Back Button Attachment, perché una periferica del genere solo adesso?

Back Button Attachment è più utile per studiare le strategie future di Sony, che non per diventare milionari campioni di eSport.

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Resta il mistero di come si possa essere passati dall’accattivante Back Button Attachment, nome particolarmente musicale tra l’altro, allo sgraziatissimo Attacco Posteriore Tasti. Per il resto, il nuovo plug-in per il Dualshock di PlayStation 4 non ha praticamente più segreti dopo diversi giorni di test e numerose ore di utilizzo.

Anzi. Ripensandoci resta una domanda, un’altra, a cui non possiamo che rispondere formulando ipotesi che, al contempo, hanno il grande pregio di spiegare l’apparente titubanza di Sony nei confronti di una next-gen tanto ostentata dal diretto concorrente, da una Microsoft proiettata nel futuro tanto nei giochi, Halo Infinite, Flight Simulation e molti altri, quanto nelle sbandierate specifiche tecniche di una macchina che vuole puntare soprattutto sulla forza bruta.

Vale quindi la pena porsi il significativo interrogativo: perché solo adesso?

Il Back Button Attachment si affaccia sul mercato con un sensibile ritardo rispetto al ciclo vitale di PlayStation 4, destinato a concludersi entro al fine di quest’anno, Coronavirus e altri cataclismi permettendo. Perché rischiare che un prodotto del genere, già di per sé indirizzato ad una nicchia di utenti, venga ulteriormente ignorato soprattutto da chi ha già un occhio al futuro?

Il motivo è semplice e ha a che vedere con il business model che da sempre contraddistingue la politica aziendale di Sony. Il colosso nipponico, difatti, nasce come produttrice di elettronica di consumo e anche alle soglie del secondo decennio del duemila, si presenta al mercato indissolubilmente legata all’hardware.

Mentre Microsoft tenta di farsi sempre più servizio, trasformando progressivamente Xbox da console a marchio, PlayStation è tutt’ora incarnata nei chip, nello chassis, nelle periferiche. Non è un caso, del resto, che il design del Dualshock non abbia conosciuto chissà quale evoluzione nel corso del tempo, né lo è l’enorme reticenza delle alte sfere della multinazionale di mostrare l’aspetto esteriore di PlayStation 5, caratteristica che da sola influenzerà l’imprinting della potenziale utenza della console.

Per quanto GamePass, Steam e Stadia siano, con ogni probabilità, il futuro del nostro hobby preferito, Sony ha bisogno di vendere hardware, di riempire l’ufficio brevetti di nuovi documenti nella speranza che un domani, così come è stato per il blu-ray, la concorrenza volente o nolente dovrà comunque passare attraverso le sue casse.

Non è l’unico motivo per questo tempismo incomprensibile. Forte della sua posizione di predominio sul mercato, il colosso nipponico può tranquillamente dettare i suoi tempi, scegliendo se e quando sperimentare, anche solo per posizionarsi come preferisce in mercati ancora poco cavalcati.

È esattamente ciò che è accaduto con PlayStation VR, visore a suo modo entry level, che in punta di piedi, e con pochi investimenti da parte di Sony stessa, ha saputo ritagliarsi e creare uno zoccolo duro di fan che non vedono l’ora di mettere le mani su una versione più potente e raffinata, magari che possa vedere la luce proprio in combinazione con PlayStation 5.

Con il Back Button Attachment l’obiettivo è chiaro: gli eSport. Se Microsoft propone il suo Elite Controller ai suoi utenti più pretenziosi già da tempo, se aziende di settore propongono le loro versioni di pad ad altre prestazioni, ora che grazie alla diffusione di Twitch il multiplayer competitivo ha raggiunto spesse fasce di pubblico,  Sony ha ritenuto maturi i tempi per gettarsi in questo mercato con un prodotto sperimentale, che possa fungere da apripista, oltre che da strumento con cui sondare la risposta del pubblico.

Ci sarebbe un altro fattore da considerare, nonostante in questo caso si sfoci senza mezzi termini nel campo delle ipotesi attualmente senza alcuna conferma. Non è affatto detto che il Back Button Attachment sia destinato al pensionamento insieme a PlayStation 4.

L’attuale Dualshock potrebbe essere compatibile anche con la futura ammiraglia di Sony, esattamente come accadrà in casa Microsoft con tutte le periferiche che hanno preceduto Xbox Series X. Inoltre non è da escludere che anche per la next-gen il colosso nipponico non possa affidarsi ad un controller dal design praticamente identico, permettendoci così di utilizzare il plug-in anche in futuro.

Una cosa è certa: il Back Button Attachment, per merito del prezzo contenutissimo, è un interessante add-on. L’impossibilità di programmare combinazioni tasti, tuttavia, è un limite piuttosto influente, che certamente allontanerà i videogiocatori più smaliziati. Ad oggi, anche per questo motivo, sembra più un curioso esperimento, che un serio alleato per affrontare al meglio ogni partita online e non.

È indiscutibilmente utile e con un minimo di dimestichezza saprà comunque tornarvi utile in più di un’occasione, perché a volte un paio di tasti in più fanno davvero comodo, ma è innegabile che il Back Button Attachment sia più utile per studiare le strategie future di Sony, che non per diventare milionari campioni di eSport.

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