Bad Movie - L'Isola Dei Cani, di Wes Anderson
Il Bad Movie della settimana è L'Isola Dei Cani di Wes Anderson, seconda avventura stop motion per il geniale regista di Fantastic Mr. Fox e The Grand Budapest Hotel
Go Wes!
L'inadeguatezza di un'armata Brancaleone di figli criminali mortificati dall'irraggiungibile genitore-gangster (Un Colpo Da Dilettanti, 1996). Il piccolo genio dalla conflittuale creatività surclassato in amore dal vecchio mentore miliardario (Rushmore, 1998). La ricerca del padre assente perché avventuriero (I Tenenbaum, Le Avventure Acquatiche Di Steve Zissou, 2001 e 2004). Una madre crudele che preferisce curare sconosciuti indiani rispetto a tre figli fragilissimi (Il Treno Per Il Darjeeling, 2007). Un capo famiglia con corpo da volpe che non riesce a controllare la sua istintiva brama di pericolo oltre che trascurare il figlio più piccolo (Fantastic Mr. Fox, 2009). Un bambino con cappello da procione più coraggioso e romantico di adulti disillusi e forse definitivamente rassegnati all'apatia (Moonrise Kingdom, 2012). Un preadolescente indiano svezzato in una fantomatica Europa Centrale del 1932 da un concierge gerontofilo (Gran Budapest Hotel, 2014) capace di guidarlo dentro un'avventura che lo temprerà a tutto, anche al futuro successo.
Non è difficile vedere la progressione di ottimismo inarrestabile, spesso legato alla figura dell'eroe giovane, nel cinema del geniale Wes Anderson, diventato papà nel 2016 alla non tenera età di 47 anni. Prima c'era il trauma di essere stato figlio ferito di genitori separati nonché fratello in famiglie competitive. Adesso c'è molta più rilassatezza, speranza e joie de vivre. Cominciò tutto con quel clamoroso cambio di look di metà anni 2000? Ora Anderson sembra marciare verso l'happy end attraverso la resilienza e resistenza del piccolo grande eroe. Un corpo capace di piegarsi ma non spezzarsi. Un cuore incontaminato da malinconia e disperazione.
L'Isola Dei Cani non fa eccezione. Gli adulti praticamente non ci sono e se ci sono appaiono come personaggi marginali, portatori di inganno (Mayor Kobayashi) o invasi dalla debolezza anche se buoni (Dr. Watanabe).
È il terzo Anderson movie di seguito con pargolo action & romantic star.
I cuccioli di uomo sono delle furie. Quelli di cane pure.
Cani Arrabbiati
Prendiamo a prestito il titolo dal tormentato film di Mario Bava per commentare questa nuova stravaganza in stop motion andersoniana, senza la base letteraria di Roald Dahl (e purtroppo si sente), dove il sodale Desplat crea una colonna sonora super adulta (così martellante da risultare opprimente) ed il regista + Jason Schwartzman + Roman Coppola costruisce in sceneggiatura una fantascienza distopica incredibilmente scombiccherata, divisa in quattro parti, in cui un gruppo di cani esiliati per motivi di salute pubblica in un'isola a largo del Giappone si allea con un "piccolo pilota" umano (ogni riferimento a Antoine de Saint-Exupéry non è casuale) atterrato da quelle parti per capire che fine ha fatto il suo fido quattrozampe di un tempo al secolo Spots. Sarà ancora vivo? I cani rabbiosi segregati nell'isola tra rifiuti e fabbriche abbandonate lo aiuteranno oppure no? Ci sono prologhi dove antenati sosia dei protagonisti si scontrano sull'amore per gatti o cani, articolati flashback e parole in italiano o quasi (il quotidiano cartaceo Manifesto + l'espressione "respecto" + lo sgherro Major Domo che si pronuncia anche in italiano come fosse il sinonimo di cameriere; nella intervista con il nostro Andrea Bedeschi sia Schwartzman che Coppola ammettono di aver scritto il copione in terra italica). Politicamente la nazione nipponica del futuro pare composta da adulti sonnambuli facilmente creduloni e manipolabili e se non fosse per una studentessa americana pasionaria la rinuncia alla lotta vincerebbe senza problemi sulla reazione all'ingiustizia. In pieno stile andersoniano rivelazioni e segreti di famiglia faranno capolino nel finale. Il cattivone Kobayashi è un po' come Thanos: anche lui è un villain con smanie adottive ma, a differenza di Thanos, è pronto un po' troppo pretestuosamente a cambiare idea (aiaiai). La spalla ancora più cattiva di lui Sicario Major Domo (un misto del Gigante di Twin Peaks + Lurch degli Addams + Frankenstein di Karloff) pare più fuori luogo che terrificante. Stessa dizione chic e personalità ferina forbita e naïf insieme per i cani che parlano in inglese/italiano (bellissimo il doppiaggio con pezzi da novanta come De Sando, Nicotra, Caprio, Acerbo e Insegno in forma smagliante) proprio come nel caso delle volpi di Fantastic Mr. Fox (lì c'erano i timbri vocali di George Clooney e Meryl Streep mentre qui in originale ascolterete Bryan Cranston, Goldblum, Norton, Murray, Schwartzman e altri interpreti eleganti come Balaban, Frances McDormand e Scarlet Johansson). Il momento migliore del film? Non riguarda l'avventura sull'isola un po' frivola (se l'intervento di un hacker vi sembrerà fin troppo improvviso... è perché lo è) né la parte politica in città né la lenta amicizia tra il protagonista dei cani arrabbiati Capo e il Piccolo Pilota di nome Atari. No. La magia si scatena in due scene deliziose di seduzione reciproca tra l'apparentemente randagio Capo e la cagnolina ex acrobata Nutmeg. C'è la trovata di un'esilarante sessualità canina (lui si eccita e innamora follemente di lei completando con l'immaginazione i numeri da circo che Nutmeg mima) + botta e risposta in stile Raymond Chandler (non possono non tornare alla mente i duetti tra Humphrey Bogart e Lauren Bacall ne Il Grande Freddo). Bisognava fare tutto il film così. Sarebbero dovuti essere loro due i mattatori. Avremmo così avuto un nuovo Lilli e Il Vagabondo in versione hardboiled.
Conclusioni
È tutto molto chic ma è anche tutto molto autonomo rispetto alla nostra esistenza di spettatori. L'Isola Dei Cani è uno di quei film di cui percepiamo una caratteristica insolita: non ha bisogno di noi. Né del nostro sguardo, né del nostro cuore per quanto è consapevole della propria squisita e autosufficiente brillantezza. È sempre un'opera di Wes Anderson per cui ci mancherebbe: la stop motion è spiritosa ed elegante. Ma il tutto ci pare, soprattutto a una seconda visione, leggermente meno fantastico di Fantastic Mr. Fox, meno passionale di Moonrise Kingdom e meno avvincente di The Grand Budapest Hotel. Rischia di far impazzire i tanti fan del regista ma, a differenza dei tre titoli precedenti, non allargare il bacino di utenza di questo artista che ci esalta di più quando è meno di nicchia.