Bad Movie - Resident Evil: The Final Chapter, di Paul W.S. Anderson

Il Bad Movie è Resident Evil: The Final Chapter con la coppia Paul W. Anderson e Milla Jovovich, ancora regista e star di una saga arrivata al sesto capitolo

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Spoiler Alert
2002

Sostanze che si sprigionano attraverso impianti di climatizzazione. È accaduto qualche giorno fa ad Amburgo. Così si apriva Resident Evil nel 2002. Solo che all'epoca non era uno spray al peperoncino ma un virus letale gettato dalla Umbrella Corporation dentro gli stessi locali e uffici della Umbrella Corporation. Resident Evil fu importante perché: 1) gli zombi tornavano al cinema mainstream dopo anni e anni di assenza favorendo nell'immediato futuro una propagazione di non-morti o infetti, lenti o veloci, grazie a 28 Giorni Dopo (2002), L'Alba Dei Morti Dementi (2004; di Wright), L'Alba Dei Morti Viventi (2004; di Snyder), La Terra Dei Morti Viventi (2005; di "papà" Romero), Grindhouse - Planet Terror (2007) e last but no least la serie tv dal 2010 The Walking Dead 2) si adattava un videogame giapponese Capcom arrivato nel 2002 già a 4 edizioni ispirato al cinema di George Romero (contattato in una prima fase dell'adattamento per il cinema) 3) fu simbolo di un sodalizio artistico che divenne ben presto anche sentimentale garantendo, grazie alla inusuale longevità della coppia show biz Milla Jovovich (attrice) e Paul W.S. Anderson (sceneggiatore e regista), un costante flusso produttivo necessario alla resistenza del franchise 4) era un horror tratto da videogame ma in un certo senso era anche figlio del dibattito dell'epoca sulla pericolosità delle corporation regine della globalizzazione come sostenevano Michael Moore, Naomi Klein (No Logo era un saggio del 2000) e il documentario no-global praticamente coevo The Corporation (2003). Nel freddissimo prologo iniziale degno del Carpenter di 1997: Fuga Da New York, la Umbrella Corporation veniva presentata come quasi più potente del governo Usa 5) dopo il doloroso flop di Giovanna d'Arco (1999), Milla Jovovich veniva rilanciata stavolta come pura action star spigolosa e gelida come le scenografie dopo i più che buoni risultati di Angelina Jolie in shorts e scarponcini con Tomb Raider (2001), film diretto da Simon West in cui Daniel Craig era solo una comparsa trattato come oggetto sessuale dell'eroina e Iain Glen un oscuro villain amante di massaggi particolarmente hard.

2016

In quattordici anni possono cambiare tante cose. Gli zombi da lenti e pallidi si fanno più rabbiosi e paonazzi, Resident Evil si fa più fantascienza che horror, diventa spaghetti western nel terzo capitolo diretto dal re del videoclip anni '80
Russell Mulcahy
(Resident Evil: Extinction), trova nuovi registi oltre Anderson (Alexander Witt e il già citato Mulcahy) e affronta il dominio totale in chiave editoriale del concetto di serializzazione cinematografica venendo di fatto costretta, per la sua stessa sopravvivenza, a ripensarsi e, letteralmente, ridarsi un tono. È una piacevole sorpresa notare come questo sesto episodio sia riuscito a stare al passo coi tempi, a rispondere alle sfide della contemporaneità e allo stesso tempo a ricollegarsi con una certa coerenza al primo capitolo del 2002. Alice è costretta a tornare a Racoon City dove tutto ebbe inizio per recuperare un antidoto al virus T contenuto al centro dell'Alveare. Il villain è moltiplicato nella sua potenza un po' perché Iain Glen è più noto oggi grazie al Trono di Spade un po' perché Anderson, nell'anno dell'atteso sequel di Blade Runner, torna a un'ideuzza non male circa l'impiego di cloni, o replicanti, incapaci a loro volta di sapere di essere o no delle copie dell'originale. La Umbrella Corporation è regina incontrastata grazie a scene di riunioni del suo board dove si decide, in armonia con Kingsmen - Secret Service e Inferno, che i kaloi kai agathoi di oggi possano e debbano creare: "Un'arca di Noè per i ricchi e i potenti". Il mondo era già sovrappopolato nel 2002 (ma il cinema di consumo non ce lo diceva) quando si decise di gettare quel virus T dentro gli uffici della Umbrella Corporation (un'azienda che uccide i suoi impiegati) per iniziare da lì ad eliminare un bel po' di persone dal Pianeta Terra dopo che tutto era partito dalla ricerca di cure del padre disperato di una bambina malata. Se Inferno sceglie la strada, assai interessante e coraggiosa, del melodramma politico con la coppia di giovani-amanti-idealisti-terroristi (Foster-Jones) contrapposti ai vecchi-platonici-disillusi-istituzionali (Hanks-Babett Knudsen), Resident Evil: The Final Chapter torna alla corporation assassina e totalitaria del 2002, pronta a nascondersi e proteggersi durante la diffusione del virus in attesa di svegliarsi tranquillamente dal letargo, come l'equipaggio di Alien o i coloni-villeggianti di Passengers, quando tre quarti della popolazione mondiale non ci sarà più. Le intelligenze artificiali bambine (La Regina Rossa) si ribellano a questo piano degli umani disumani, Alice parte da una Casa Bianca completamente distrutta (era il finale del capitolo sei) per raggiungere Racoon City, il gruppo di combattenti resistenti incontrato per strada ha sempre qualcosa, o qualcuno, di ambiguo al suo interno (i rivoluzionari non sono mai solo innocenti; idea fissa degli ultimi anni) e gli infetti sono orde manipolabili all'interno dei quali non scorgiamo mai singolarità o lente e drammatiche diffusioni del morbo come da tradizione romeriana. È tutto più caotico e apocalittico.

Conclusioni

Torna il corridoio della paura che faceva a pezzettini il povero Colin Salmon nel 2002 mentre l'ascensore di quell'inizio macabro alla Brivido (le macchine si ribellano all'uomo) del primo film (è il setting della morte preferita, dentro la saga, dalla Jovovich) è fuori servizio visto che il trionfo del fantasy oggigiorno impone mostri e creature schifose, alate e non ("Libera i cerberi!"), più rumorose (c'è un sound design veramente terrificante) che pericolose, isteriche nei movimenti rispetto a quegli umanoidi scuoiati presenti nel 2002 simili, all'epoca, a soggetti dipinti nelle tele di Francis Bacon. Alice è sempre meno scollata (nel primo capitolo andava in giro in sottoveste rossa scosciata). Ormai Milla Jovovich (guerriera leader politico) e Iain Glen (il Dr. Isaacs arriva dal secondo Resident Evil: Apocalypse) sono i residenti resistenti di una saga sempre più femminista in linea con tanto cinema fantastico degli ultimi due anni.
"La trinità delle puttane unite nell'odio!" urlerà un maschio frustrato.
L'esalogia di Alice nel paese del virus T pare essere conclusa. Pare.
Perché oggi la serializzazione, come la ricerca popperiana, non ha fine.
E il finale è apertissimo.

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