Bad Movie - La La Land, di Damien Chazelle
Il Bad movie della settimana è La La Land di Damien Chazelle, favorito alla corsa Oscar dopo le 14 nomination del 26 febbraio 2017
La 4 stagioni di Chazelle
La La Land è un musical classico dove il parlato diventa naturalmente cantato e viceversa senza che i personaggi siano consapevoli di questo bizzarro comportamento e/o lo commentino mai in camera.
È ambientato in una Los Angeles di oggi che sembra quella di ieri, fotografato in pellicola (16 e 35mm), raccontato lungo quattro stagioni + un finale 5 anni dopo (inverno, primavera, estate, autunno per poi chiudersi in un inverno posizionato un lustro dopo la prima stagione dell'incipit) con protagonisti due artisti: Mia (un'attrice interpretata da Emma Stone) e Sebastian (un musicista con le fattezze di Ryan Gosling).
La loro storia d'amore sarà messa a dura prova dalle reciproche frustrazioni artistiche che poi diventeranno ambizioni.
I primi 70 minuti sono l'idillio.
I rimanenti 56 i problemi.
Pars Costruens
La La Land è un film meraviglioso. Nettamente il migliore, e quindi giustamente favorito, alla corsa a Miglior Film di questo Oscar 2017 e tra i più eleganti ed emozionanti dell'ultima stagione cinematografica cominciata per noi italiani nel settembre 2016, quando la pellicola è stata presentata in anteprima mondiale dentro il Concorso della 73esima edizione della Mostra Del Cinema di Venezia. Tutto è sublime: la musica di Justin Hurwitz (collaboratore storico di Chazelle fin dai tempi del primo jazz drama Guy And Madeline On A Park Bench nel 2009), la regia di Chazelle (etereo e fiabesco come il Donen di Cantando Sotto La Pioggia ma anche materiale e quotidiano come il Demy di Les Parapluies de Cherbourg), le prove celestiali di Ryan Gosling (scivola per le strade del film come un surfista in smoking che non schizza mai il suo vestito) e Stone (meno occhi sgranati del solito per un piglio da diva necessario per il destino del suo personaggio), la sobrietà di un cineasta che vuole raccontare una storia d'amore e null'altro. Come se ci fosse qualcosa di più difficile e giusto da filmare (in questo caso... letteralmente).
L'idillio dei primi 70 minuti è idilliaco.
I problemi dei restanti 56'... leggermente più problematici.
Pars Destruens
Se proprio volessimo fare le pulci a un cane assai pulito e anche dal pelo soffice e profumato... qualche dubbio si ha nel momento in cui l'amore tra Mia e Sebastian comincia ad affrontare le prime turbolenze.
Emblematica è una scena in cui i tormenti interiori di Sebastian vengono leggermente trascurati, o volutamente narcotizzati al nostro sguardo, dall'ottimo Chazelle anche sceneggiatore (l'Oscar più facile che La La Land potrebbe perdere la notte del 26 febbraio). Mentre Seb si sta mettendo la cravatta dopo una bellissima notte passata insieme tra confessioni di sogni reciproci (lui ha assistito da spettatore alla pièce teatrale scritta da lei; lei ha rivissuto il piano di costruzione del locale jazz pianificato da lui) e forte attrazione, Mia parla al telefono, la mattina dopo, con la mamma.
Seb, dopo essersi concentrato su una macchia del soffitto del loro appartamentino (leggi: consapevolezza del protagonista circa lo squallore in cui i due vivono nonostante l'amore), ascolta inavvertitamente una conversazione telefonica in cui Mia sussurra del suo uomo alla cornetta, quasi vergognandosi, dando l'idea di lui come di un bohemien spiantato senza un lavoro regolare. Lui in quel momento si sente un loser ma a noi sfugge la nota di dolore. Sarà quel movimento rilassato nell'incravattarsi e/o il volto di povero ma bello (ma sempre fiero) di Gosling... ma non è facile percepire in quel momento lo struggimento di Seb.
