The Avengers: la storia come 10 anni fa Joss Whedon e la Marvel chiusero il cerchio di Buffy
Joss Whedon era amato ma rassegnato a progetti minuscoli autoprodotti, la Marvel invece doveva girare The Avengers, il suo film più grande
Certo non è che non si conoscessero Joss Whedon e i vertici dei Marvel Studios, era stato in contatto con loro per dirigere Iron Man, ma era una fase così preliminare che non era nemmeno stato ancora deciso che l’avrebbe interpretato Robert Downey Jr., ovvero la decisione più importante che i Marvel Studios abbiano mai preso, quella di prendere un attore che avrebbe portato la propria personalità e cambiato il personaggio invece che cercare il calco. Alla fine per quel film, come noto, fu scelto Jon Favreau e andò molto bene, invece per Whedon era soltanto l’ennesima delusione di una serie. Dopo essere stato per anni il re della serialità televisiva sembrava che il cinema non facesse per lui, specialmente quello di supereroi. Oltre a Iron Man doveva dirigere un film di Batman e non se ne fece nulla, avrebbe dovuto girare Wonder Woman e non se ne fece nulla.
Eppure tutta la nuova onda di supereroi al cinema era senza dubbio figlia di Whedon, cioè figlia di quel tono che lui aveva trovato in Buffy, quello che non ha niente a che vedere con il Superman di Donner (che pure è cruciale) o con il Batman di Tim Burton (che ha dimostrato come i film di supereroi siano materia per autori con una propria visione). È il post-camp, cioè la capacità di raccontare storie esagerate con personaggi esagerati e utilizzare anche materialmente tutine, facce di mostri e tutto un armamentario che altrove era sempre stato considerato camp se non proprio apertamente kitsch e ridicolo, e invece trovare un tono che lo rendesse accettabile. Che poi è il segreto numero 1 del cinema: scrivere personaggi molto credibili ai quali il pubblico tenga. Le serie che hanno imitato Buffy con teen-fantasy sia seri che spensierati non si contano, sia chi l’ha fatto bene che chi l’ha fatto male, e poi il cinema ha iniziato a capire che tutine di latex potevano avere un senso se dentro una storia molto seria.
Il Roger Corman della rete
Dopo Buffy ci sono state altre serie per Whedon ma mai con quel successo e alla fine, quando si sono sommati l’insuccesso di Serenity, le delusioni per i film che non gli sono stati affidati e invece un altro strano successo, quello di Dr. Horrible Singa-a-long blog, una webserie musical da lui creata nel 2008 durante lo sciopero degli sceneggiatori (e da lui prodotta e quindi anche monetizzata direttamente) con Neil Patrick Harris e Nathan Fillion, il futuro di Whedon sembrava la totale indipendenza. Era uno dei pochissimi autori pop con un grande seguito e fan accaniti, poteva autoprodursi a basso budget e continuare a navigare in quel mare post-camp (dr. Horrible ne è l’apoteosi, la storia di un villain che cerca di essere tale, vestito come fosse uscito da un fumetto anni ‘40, anche iscritto alla lega dei super cattivi, ma poi è troppo innamorato della ragazza dell’eroe).
Per usare le sue parole voleva diventare il “Roger Corman della rete”, aveva pure iniziato a lavorare con l’autore di fumetti Warren Ellis ad una webserie intitolata Wastelanders. Il modello di business funzionava, era libero, aveva i suoi fan e poi, chi lo sa, una volta creato un successo online avrebbe potuto portarlo, alle sue condizioni in tv o al cinema. Di certo sarebbe stato padrone e non più vittima degli studios. Era determinato. Troppe delusioni. C‘era solo una cosa che poteva distoglierlo dal suo proposito, sempre nelle sue parole, ma era praticamente impossibile, sarebbe servito cioè “un film molto grande da affidarmi in toto e che però abbia già una data di uscita fissata” perché ormai aveva capito che era facile che poi tutto saltasse. E chi mai a quel punto, dopo tutti quei rifiuti, dopo gli anni passati da Buffy gli avrebbe affidato qualcosa di così certo e grande.
