Bad Movie - Arrival, di Denis Villeneuve
Il Bad Movie della settimana è Arrival di Denis Villeneuve, la fantascienza adulta realizzata dal regista appena prima di arrivare sul set di Blade Runner 2049
La prima parte è bellissima. L'arrivo di 12 astronavi su scala planetaria (in Europa nel Devon ovvero Inghilterra), il brutto tempo, le luci di Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo (1977) a rappresentare l'esercito che ti atterra in giardino (momento bello per cinefili), queste uova marce in verticale a rappresentare invece il fatto che Loro sono subito da noi prima dello stupore (sospesi, però, leggermente da terra), l'arruolamento degli scienziati (la linguista e il fisico si punzecchiano subito in elicottero; ricorda l'arrivo a Jurassic Park), il gemito e l'ansimo di Louise Banks (Amy Adams) il cui punto di vista ci guiderà dentro film. È lei la linguista scorbutica e single così autistica da non accorgersi che quel giorno all'Università nessuno si fila più del solito la sua lezione (bello humour) perché sono arrivati gli Alieni. Louise viene convocata per tradurli.
È molto interessante la marcia verso gli Alieni. Tutto cambia, il paradosso di una gravità capovolta non è poi nulla di grave (né per i personaggi né per noi spettatori) mentre lo schermo bianco di un'astronave che sembra una sala cinematografica dove avrebbero proiettato film d'essai come La Donna Che Canta (2010) di Denis Villeneuve restituisce bene l'attesa spasmodica, ma sofisticata, dello svelamento degli Alieni. La linguista Louise, il fisico Ian (Jeremy Renner) e noi spettatori siamo proprio uguali. Sostiamo tutti davanti a un rettangolone candido in attesa dello show. Quando arrivano gli Alieni (soprannominati Abbott e Costello in originale mentre in edizione italiana saranno Tom & Jerry) i suoni e le forme sono contemporaneamente così lontani & così vicini (piovre, elefanti, ragni, corni, tamburi e nitriti) da funzionare in una sci-fi moderna un po' come quei segni d'inchiostro spaziale che sembrano delle macchie di Rorschach a tema circolare. Louise si spoglia e tocca lo schermo sentendo subito com'è profondo il mare perché un tentacolone alieno si apre a stella marina (per appiccicarsi allo schermo cui è appiccicata Louise) entrando nella testa della linguista e conducendoci verso una seconda parte di film purtroppo abitata dall'opposto dei pregi.
Difetti
L'esplosione voluta dai militari guerrafondai è brutta. Non basta far vedere dei soldati in posa plastica sulle brandine mentre un agitatore politico si agita in tv, appunto, ricordando quanto siamo femminucce a voler parlare con gli Alieni, piuttosto che lanciare loro addosso un bel po' di missili. Non bastano quelle tre inquadrature per risolvere cinematograficamente un sabotaggio alla missione diplomatica semplicemente assurdo al montaggio finale: come hanno fatto i militari a disporre tutte quelle bombe lì? Erano tutti d'accordo nel campo base in Montana in modo tale da eludere qualsiasi sistema di sicurezza e controllo oppure erano solo poche mele marce? Non puoi realizzare una sci-fi intellettuale e realistica per poi offrirmi un colpo di scena così grossolano e stupido da trovarlo in Independence Day o forse nemmeno lì. Poi il film perde anche di equilibrio e diventa nolaniano nel fastidioso montaggio iperveloce dove i personaggi capiscono tutto mentre noi niente di niente, parlano a 300 km orari di cosettine difficili da capire anche se le sillabassero e i realizzatori ci obbligano a pensare sia al privato che al pubblico quando in realtà ci sarebbe bastato continuare a vivere solo e soprattutto l'interiorità di Louise. Troppo importante per noi spettatori la parte privata dove capiamo che un flashback era in realtà un flashforward (bel trucco sul linguaggio cinematografico) e dove arriviamo a percepire che Louise e Ian si sono separati nel futuro a proposito della scelta di lei di mettere al mondo la figlia ben sapendo che sarebbe morta di cancro (Ian pianta in asso Louise una volta saputa la cosa; non è una scelta eccessivamente punitiva nei confronti del povero fisico?). È così interessante decodificare quei momenti di paradosso nella mente di Louise (sei tu regista che mi hai voluto far aderire a lei fin dal primo minuto) che è impossibile capire cosa cavolo succede circa l'obiettivo degli Alieni (offrire un'arma? Uno strumento? Il loro vocabolario è uno strumento e perché lo è?) soprattutto in relazione al fatto che loro (gli Alieni) sanno già che torneranno dopo 3000 anni per chiedere a noi un aiuto. È tutto molto confuso e presentato velocemente con gli archi di Jóhann Jóhannsson (assai ripetitivi), il montaggio di Joe Walker e la regia di Villeneuve tutti tesi invece a rendere cinematograficamente intellegibile ed emozionante il finale sull'inizio, da parte di Louise, di una vita futura che lei ha già sostanzialmente già vissuto.
Troppa carne al fuoco, caro Villeneuve. Chi troppo vuole, nulla stringe. Lo stesso difetto di un altro bel film di fantascienza che però sbaglia nell'essere astruso e onnipotente come Interstellar di Christopher Nolan.
Conclusioni
Dopo le riprese di Arrival, che ha più di qualche punto di contatto con i nostri sci-fi L'Arrivo Di Wang dei Manetti Bros (una traduttrice dal cinese viene convocata dai servizi segreti italiani per tradurre l'interrogatorio di un alieno atterrato a Roma) e Afterville di Guaglione e Resinaro (la forma delle astronavi), sappiamo che Villeneuve è direttamente atterrato sul set di Blade Runner 2049, altra fantascienza. Ma speriamo che in quel caso prevalga un plot poliziesco meno, come dire, ambizioso e onnicomprensivo per non compromettere, o disperdere, la classe e l'energia di un grande regista come Denis Villeneuve, persosi nella seconda parte di Arrival quando avrebbe dovuto scegliere tra il tutto e il qualcosa e soprattutto tra il rapporto tra noi e Louise (più importante) e quello tra gli Alieni e il Mondo (nel film insignificante).