Bad Movie - Joy, di David O. Russell

Il Bad Movie della settimana è Joy di David O. Russell, bizzarro resoconto della vita imprenditoriale dell'ex casalinga disperata Joy Mangano

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Joy
Spoiler Alert

Favola moderna

La favola di Joy Mangano è anche quella di David O. Russell. E' comprensibile che il regista esploso nella seconda metà dei meravigliosamente indy '90 si sia affezionato all'idea di costruire un film sull'inventrice italo americana del Miracle Mop, passata da casalinga disperata a imprenditrice di successo tra la fine degli '80 e l'inizio dei '90. Anche Russell ha avuto una parabola simile. Dopo essere emerso nel gruppo dei tanti cineasti indipendenti di successo del periodo 1989-1999 con Spanking The Monkey (1994), essere approdato anche lui alla corte Miramax di Re Harvey Weinstein con Amori e Disastri (1996) e aver diretto l'interessante satira militare Three Kings (1999) addirittura all'interno di una major rinomata come la Warner Bros... il nostro buon David passò dieci anni letteralmente disastrosi dal 2000 al 2010 in cui ha divorziato e vissuto in prima persona la bancarotta economica. Un solo film ufficialmente distribuito in due decadi (il problematico Accidental Love troverà distribuzione senza la sua firma nel 2015 dopo essere stato prodotto nel lontano 2008), autolesionista e fuori dagli schemi già a partire dal titolo: I Heart Huckabees - Le strane coincidenze della vita (2004), passato alla Storia più per la litigata furibonda sul set tra il regista e Lily Tomlin che non per le sue bizzarre qualità cinematografiche (scena cult: Jason Schwartzman amoreggia con Isabelle Huppert immergendole la faccia in una pozzanghera prendendo in giro la masochista prova arthouse di lei ne La Pianista di Michael Haneke del 2001). Quando tutti si erano ormai dimenticati di David O. Russell ecco la tripletta delle meraviglie dal punto di vista Oscar (25 nomination totali per 3 statuette vinte), commerciale (più di 600 milioni di dollari di incasso wordwide per il trittico) e di straordinario appeal critico: The Fighter (2010), Il Lato Positivo (2012), American Hustle (2013).

Accade che Russell riscopre il successo, incontra la sua musa Jennifer Lawrence, crea la coppia delle meraviglie Lawrence-Cooper (utilizzati anche dalla Susanne Bier di Una Folle Passione) e diventa come mai nella sua carriera un regista "hot" in grado di trasformare in oro ogni cosa toccata dalla sua cinepresa. Ecco perché Joy sembrava una strada in discesa per lui e la sua divina protagonista.
Ma allora... cosa è andato storto?

Half-Fiction

Jennifer Lawrence viene letteralmente travolta e seppellita sotto lo screen time di questi bravissimi attori e sgargianti personaggi

La Joy Mangano del film è un personaggio circondato da un parossismo collettivo nocivo alla sua affermazione cinematografica. Lei è sobria, gli altri no. Lei non urla, gli altri sì. Troppo poco "bigger than life" la nostra eroina. Questo produce un film che, anche attraverso il casting, enfatizza troppo i ruoli secondari ignorando volutamente la protagonista principale del racconto. Russell ha voluto fare qualcosa di difficilissimo: un coloratissimo film corale per raccontare una grande impresa individuale. Poteva essere affascinante l'idea che questo grande underdog nordamericano al secolo Joy Mangano fosse più frutto dell'altruismo che non dell'invidualismo... ma alla fine la natura stessa della fabula (Joy da casalinga disperata e divorziata diventa imprenditrice miliardaria) si è ritorta contro il suo simpatico autore destrutturalista per non dire sabotatore. Sappiamo che il regista avvisò immediatamente la vera Mangano circa la sua intenzione di non realizzare un biopic ma anzi di rileggere le sue avventure in chiave "half-fiction" rispetto alla realtà originaria. Con American Hustle questo procedimento vagamente ispirato alla realtà aveva funzionato alla grande. Ma quello era un film collettivo materializzatosi davanti ai nostri occhi dal punto di vista del truffatore Irving Rosenfeld. Qui abbiamo una storia di rivalsa femminile da cui è molto più difficile aspettarti un'anarchia sexy attorno al portatore del racconto. Joy non è una "grifter". Ci fidiamo ciecamente della sua versione dei fatti e francamente... vogliamo vederla in azione. Se il film che i produttori si aspettavano era Erin Brockovich (nome e cognome ovvero precisione cronachistica)... Russell consegna invece loro una commedia con famiglia disfunzionale caciarona dove il casting potente di contorno affossa una leader più legata a un'emozione senza cognome (Joy come la protagonista emozionale di Inside Out) che non a un essere umano realmente vissuto.

