittico Kill Bill. Noi conosciamo pochissimo la vita privata di Glass e che Iñárritu non abbia alcuna intenzione di porvi rimedio è evidente lungo tutto il corso del film. Il regista ci dice: è così e basta. Prendere o lasciare. Emblematico uno scambio di battute verso l'epilogo di questi dolorosissimi 156 minuti in cui il sensibile Capitano Henry di Gleeson chiede al redivivo Glass: "È vero che hai ucciso un ufficiale?" per sentirsi rispondere in modo estremamente scarno: "Ho solo ucciso un uomo che cercava di uccidere mio figlio" (ancora). Questo ci porta a un altro discorso fortissimo del film assente completamente in tutti i racconti concernenti la vita del vero Hugh Glass.

Indiano è meglio

Il Capitano Henry (wasp) non ricorda più il viso di sua moglie e pare una pecorella in mezzo ai lupi, Fitzgerald (wasp) è razzista e pensa solo ed agisce solo in base al proprio possibile arricchimento personale (più che un personaggio pare un concetto: il capitalismo selvaggio) mentre i Francesi, da buoni occidentali, sono mentitori e stupratori. Il viso pallido, per Iñárritu, è vittima di un'ideologia perdente che, nel migliore dei casi (Capitano Henry), porta all'oblio dei propri affetti personali. La cultura dei nativi americani, invece, è pura armonia con la natura e soprattutto pregna di sogni e visioni che, come nel caso di Glass, ci permettono di entrare in contatto con gli spiriti buoni della nostra esistenza, siano essi vivi o morti. Revenant - Redivivo manipola brutalmente il mito di Frontiera Hugh Glass per farne un simbolo di reazione violenta (padre guerriero e super come in Biutiful e Birdman) alla prevaricazione razziale (Fitzgerald odia Glass e suo figlio perché alfieri della contaminazione tra bianchi e indiani) e genocidio culturale. Il viso pallido ha invaso un terreno incontaminato in cui la Natura era giusta (l'orso attacca Glass per difendere i propri figli come avrebbe fatto lui stesso) anche se pericolosa ed in cui i primi abitanti (gli indiani) vivevano rispettando un equilibrio naturale che l'ideologia occidentale ha completamente inquinato e sovvertito. Per rispetto nei confronti di Madre Natura Iñárritu fa quello che fa Malick: si inginocchia.  Quindi il punto di vista dell'agilissima macchina da presa digitale (ALEXA 65) di Lubezki è quasi sempre dal basso verso l'alto con gli alberi a fungere da ponte dalla Terra verso Dio. I fucili degli uomini, invece, sono ripresi sempre come linee lignee violentemente allungate verso i lati del fotogramma. Come dire: sono protesi umane che non portano verso Dio ma solo verso il prossimo Uomo da uccidere. Anche la terribile ferocia della tribù degli Arikara (i primi minuti sono lo sbarco in Normandia di Salvate il Soldato Ryan al contrario con gli uomini della compagnia di Henry a dover riprendere le acque per sfuggire all'attacco da terra degli indiani) è sempre motivata dalla presenza nefasta dei visi pallidi. Qualora qualcuno avesse ancora dei dubbi... il finale spiega tutto. Ma ci arriveremo più in là.

L'incontro di due ossessioni

Revenant è quindi pienamente un film della tradizione dei western pro nativi americani come il formidabile, e contemporaneo, trittico Piccolo Grande Uomo (1970), Soldato Blu (1970) e Un Uomo Chiamato Cavallo (1970) fino ad arrivare a Balla Coi Lupi (1990). Ma Revenant è anche l'incontro di due uomini reciprocamente ossessionati. Iñárritu per quanto riguarda il rapporto trascendente padre-figlio e la necessità ormai evidente di realizzare film che siano anche delle ordalie autolesioniste psicofisiche a fini probabilmente autoterapeutici. L'altra ossessione ci pare essere quella di DiCaprio in relazione al rapporto durissimo, e anch'esso sadomaso, tra lui e l'Academy. Per ottenere l'agognata statuetta mai come quest'anno a portata di mano (solo Bryan Cranston può rovinare la festa a Leo), DiCaprio cosa ha scelto di fare? Soffrire le pene dell'inferno. Ebbene... non poteva trovare regista più adatto a regalargli dolore e mortificazione cinematografica per quasi tutti i 156 minuti della pellicola. Basterà questa prova più da fachiro che da attore per vincere l'Oscar? Se è vero che la rappresentazione della malattia serve come il pane ad Hollywood per ottenere quella statuetta... allora sembra proprio che la coppia DiCaprio/Iñárritu (diventati la stessa persona anche nel look) abbia deciso di sublimare l'ossessione Oscar dicapriesca facendola diventare proprio quella malattia la cui atroce sofferenza guarirà Leo dalla maledizione dell'Academy.

