Bad Movie - Alien: Covenant, di Ridley Scott
Il Bad Movie è Alien: Covenant, ulteriore capitolo del franchise Alien. È un sequel del prequel Prometheus, ambientato 30 anni dopo quel film molto discusso del 2012
Ozymandias di Byron... o no?
Incontrai un viandante di una terra dell'antichità, che diceva: “Due enormi gambe di pietra stroncate
stanno imponenti nel deserto… nella sabbia, non lungi di là, mezzo viso sprofondato e sfranto, e la sua fronte, e le rugose labbra, e il sogghigno di fredda autorità, tramandano che lo scultore di ben conoscere quelle passioni rivelava, che ancor sopravvivono, stampate senza vita su queste pietre, alla mano che le plasmava, e al sentimento che le alimentava. E sul piedistallo, queste parole cesellate: "Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re: ammirate, voi potenti, la mia opera e disperate!". Null'altro rimane. Intorno alle rovine di quel rudere colossale, spoglie e sterminate,
le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine". (traduzione Antonio Taglialatela)
David di Michelangelo... o di Scott?
Quella sopra è la poesia preferita dell'androide David (Michael Fassbender) anche se lui è convinto l'abbia scritta Byron quando in realtà l'autore è Percy Shelley (lo ricorderà in Alien: Covenant a David un androide suo doppio di nome Walter, più controllato e censurato di lui). Shelley era un poeta inglese amico di Byron e marito della donna che avrebbe scritto Frankenstein. Resti di statue imponenti, l'alterigia del potente, rovine di un passato molto importante ignorate anni dopo anche dal vento. La sabbia che ricopre ciò che pareva eterno. Le foglie della natura che domineranno i resti del potere (i poeti romantici ne erano ossessionati). E poi il rapporto tra creatore e creatura, la crudeltà del dominio, l'inevitabile voglia dello schiavo di sovvertire il rapporto di sudditanza con il padrone. Infine... l'arte. Un'espressione di sé che esalta e libera la nostra creatività e diffonde come un virus batteriologico la nostra sensibilità proponendo discorsi, iniziando rivoluzioni e provocando scelte nei secoli che verranno. L'arte si può manifestare con un flauto, un pianoforte Steinway (da cui suonare Wagner da L'Anello del Nibelungo), un pennello (Natività di Piero della Francesca) o scalpello (David di Michelangelo, da cui qualcuno sceglierà un nome; un sedia trono di Carlo Bugatti; un tavolino di Eileen Gray). Di tutto ciò parla Alien: Covenant, sequel 30 anni dopo ("34 anni dopo" è la didascalia che James Gunn colloca tra prologo in Missouri e inizio della sua seconda avventura spaziale di Peter Quill & Co.) di un certo Prometheus (2012), nuovo inizio di saga Alien in un'epoca in cui la drammaturgia può essere slabbrata all'infinito sia per ragioni economiche che di zeitgeist (oggi lo spettatore accetta e vuole il feuilleton). Ridley Scott lo sa. E si adegua con l'impassibilità che lo contraddistingue.
Il cielo in una stanza
L'incipit è strepitoso. Due uomini in una stanza dove uno sembra il fratello maggiore dell'altro. In realtà sono un miliardario in cerca di immortalità (Weyland) e un androide in cerca di amore e risposte (David). Scott omaggia il suo padre e maestro Stanley Kubrick con un decor, una durezza dialettica, una crudele bonomia nei rapporti e una proposta di cinema alto nei confronti dello spettatore (il fotogramma e le parole sono piene di Wagner, Piero della Francesca, Michelangelo, Bugatti, Gray). Weyland cerca di cancellare la stratificazione delle nostre vite nel tempo e nello spazio attraverso la sconfitta della morte (era il suo obiettivo anche in Prometheus), mentre David, irritandolo assai, chiede al suo creatore chi siano i creatori di Weyland. Aiaiai. Questa è lesa maestà. Il dialogo è bellissimo perché pieno di classe adulta in grado di intrattenere (un over 14 o uno spettatore giovane leggermente più ambizioso, e curioso, della media) e contemporaneamente dirci qualcosa di molto serio circa due personaggi chiave per l'intera saga:
David: "Lo sono?"; Weyland: "Cosa? Perfetto?"; David: "No... tuo figlio".
