Bad Memories - The Lost Vikings

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La nuova rubrica di retrogaming si sofferma su The Lost Vikings, un semisconosciuto titolo di Blizzard

Riparte la rubrica dedicata al gaming analogico e alla degustazione olfattiva di plastica e cartone, dove i DLC sono solo un lontano ricordo e le patch consistono nel soffiare copiosamente sotto la cartuccia.
Niente connessione internet, nessuna installazione. Solo una console, un gioco e un controller...

Il titolo che riscopriamo oggi è The Lost Vikings, un curioso pezzo di storia sviluppato da Silicon & Synapse e pubblicato da Interplay nel 1992 per SNES, MS-DOS, Amiga e Sega Mega Drive.
Il nome della casa software nasconde le nobili origini del gioco: sotto le mentite spoglie di silicio e sinapsi si cela infatti la celeberrima Blizzard, che vent'anni fa impazzava su console con titoli dall' evidente commistione fantasy/sci fi, riferimento diretto alla cultura Heavy Metal degli anni ’80.
 

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In The Lost Vikings prendiamo il comando di tre simpatici barbari del nord, che (in una trama che ricorda un po’ il film Outlander – L’ultimo vichingo) si troveranno loro malgrado alle prese con alieni, vortici temporali e portali dimensionali.
Ogni membro del gruppo possiede un certo numero di abilità uniche, fondamentali per proseguire lungo i livelli a scorrimento:
Erik può compiere lunghi balzi, correre e spintonare mostri e barriere, mentre grasso Olaf può usare il suo scudo per riparare gli amici, o trasformarsi in una piattaforma per aiutare il capoclan a saltare su piattaforme altrimenti non raggiungibili.
Infine, il guerriero Baleog può attaccare i nemici a distanza lunga e ravvicinata con arco e spada.
 

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L’interazione tra le capacità dei vichinghi si rivelerà fondamentale per il proseguimento della storia. Il gameplay si configura come un bizzarro ibrido puzzle/platform, con colorati livelli 2D da completare muovendo un personaggio alla volta, con combinazioni sempre diverse per far fronte agli ostacoli del quadro di gioco.
In certe sezioni ci dovrà mandare avanti Olaf con lo scudo spianato volto a bloccare i raggi laser della creatura aliena di turno. Baleog seguirà facendo piazza pulita con il suo arco e permettendo a Erik di spiccare un lungo salto e premere il bottone per la sezione successiva.
Su console ci vuole un po’ di tempo per abituarsi alla gestione del trio. Senza mouse e cursore, il controllo dei movimenti dei vichinghi sarà relegato a un sistema un pò macchinoso, che obbligherà il giocatore a fare avanti e indietro tra un quadro e l'altro.
Questo difetto strutturale si avverte particolarmente nelle sezioni in cui è richiesta una certa sincronizzazione tra le azioni dei personaggi, dove le abilità devono essere usate quasi simultaneamente e con prontezza. La morte di un barbaro in un qualsiasi momento significherà infatti il restart dell’intero livello.
Difetto risolto in parte dalla modalità multi, che permette a due player di alternarsi nel controllo simultaneo del terzetto (un po’ alla Secret of Mana, per intenderci).
 

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Escluse queste piccole problematiche, fisiologiche in un gioco embrionale e sperimentale come questo, il titolo risulta appetibile anche per i palati moderni.
Le musiche e l’atmosfera richiamano l’iconografia dei cartoni e delle riviste di trent’anni fa, e la curva d’apprendimento non troppo elevata permette di prendere subito il controller in mano e giocare senza frustranti tutorial.
La reperibilità elevata e l’uscita multipiattaforma consentirà a tutti i giocatori con console della “seconda generazione” di provarlo senza fatica.

Si consiglia di abbassare la soglia critica al minimo e farsi guidare dal senso di scoperta che potrebbe avere un archeologo. Erik, Olaf e Baleog vanno trattati con il rispetto che meritano. La casa madre non li ha mai dimenticati,  e ha ridato loro vita in World of Warcraft
 

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Cliccate qui per visionare i nostri precedenti contributi alla rubrica...

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