La domanda è: basterà tutta questa sofferenza per far vincere l'Oscar al buon Leo?

Nell'ordine cosa accade a DiCaprio-Glass nel film? Viene aggredito da un grizzly che gli fa a brandelli la gola, spezza la caviglia destra, scortica il petto, spappola la schiena e poi, dulcis in fundo, schiaccia le costole atterrando pesantemente su di lui con tutta la deflagrante potenza di un peso morto da due quintali. Passiamo ora agli esseri umani: tenteranno di soffocarlo, lo seppelliranno vivo, lo vedremo in balia delle rapide di un fiume, inseguito a cavallo dagli indiani Arikara i quali lo faranno precipitare da una scarpata costringendolo poi a squarciare la pancia del destriero con cui era caduto per non morire congelato. Curiosità equestre: è un periodo di recupero dell'idea di dormire dentro la pancia di un cavallo per scampare a una tempesta. Dopo la scena bellissima di Storie di Cavalli e di Uomini, nonché il ricordo piacevole di Han Solo che apre la carcassa di un Tauntaun con la lightsaber per permettere a Luke Skywalker di trovarvi riparo in mezzo alla neve del pianeta Hoth di Episodio V - L'Impero Colpisce Ancora, ecco anche in Revenant l'idea di svuotare le viscere del quadrupede per dimorare all'interno del suo corpo. Torniamo a Glass... altre torture? Ma certo. Gli verrà sgarrata la guancia sinistra, mangiato l'orecchio destro, pugnalata la coscia sinistra e infilzata la mano sempre sinistra. L'unico che non lo picchia nel film ma lo cura chi è? Un dolcissimo indiano Pawnee, più pacifico e solitario rispetto ai feroci Arikara. La domanda è: basterà tutta questa sofferenza per far vincere l'Oscar al buon Leo?

La vendetta è nelle mani di Dio mentre l'Oscar in quelle dell'Academy

Eh già perché oltre all'indicibile dolore fisico... DiCaprio sembra provare molto poco altro nel film. E mentre il suo recupero fisico potrà far sorridere gli spettatori più sarcastici (o anche semplicemente meno suggestionabili; soprattutto la caviglia destra spezzata... non si capisce proprio come Glass riesca a raddrizzarla), la totale assenza di sottigliezza psicologica del personaggio nonché di qualche percorso interiore in più nella sua vita di nordamericano amicone degli indiani... ci lasciano piuttosto delusi. La barbona e i capelli lunghi dovrebbero cercare di eliminare l'annoso problema dell'eterno faccione da ragazzino ma purtroppo, anche in questo caso, il DiCaprio uomo vissuto non convince affatto. Il figlio mezzo indiano di Glass (Hawk, interpretato da Forrest Goodluck)... sembra lui il padre dell'avventuriero (pochissima somiglianza, inoltre, tra i due; avrà preso tutto dalla mamma).

Se proprio non vi verrà mai e poi mai da ridere durante tutta la parossistica ed iperbolica resurrezione fisica di Glass, potreste quantomeno avere dei problemi nel finale quando Iñárritu smonta tutta la motivazione vendicativa del suo protagonista facendogli elaborare all'improvviso una frase della moglie onirica che lo richiamava all'obbligo di affidare la vendetta a Dio e non alle sue misere mani mortali. E chi ricoprirà il ruolo di Dio per Glass? Ma ancora gli indiani, naturalmente. Ennesima prova del fatto che gli unici arbitri giusti nel mondo faticosissimo e dolorosissimo di Revenant possono e devono essere solo coloro che da quel mondo verranno crudelmente e ferocemente estromessi per mano dei nuovi padroni bianchi come il fin troppo cattivo Fitzgerald e il fin troppo cattivo Henry fino ad arrivare alle nuove generazioni di nordamericani del XX e XXI Secolo.

Fino ad arrivare ai 6000 membri dell'Academy, in grado di espiare le proprie coscienze grazie a un film che serve esattamente a questo.

E all'Oscar per DiCaprio, naturalmente.

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