Dov'è che nasce l'odio e la ribellione? Forse nella lotta tra una ragione di vivere legata solo alla ricerca della perfezione e superamento dei nostri standard e, soprattutto, limiti e invece un'esistenza giustificata... solo dall'amore?
C'è già un'incrinatura nell'incipit laddove il creatore si rende conto che la creatura... è un po' troppo ambiziosa, impicciona, invadente... sensibile. Infatti la chiusa è emblematica con Weyland che richiama all'ordine gerarchico l'androide che all'inizio della scena veniva trattato quasi come un suo pari.
"Versami del tè" gli ordinerà trattandolo da maggiordomo.
Forse l'ingegnere umano di quell'androide ha esagerato nel campo del libero arbitrio.
David verserà il tè come un maggiordomo. Ma non dimenticherà l'alterigia di Ozymandias.
Una mesta necropoli
Dopo questo luminoso incipit, sublime perché ricco di calma potente, arte visiva, sceneggiatura brillante e recitazione sopraffina tra Guy Pearce (Weyland) e Michael Fassbender (David), Ridley Scott sceglie deliberatamente di cambiare completamente registro e genere cinematografico passando dal Kubrick di 2001: Odissea Nello Spazio (1968)... al Ridley Scott di Alien (1979). Tutto diventa più brutale, azione-reazione, nero ("una mesta necropoli"), horror, medievale (c'è gente che gira a piedi nudi e con un saio da monaco) e, perdonatici, infantile (alcuni colpi di scena sono troppo prevedibili per uno spettatore minimamente attivo). C'è una nuova ciurma in città a bordo di un'astronave in cerca del pianeta Origae-6 da colonizzare con 2000 embrioni. Purtroppo per loro finiranno, come spesso capita nella saga Alien, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato ritrovando l'androide David di quell'incipit con i capelli più lunghi... e un atteggiamento piuttosto particolare. Così Scott crea un centro di Alien: Covenant ricco di bellissima ma già vista azione (virus, contaminazione, mostro, lotta) in cui il nuovo slasher amministra la vita e la morte di una nuova dozzina di piccoli astronauti (tante coppie tra cui una gay continuando la bella marcia progressista dentro il cinema pop di Independence Day: Resurgence, I Magnifici Sette e La Bella E La Bestia) di cui, purtroppo, è quasi impossibile ricordare e distinguere le facce vista la debolezza del cast, rispetto a Prometheus, scelto da Scott. Non ci piace per niente la lagnosa Katherine Waterstone (non regge il confronto con Theron, Dickie e Rapace di Prometheus... figurarsi con la Weaver dei 4 Alien precedenti) mentre gli altri si somigliano tutti un po' troppo (molto meglio la ciurma dell'interessante Life di Daniel Espinosa) fino a un finale assassino di un alien che uccide gente che fa l'amore in modo ridicolo dentro una doccia troppo patinata.
Conclusioni
Il baronetto Ridley Scott è come un Ingegnere di Prometheus. Forse è un po' troppo algido con noi esseri umani spettatori come quei nostri Padri Crudeli (tranne uno: quello che si suicidò bevendo la "cicuta" perché ci voleva bene nel prologo geniale di Prometheus) introdotti nella saga al quinto film ma suggeriti da quel cadavere fossilizzato trovato da Dallas & Co. del Nostromo nell'Alien del 1979. Ma noi lo conosciamo e sappiamo che il baronetto è un ottantenne in gambissima, duro come il marmo e con la personalità artistico-imprenditoriale tale da non farsi certo intimidire dai lovers o haters di oggi. Scott sa che siamo in un'epoca di franchise per cui se ne sbatte se lo spettatore umano si ribella e si arrabbia perché voleva già in Alien: Covenant tutte le risposte e forse meno protomorfi e più xenomorfi classici. Ma con Alien: Covenant, lo sapevamo benissimo, siamo solo, ancora, a metà del viaggio e la fine, per noi, sarà Ash che non a caso vuol dire cenere.
Ash interpretato da Ian Holm.
Ash... figlio di David quando l'androide che serviva il tè diventerà un creatore come il padre cattivo Weyland.