Avatar - La via dell'acqua non è l'alternativa ai blockbuster, è l'eccezione che conferma la regola

Avatar - La via dell'acqua ha effetti speciali e una tecnica fuori scala che rinnovano i blockbuster, ma questo è anche un bel problema

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Esiste una sindrome che è una sorta di mal di Pandora. Una depressione post Avatar che ha colpito una (minuscola) fetta di spettatori del primo film e di Avatar - La via dell’acqua. Consiste nella difficoltà ad abbandonare il mondo coloratissimo della fantasia e ritornare nella quotidianità. Provoca una tristezza inaspettata per l’impatto con la realtà, percepita più grigia e meno interessante. Questo concetto può essere utile per ragionare su un’altra emozione che il film ha lasciato a chi frequenta i blockbuster e il grande cinema di intrattenimento: l’illusione che tutto possa essere come Avatar. Assistere cioè allo spettacolo di effetti visivi imbastito da James Cameron e illudersi che questa sia la nuova normalità del cinema. Lo standard a cui tutti si adegueranno. 

Invece non è così, il franchise di Avatar e James Cameron hanno dimostrato per la seconda volta (dopo il 2009) di non essere la regola, semmai una fortunata e privilegiata eccezione.

Si può discutere a lungo se Avatar - La via dell’acqua sia un gran film in tutte le sue parti, compreso la storia, il ritmo, le interpretazioni, i significati che ricerca. Ci sarebbe molto da argomentare anche sul rapporto che instaura con il primo film, molto più teorico e autoriflessivo. Quello che interessa però in questo momento, alla luce anche della sua candidatura miglior film agli Oscar 2023 è l’unico dato innegabile: la componente spettacolare arrivata sul grande schermo, la tecnica qui presentata, è allo stato dell’arte.

Possiamo dire che pochi siano riusciti ad ottenere risultati simili, ma sarebbe un peccato di eccessiva prudenza argomentativa. Andiamo allora di assoluti, senza timore di smentita. Nessuno, fino ad ora, è riuscito ad arrivare a un livello così alto di integrazione e armonia tra effetti visivi, attori in carne ed ossa, motion capture, realismo e credibilità della fantasia più spinta.

Probabilmente la prossima volta che succederà sarà per mano di James Cameron stesso.

Il superpotere di James Cameron

James Cameron non lavora come tutti gli altri. Ha un potere e delle risorse che gli permettono di pensare, scrivere, girare i film secondo un metodo produttivo tutto suo. Nessuno al di fuori di lui può applicarlo liberamente senza passare per un folle che brucia denaro ad ogni piè sospinto. Il suo è un qualcosa di diverso dal semplice titanismo ha colpito molti registi in passato (il Megalopolis di Francis Ford Coppola ha già dei retroscena pazzeschi) e che oggi è molto meno ammesso ad Hollywood. 

Cameron è moderno nel suo non essere affatto uno che scommette, anche se si ama raccontarlo così. È invece un gran pianificatore che rischia sì, però con consapevolezza (e i continui successi gli danno ragione). Lui ha sempre un obiettivo e lo persegue adoperando tutti i mezzi e il tempo necessario, assicurandosi quindi di raggiungerlo.

Prima ancora di essere un regista di film grossi e costosi, è un innovatore. Ha uno spirito imprenditoriale che si mischia a quello artigianale maturato alla corte di Roger Corman (dove ha imparato a lavorare con poco). All’età di 68 anni dà ancora l’impressione di divertirsi un sacco durante il processo e che il film finale sia solo un modo per rendere partecipe il pubblico di questo divertimento.

Nessuno detiene il potere che detiene lui e quindi nessuno può permettersi di fare tutto questo. È l'unico regista che può permettersi di aspettare 13 anni per adeguare la tecnologia alle sue esigenze. Può costruire teatri di posa, occuparli per anni, costruire nuove cineprese, fare ricerca e sviluppo immergendosi nella fossa delle Marianne. E ancora: può spostare le date di uscita dei sequel più volte, moltiplicarli, girarli insieme e uscire in sala accolto come il salvatore della stagione.