“Ciao, sono Kevin Feige e vorrei parlarti del progetto Avengers”
Parallelamente alla carriera online di Whedon la Marvel aveva avuto la propria. Dr. Horrible esce nel 2008, lo stesso anno di Iron Man, ma nei 4 anni che sono seguiti il mondo Marvel aveva fatto uscire L’incredibile Hulk di Louis Leterrier con Edward Norton, Thor, Captain America: il primo vendicatore e un secondo Iron Man. Aveva insomma presentato i 4 vendicatori principali, condendo i film con anche Occhio Di Falco, Vedova Nera e ovviamente Nick Fury. Era andato tutto abbastanza bene tranne Hulk, quello proprio no, Edward Norton aveva preso il controllo, riscritto il copione e il film non solo si era ripagato a stento ma aveva incassato la metà di Iron Man, uscito prima nello stesso anno (e quindi capace di tirargli la volata). La prima cosa da fare era rimediare a questo problema, perché non si poteva non avere Hulk e al tempo stesso non poteva essere Edward Norton.
Non solo, a Whedon veniva chiesto anche di più di questo, perché ad oggi l’idea degli Avengers per come li conosciamo al cinema è scontata ma prima del film non lo era. Non c’era una forte base fumettistica, il gruppo si forma in maniere abbastanza sbrigativa e non ha quella che all’epoca sembrava indispensabile: una origin story. Anzi. I caratteri degli eroi sono così forti che non hanno davvero niente in comune e non avrebbe senso fare in modo che l’uno sia vassallo dell’altro. Bisognava creare una storia che fosse sensata e soprattutto creare una maniera perché il loro interagire fosse interessante e non solo un contrasto di ego. Qui già si comincia a capire come mai Feige avesse chiamato proprio Whedon. Il problema era infatti prima di tutto di scrittura.
Esisteva anche già una sceneggiatura, di Zak Penn che è un mestierante cui i Marvel Studios si rivolgono spesso (era l’autore della sceneggiatura di L’incredibile Hulk che Edward Norton aveva cestinato e riscritto). Penn non è un grandissimo sceneggiatore, ha diretto e scritto Incident At Loch Ness, un film da fanboy di Werner Herzog, in cui Herzog interpreta se stesso in una sorta di parodia delle sue avventure, e poi Penn è noto più che altro per aver guidato la vera spedizione che ha scoperto e dissotterrato le migliaia di cartucce invendute di videogiochi Atari che leggenda voleva si trovassero nel deserto (un vero caso di archeologia tecnologica che, se vi interessa, è andata bene: c’erano sul serio e ne ha tratto un documentario). Lui aveva scritto The Avengers ma non sapremo mai com’era la sua versione. Ad oggi risulta ancora accreditato come sceneggiatore del film ma a detta sua Whedon ha riscritto tutto.
Avengers a fumetti
C’era una cosa che aveva distinto i Marvel Studios e sembrava ancora fare la differenza con la prima era dei cinecomic (quella dell’Hulk di Ang Lee, dello Spider-man di Sam Raimi o degli X-Men di Bryan Singer), e cioè lavorare per creare una versione diversa dei personaggi e delle storie, come se i film fossero una collana a parte in cui sperimentare versioni alternative di ciò che conosciamo. È più difficile di quanto si creda perché bisogna innanzitutto decidere cosa sia intoccabile e cosa invece modificabile, e poi perché la versione nuova deve suonare coerente e ovviamente piacere. Gli Avengers dei fumetti, proprio il primo albo della collana datato 1963, erano eroi che combattevano la furia di Hulk per poi scoprire che Loki, fratellastro di Thor, l’aveva aizzato con un inganno e finire a combattere proprio Loki. Il concetto stesso di Avengers non è introdotto, gli eroi si trovano a combattere insieme quasi casualmente alla fine in una paginetta si dicono: “Beh potremmo rifarlo”: AVENGERS. Fine.
Whedon decide di tenere Loki come nemico, leva il pretesto di un Hulk aizzato e si inventa invece tutto un altro intreccio di eccezionale presa, per mettere insieme i personaggi, farli scontrare e creare un legame. Si inventa una minaccia gigante che li unisca (e con il cui eco l’universo Marvel ha fatto i conti per i successivi dieci anni) e soprattutto inventa una coolness legata a questi personaggi e al loro stare insieme, una fatta di dialoghi in cui riconosco i reciproci stereotipi si prendono in giro come farebbe un fan dei fumetti e nel farlo svelano le proprie debolezze. Insomma bisogna tenere insieme l’aria da capetto di Capitan America, l’individualismo incrollabile di Tony Stark (a cui nessuno dà ordini), l’essere alieno di Thor e poi l’integrazione di personaggi senza poteri. Infine, chi è il nuovo Hulk? Chi è il nuovo Bruce Banner? E come entra in tutto questo?
