Bad Memories - Age of Empires II

Bad Memories: come nacque l’amore per Giovanna D’Arco e l’odio per Cortés giocando a Age of Empires II

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Lupi, reliquie, centri città in grado di scagliare automaticamente frecce sugli assalitori. Tutto era al suo posto, facilmente identificabile e sostanzialmente simile rispetto al passato, eppure lo straniamento iniziale era prorompente, disorientante, emozionante. In sottofondo ancora tracce MIDI, con il tipico (e ormai perduto) suono solo vagamente realistico, ad accompagnare i primi passi, le impacciate raccolte di risorse con cui avviare la costruzione di nuovi edifici dalle inesplorate potenzialità. La potente innovazione del gameplay era evidente non solo dallo scintillante aspetto grafico: le prime sconfitte subite e i timidi consigli del tutorial erano lì a suggerirci che qualcosa era inevitabilmente cambiato.

Age of Empires II fu molto più che un semplice “more of the same” che sfruttava la maggior potenza delle schede grafiche per introdurci a un mondo di gioco quanto mai dettagliato e sconfinato. Era un fedele e coerente adattamento delle meccaniche del brand a un tempo storico totalmente differente rispetto a quello che fece la fortuna del predecessore. Dopo il mondo antico, dominato da egiziani, greci e romani, fu il turno dei re del Medioevo, dell’epoca di feudi e feudatari. Dopo il brivido della scoperta del fuoco e l’instaurazione dei primi domini, toccava lasciarsi ammaliare dal fascino del potere e dal desiderio di estendere la propria egemonia su vasti territori.

[caption id="attachment_142354" align="aligncenter" width="508"]Age of Empires Age of Kings screenshot 1 Ammettiamolo: il tutorial vissuto fianco a fianco con William Wallace era noioso e dai ritmi soporiferi.[/caption]

Castelli, torri, mura: bastarono queste tre nuove costruzioni per rivoluzionare completamente il gameplay. Le guerre non si combattevano più su pianeggianti valli, né il centro città poteva essere unicamente difeso da sparuti avamposti e da un efficace sparpagliamento delle truppe di terra. La costruzione di una fortezza, lo strategico posizionamento delle vedette e il dispiegamento di cavalieri che potessero fronteggiare repentinamente i trabucchi nemici, divennero priorità assolute. Le battaglie campali fecero spazio a logoranti assedi, spesso decisi, più che da scontri frontali, da un tenace accerchiamento che impedisse il regolare rifornimento di risorse al nemico.

Le tattiche militari, in breve, andavano totalmente riviste, aggiornate al ritmo lievemente più frenetico dovuto all’introduzione di molte unità a cavallo e a cittadini che, progressivamente potenziati, diventavano schegge nel reperimento e raccolta di materie prime. La possibilità di muovere l’esercito in formazione, inoltre, rivoluzionava il dislocamento delle truppe sul campo di battaglia. Il ventaglio strategico si ampliava a dismisura, permettendo alle machiavelliche menti dei videogiocatori di imbastire imboscate, ritirate strategiche, tattiche di guerriglia con estrema precisione e cinica efficacia.

Age of Empires era diventato grande anche nelle storie che raccontava. Tramite narratori fittizi, si seguivano gesta e imprese di grandi eroi, da William Wallace a Saladino, appassionando con estrema efficacia il pubblico di riferimento che, finalmente, aveva figure di un certo spessore biografico a cui affezionarsi. Guidandoli direttamente in battaglia, i paladini diventano avatar da difendere a tutti i costi, ma le cui statistiche superiori (e la capacità di guarigione automatica) potevano ribaltare completamente le sorti di uno scontro. Si finiva così per odiare gli arcieri inglesi che attentavano dalla distanza alla vita della Pulzella d’Orléans e si provava empatia per gli indifesi (ma non troppo) aztechi, minacciati dallo spregiudicato Cortés, forte dei cavalli e della polvere da sparo.

Sì, perché Conquerors, espansione pubblicata nel 2000, introduceva nuove unità, tecnologie, popoli e, appunto, campagne incentrate nel periodo immediatamente successivo alla scoperta dell’America. Le foreste facevano spazio alla giungla, i tacchini prendevano il posto delle pecore e nuove tracce, sempre in MIDI, sostituivano le vecchie, ma la magia restava inalterata, come il desiderio di schiacciare l’avversario costringendolo alla resa o eliminandone ogni singola unità.

Se il prequel è invecchiato bene, Age of Empires II ha saputo farlo persino meglio. I remake che ha subito nel tempo sono lì a testimoniarlo: Starcraft e Warcraft restano, per molti, insuperabili, eppure, chissà perché, quando si finisce per fare discorsi tra videogiocatori nostalgici, la creatura della compianta Ensemble Studios è sempre tra i titoli più citati. Forse perché grazie a lui, caso più unico che raro, alle superiori qualche sufficienza alle interrogazioni di storia siamo riusciti a strapparla.

[caption id="attachment_142355" align="aligncenter" width="508"]Age of Empires Age of Kings screenshot 2 Controllare e vincere con gli Aztechi, resta tra le cose più frustranti della nostra vita videoludica: nonostante i nostri buoni risultati, la campagna si concludeva comunque con un macabro presagio che sarebbe diventato tristemente realtà.[/caption]

Come è stato (ri)giocato: Age of Empires II: Age of Kings e relativa espansione può tranquillamente essere installato nella maggior parte dei PC odierni senza grossi problemi di compatibilità. Ne esiste una rarissima versione per PlayStation 2, ma più recentemente è stato ripubblicato su Steam in alta definizione.

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