Bad Boys for Life non serviva, ma poteva andare peggio
Nell’ormai infinita lista di sequel tardivi di cui non si sentiva il bisogno, Bad Boys for Life spicca perché non è male
Bad Boys for Life è disponibile su Prime Video dal 4 gennaio
LEGGI – Bad Boys for Life, la recensione
Ma non addentriamoci troppo in questioni filosofiche e nell’eterno dilemma di chi deve bilanciare il fuoco dell’arte con la voglia di guadagnare veramente un sacco di denaro. Bad Boys for Life esiste perché sia Will Smith sia Martin Lawrence avevano voglia di tornare a fare i cattivi ragazzi per un’ultima volta, come recita una delle battute più ripetute nel corso del film. Ma esiste anche con la consapevolezza che i due protagonisti sono invecchiati, che sono passati vent’anni da Bad Boys II e che non avrebbe senso ripetere per la terza volta la struttura dei primi due capitoli. Ed esiste anche con un compito preciso che va oltre l’omaggio ai due protagonisti: quello di rivitalizzare il franchise, e preparare la strada per eventuali sequel (e magari chissà, una serie TV spin-off, un prequel con il figlio di Will Smith, degli NFT, ormai vale tutto).
E quindi Joe Carnahan, che ha scritto il film insieme a Peter Craig e che all’inizio avrebbe anche dovuto dirigerlo, ha deciso di fare La Mossa. La Mossa è una scelta rischiosissima (e sicuramente non nata spontaneamente da una sua epifania ma pilotata dalle richieste produttive), quella di allargare il cast e di trasformare Bad Boys da buddy cop in film corale. A differenza dei due precedenti (II in particolare), in Bad Boys for Life la trama non è la scusa per lasciare spazio a Smith e Lawrence di fare quello che vogliono, ma è una storia molto personale ma anche, per una volta, apparentemente più grossa dei due protagonisti. Che quindi hanno bisogno di altra gente con cui lavorare, con il rischio di stravolgere le dinamiche perfette dei primi due capitoli.
La Mossa è rischiosa, quindi, e consiste nel creare una squadra speciale composta da gente giovane e attraente (Vanessa Hudgens, Alexander Ludwig, Charles Melton) guidata da una ex fiamma di Will Smith (Paola Núñez), e costringere Lowrey e Burnett a collaborare con loro, più o meno controvoglia, nella ricerca del killer che ha provato a fare fuori proprio Lowrey e che sta ammazzando in serie una lista di figure legate a un vecchio caso che coinvolge un trafficante di droga dal gradevole nome di “Benito”. Il rischio è enorme perché la scienza ci ha dimostrato che una delle cose che funzionano meno nei Sequel Tardivi è proprio il tentativo di ficcarci dentro a forza la quota millennial – pensate al povero Shia LaBeouf in Indiana Jones IV, un film della cui esistenza molta gente dubita ancora oggi.
In Bad Boys for Life, invece, l’inserto funziona sorprendentemente bene, un po’ perché la sceneggiatura riconosce il primato di Smith e Lawrence e lascia saggiamente il resto della squadra un po’ sullo sfondo (scopriamo qualcosa solo sul personaggio di Dorn, un hacker palestratissimo), un po’ perché Rita/Paola Núñez, la capa del gruppo e come già detto ex amante di Lowrey, ha abbastanza carisma da tenere testa ai due veterani, e riesce quindi a diventare qualcosa di più di una funzione di trama.
Dal canto loro, le star della festa oscillano tra momenti di ispirazione incontenibile e altri dove (soprattutto Lawrence) portano a casa la scena un po’ con il pilota automatico, facendo una faccetta buffa ed esclamando “oh shit!”. Restano due talenti, per quanto un po’ appannati dagli anni e dalle scelte di carriera (Will Smith ha virato sul dramma ed è diventato uno dei papà d’America, Martin Lawrence è sostanzialmente sparito), e vestono i loro personaggi come se il tempo non fosse passato.
Il problema di Bad Boys for Life però è che il tempo è passato, e la sceneggiatura ci tiene a ricordarcelo fin troppo spesso. Le gag sull’età, sulla pensione e sulla decadenza fisica abbondano, e in un paio di casi (tra cui il cold open) vengono risolte nello stesso identico modo, a dimostrazione che esiste un numero limitato di variazioni sul tema “sono troppo vecchio per queste stronzate”. Lo scontro generazionale tra i due protagonisti e la squadra AMMO (che sta per Advanced Miami Metro Operations ed è un acronimo stupidissimo e quindi perfetto), poi, si limita alla superficie, a un paio di schermaglie tra Lowrey e Rita, ed è indebolito in partenza dal fatto che i due bad boys originali si comportano ancora come se avessero vent’anni.
Dicevamo in apertura che la trama ha più senso e peso di quanto ne avesse nei due precedenti, ma è anche vero che né la villain di turno interpretata da Kate del Castillo, né il suo, ehm, braccio destro (Jacob Scipio) fanno granché per farsi ricordare; hanno, è vero, un’importanza notevole nel ridefinire uno dei due protagonisti, ma a parte questo sono una generica coppia di “cattivi del cartello” che sembra generata da un’AI non particolarmente brillante.
Si potrebbe obiettare che nessuno guarda Bad Boys per la trama o per i cattivi, ma per l’azione e le battute. Detto che le seconde funzionano, la prima è scolastica e appena sufficiente, e comunque molto inferiore agli originali per un semplice motivo: non c’è dietro Michael Bay, e manca quindi la sua voglia di osare e di fare cose senza criterio (in compenso è pieno di cieli arancioni e di colori artificialmente saturi, immaginiamo in omaggio proprio a Bay e alla scuola Bruckheimer). Sì, ci sono inseguimenti e sparatorie, ma ci sono pochi guizzi, poche cose che non si siano già viste altrove e fatte meglio; in questo, Bad Boys for Life non aveva alcuna speranza di superare gli originali già in partenza, e non ce la sentiamo di farne una colpa ai poveri Adil & Bilal. Che tutto sommato hanno fatto il massimo con il materiale che avevano a disposizione – un materiale rischioso, con tanta storia alle spalle e con quell’aria di bollette arretrate che accompagna sempre pregiudizialmente progetti di questo tipo. Non ce n’era alcun bisogno, come capita quasi sempre per i Sequel Tardivi, ma tutto sommato poteva andare molto peggio.