The Avengers è una sceneggiatura in cui ognuno di questi attori ha il proprio assolo, in cui ogni personaggio evolve un po’ rispetto a quel che sappiamo e in cui si formano dei legami profondi e interessanti. Un colpo da maestro che sarà superato solo da Infinity War (totalmente ispirato a questo lavoro ma con più personaggi e più storie), Whedon inietta per la prima volta dell’ironia in Thor (che nei primi due film era un eroe serissimo e pesantissimo) e se lo inventa come linea comica, e di fatto cristallizza quello stile Marvel già intuito in Iron Man: azione e divertimento, grande ironia e una grande festa del piacere di essere supereroi nonostante tutte le difficoltà. La soluzione-Whedon è di non risolvere le differenze tra personaggi, non unirli come un vero gruppo ma tenerli sempre in tensione gli uni con gli altri, dare l’impressione che stiano insieme senza che nessuno lo voglia davvero e che poi si trovino in fondo bene quando capiscono che come squadra funzionano. Ancora è l’eccitazione di essere eroi a tenere tutto unito, quando loro stessi capiscono che il gruppo è più forte dei singoli e godono mentre noi godiamo. Del resto i modelli che aveva presentato alla Marvel erano Quella sporca dozzina e il Mucchio selvaggio.
Il risultato
Oltre a tutto quello che sapeva Whedon in The Avengers riesce anche a fare quello che non ha mai fatto, cioè creare una grande battaglia finale che seriamente dia l’impressione di essere il momento peggiore di tutti, un disastro per la Terra. E lui non aveva mai diretto niente con quel budget, quella quantità di computer grafica e quel grado di fusione di falso e vero. La battaglia di New York riesce ad apparire caotica nonostante seguiamo bene tutte le sue trame interne. Sappiamo sempre chi sta facendo cosa contro chi, ma lo stesso c’è una grande macello alle loro spalle, vengono continuamente interrotti da altri eventi e sembrano continuamente non avere il controllo. Tutto fino al momento peggiore di tutti, in cui Whedon cala il proprio asso. L’aveva tenuto a freno fino a quel momento il suo Hulk, interpretato dall’attore migliore di tutto il cast, uno sconosciuto per il grande pubblico che però ha una capacità di creare un personaggio anche con poco che gli altri non conoscono, orchestra l’attimo in cui la situazione pare irrecuperabile e lo fa arrivare con un’esilarante motoretta prima di pronunciare la frase più iconica di tutto il film.
Forse questo Hulk è la creazione più importante di tutto The Avengers, la bestia che contiene un cuore, macchina di distruzione e di risate, elemento solutore di tutto e al tempo stesso difficile da controllare che, come tutto nei copioni di Whedon, è messo al servizio del sentimento. È proprio il suo essere un’animale che fa sì che ogni sua azione sia portata avanti senza troppi ragionamenti seguendo solo istinto ed emozioni, e quindi possa essere per noi sempre chiaro cosa ci sia in fondo a quel cuore, cosa Bruce Banner, dentro alla massa di muscoli verdi, stia pensando e quindi cosa Hulk senta. Così si scrive un grande finale come quello che parte con “Sono sempre arrabbiato” (una frase paragonabile a “Io sono Iron Man” per capacità di incidere e accendere il pubblico) e culmina con il recupero al volo di Iron Man in caduta libera (momento strappapplausi a cui è impossibile resistere).
Per Joss Whedon è stata la chiusura del cerchio di Buffy, finalmente un grande film che gli consentisse di portare a termine la rivoluzione iniziata in tv. Un grande film che era anche di fatto, una grande serie tv, portata avanti di film in film, in cui a lui veniva chiesto di scrivere il finale della prima stagione (che nel mondo Marvel si chiamano “fasi”). Finalmente non aveva più quella serie come biglietto da visita ma un film che avrebbe incassato tantissimo. Dopo The Avengers si sbloccarono diversi progetti che non era mai partiti ma a parte un secondo Avengers di minor impatto, la difficoltà a vivere nel mondo degli studios avrebbe avuto la meglio. Fino addirittura all’emergere di scandali e brutte storie da set del passato.
Nel mentre tuttavia, in The Avengers, Whedon inventa anche l’immagine cruciale dei Marvel Studios, quella degli Avengers finalmente insieme, coordinati e pronti a tutto, gruppo adesso imbattibile, ripresi girandogli intorno. Quella inquadratura diventa non solo il simbolo del film, ma anche il simbolo di quello che i Marvel Studios hanno fatto. Hanno creato un universo condiviso in cui personaggi diversi che agiscono diversamente e hanno storie diverse, stanno insieme perché una regia dall’alto (Kevin Feige) li tiene insieme girandogli intorno nella stessa maniera in cui un cane da pastore tiene unito un gregge, costringendoli a stare vicini, incontrarsi di continuo e convivere. Anche nella medesima inquadratura.