Un coro troppo prepotente

Joy è una donna sull'orlo di una crisi di nervi del 1989 (la cornice storica è molto poco delineata ma non riesce mai a diventare quell'epoca di parrucconi sgargianti che furono i '70 di American Hustle) con i suoi due figli, una madre sempre a letto fissata con una soap opera assai invadente dentro lo stesso film (si intitola The Joyful Storm e richiama alla mente la simile, ma molto più discreta, Invitation to Love dentro i primi sette episodi della stagione iniziale di Twin Peaks di Lynch), un ex marito cantante venezuelano (Edgar Ramirez, meglio qui che come Bodhi nel remake di Point Break) ospite nel seminterrato (non andò proprio così nella realtà dei fatti), un padre (Robert De Niro) cacciato di casa dalla nuova moglie costretto a dividere il seminterrato con l'ex marito di Joy, una nonna (Diane Ladd) acriticamente affettuosa e una sorellastra piuttosto odiosa (Elizabeth Röhm). Mentre Soderbergh può dedicarsi alla sua Erin Brockovich con la cura di un regista che sa costruire e vuole costruire un film attorno al binomio perfetto personaggio-star, Russell circonda la sua un tempo molto coccolata Jennifer Lawrence di attori-alligatori pronti a mangiarsela in un boccone. Parliamo di gente del calibro di De Niro, Virginia Madsen (la mamma rimbambita), Ramirez (molto dolce qui), Isabella Rossellini (la nuova donna del papà), Dasha Polanco (la migliore amica di Joy), LaddRöhm, Jimmy Jean-Louis (uno strano idraulico di nome Toussaint) per non parlare dei fantastici interpreti dell'onnipresente serial The Joyful Storm ovvero i veri divi soap Susan Lucci, Laura Wright, Maurice Bernand & Co.

Morale della favola: Jennifer Lawrence viene letteralmente travolta e seppellita sotto lo screen time di questi bravissimi attori e sgargianti personaggi.
Poteva essere salvata ed amata da un principe azzurro fissato con David O. Selznick.

E invece...

No Love Story

Quando entra in scena Bradley Cooper nei panni del produttore del canale di televendite QVC Neil Walker (ispirato al fondatore della tv Joseph Segel)... poteva partire un nuovo film in grado di salvare Joy da tutti quegli sgargianti non protagonisti. Poteva e doveva nascere una forte storia d'amore che introducesse la Mangano in un nuovo reame (il mondo delle televendite televisive) fatto di regole e stanze che poi lei avrebbe abitato con la sua grazia, forza di volontà e intelligenza. Impossibile non desiderare che la Joy della Lawrence abbia una storia d'amore con il Walker di Cooper. Un po' perché li abbiamo già visti innamorati nel bellissimo Il Lato Positivo e nel meno fortunato Una Grande Passione. Un po' perché questi due interpreti hanno realmente la capacità di creare coppie esplosive sul grande schermo di grande bellezza e simpatia. Invece... niente. Russell per la seconda volta pare andare contro la natura stessa del suo film creando una sintonia professionale tra Cooper e Lawrence incapace di trasformarsi in qualcosa di più. Errore madornale.

Conclusioni

Joy doveva essere come Steve Jobs e The Hateful Eight un frontrunner agli Oscar 2016. Invece, con la sua sola misera nomination affidata più per dovere che per piacere alla divina Lawrence (4 candidature tra cui 1 vittoria per lei dal 2011), il film è stato ignorato dall'Academy anche di più rispetto alla pellicola di Boyle sul cofondatore Apple (2 nomination) e Tarantino (3 nomination). E questo perché? Perché Russell ha rischiato troppo cercando di correggere la formula se non del biopic classico quantomeno del film con eroina femminile che rivoluziona la sua vita e quella degli altri (Erin Brokovich, The Blind Side) inserendo attorno alla sua star un cast troppo invadente, non prestando troppa attenzione al suo dolore (troppa poca Tristezza per la nostra Joy) e negandole una magica ed esaltante storia d'amore. Un gran peccato.

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