Sarà da quella scena che tutto precipita perché lui deciderà di sacrificare la sacra fedeltà al jazz ortodosso per entrare nel gruppo pop dell'amico/nemico/mefistofele Keith (John Legend) e questo lo porterà vicino al successo (per la prima volta in vita sua) ma lontano da Mia, la quale si sentirà sempre più sola fino al punto in cui i due non finiranno per vomitarsi addosso brutte, brutte, brutte parole.
Qual è il problema? Che i problemi suonano e ballano troppo velocemente. È come se in una partitura musicale Chazelle avesse disposto con grande armonia e ritmo tutti i movimenti della danza dell'amore per poi affrettarsi e accelerare troppo nel passaggio alla sinfonia delle difficoltà. Perché Mia viene risucchiata in modo un po' misterioso sia da se stessa che dal pubblico, come massa distintamente ostile e separatrice tra lei e il suo uomo, in quella strana scena del concerto che segna ancora di più il loro inevitabile distacco? Lei lo guarda tra i fan scalmanati quasi con disprezzo come se lui si fosse tradito o venduto o non fosse più il Seb che lei ha conosciuto. Perché non parlarne con più... costruttività durante quella cena dagli esiti drammatici? Perché non lottare per conservare un amore così importante? Perché non combattere per difendere ciò che si è conquistato a livello sentimentale così come si conserverà, sempre, il bottino professionale? Non vogliamo dire che Seb e Mia NON dovevano lasciarsi.
Vogliamo dire che avremmo voluto vederli SOLO crederci un po' di più. Ci siamo sentiti... traditi dal film.
Da questo punto di vista si potrebbe obiettare che Chazelle è lucido nel suo statement: gli artisti non potranno mai amarsi tra loro come amano la loro rispettiva arte. Va bene. Ma mette un po' a disagio che tutto sia già così geometrico, digerito e consapevole per un artista di già 32 anni. In Whiplash l'idea funzionava perché è un romanzo di formazione artistico-militare del ragazzino ossessionato dal mentore e dalla scoperta di sé. Non era il tempo dell'amore.
In La La Land questo pessimismo per la love story stona di più perché è la storia di due persone... più mature.
Ci doveva essere qualche sfumatura in più.
Anche Martin Scorsese realizzò un capolavoro sul concetto "nessun 50esimo anniversario di matrimonio per coppie di artisti". Si intitolava New York, New York (1977) ed è adorato e citato chiaramente dal Chazelle di La La Land.
Ma Scorsese è stato più bravo nel raccontare la separazione. Ha fatto accadere più incidenti. È stato più melodrammatico e violento. Chazelle ha una compostezza che fa paura. E, se vogliamo esagerare, rischia di irritare.
Conclusioni
Ci ha fatto anche male ciò che accade dopo il "wait and see" pronunciato a Griffith Park da Seb come piano per il futuro della coppia dopo la riconciliazione post audizione felice di lei (la prima) voluta e aiutata da lui. I due sono d'accordo nel vedere come funzionerà il rapporto dandosi ognuno la possibilità di rimanere concentrato sulla propria arte (lei andrà a Parigi per le riprese di un film; lui rimarrà a Los Angeles per aprire il tanto agognato locale jazz).
E poi cosa succede? Stacco. Cinque anni dopo li troviamo felicemente separati con lei diventata star del cinema con una bimba (almeno di tre anni) da un altro uomo. Morale della favola: il "wait and see" è durato solo due anni.
Forse anche di meno. Se ci pensi... c'è qualcosa che non va. Qualcosa che non ti convince.
Questi sono gli elementi, per lo scrivente, che non funzionano nel film.
Un tormento di Seb male raccontato per colpa di una gestualità troppo zen, una fretta dei personaggi nel lasciarsi, una crudeltà in sceneggiatura per la desolazione post atomica del post "wait and see" senza darci la minima possibilità di vedere quei due almeno provarci un po' di più.
Poi avremmo ceduto e avremmo accettato. Ma ci siamo innamorati così tanto dell'amore tra Seb e Mia che avremmo solo voluto vederlo finire con più resistenze e logica emotiva.
Maledetto bravissimo Chazelle.
Maledetto bellissimo La La Land.