Cercare Avatar - La via dell’acqua ovunque

Avatar - La via dell’acqua ha così il problema di farci credere che, dopo di lui, tutti i blockbuster avranno questo livello di sviluppo, di hype e di unicità. Ma non è pensabile in questa Hollywood e, a dirla tutta, in nessun settore dell'intrattenimento. Cameron è quasi un’industria a parte che opera con logiche differenti e con un senso del rischio tutto suo.

Abbiamo di recente riportato le riflessioni interne alla Warner Bros. sul far valere le proprietà possedute, e tornare a investire su franchise storici come Il signore degli anelli. Una notizia che racconta bene come funzioni un business che teme la stagnazione dell’immaginario. Abbiamo parlato anche dei problemi di tempo, di accumulo di film che vadano a completare gli affreschi narrativi della Marvel costringendo a ritmi di lavoro proibitivi che talvolta ne inficiano la qualità tecnica. Un tema affrontato anche da James Gunn il quale ha messo le mani avanti presentando lo slot DC. Gli esempi potrebbero protrarsi a lungo, senza che questo sia fonte di indignazione.

Perché è così che funziona la realtà dei film commerciali. Realizzare un blockbuster è spesso un lavoro di bilanciamento tra le esigenze del pubblico, quelle artistiche, e quelle produttive. Cameron e il sodale Jon Landau hanno ben incastonati nelle ossa questi tre aspetti, li sanno gestire contemporaneamente e (per quello che ci è dato sapere) lo fanno in armonia grazie anche ai loro "superpoteri”.

Così Avatar - La via dell’acqua appare uscito proprio come desiderava il regista, con una parte centrale assurda che ferma la storia e si concentra sulla pura esperienza di visione. Nella seconda ora si tocca con mano il modo in cui la fantasia potrà prendere forma in futuro. Ci si immerge ancora nel mondo di Pandora, come pura esplorazione cinematografica di creature e ambienti. Un world building sensoriale, in cui si percepisce come possibile o addirittura realmente esistente tutto quello che arriva di fronte agli occhi. 

Una scelta del genere che brucia risorse economiche per la ricerca di pura bellezza, senza portare avanti la trama, difficilmente verrebbe approvata ad un altro regista. Solo lui può “sprecare” così, lasciando che il suo film vada dove è più bello, non dove è più utile per il franchise. Nonostante il pubblico abbia premiato tutto questo al botteghino, Hollywood non può convertirsi radicalmente e cambiare il suo funzionamento. I film devono uscire numerosi, rapidi, belli ovviamente, ma anche sostenibili nel rischio che comportano. 

Cosa resterà di Avatar - La via dell’acqua dopo gli Oscar 2023?

Resterà moltissimo di Avatar - La via dell’acqua, comunque vada la cerimonia degli Oscar 2023. Improbabile la vittoria come miglior film, mentre quasi certo il trionfo "tecnico”. James Cameron una sua piccola rivoluzione l’ha già fatta. Ancora una volta.

Dicevamo che è giusto per il pubblico pretendere che ogni film porti all’eccellenza almeno qualcuno dei suoi elementi. In particolare per i blockbuster la componente spettacolare deve esaltare il grande schermo ed essere esaltata da esso. Però il cinema non è fatto solo di balzi in avanti, ma da tanti piccoli passi.

Ribaltare quindi la prospettiva aiuta a superare la sindrome di Pandora. Avatar serve per alzare l’asticella sugli effetti visivi e, ancora più importante, per fornire strumenti e ispirazioni. Il resto delle opere che seguiranno serviranno a consolidare nel tempo questi nuovi strumenti, a declinarli in modi diversi.

Il seme di Avatar - La via dell’acqua ha però già piantato le sue radici all’interno dei maggiori studi. Da inizio anno i responsabili dei maggiori franchise non fanno altro che rassicurare. Rallenteranno, dicono, faranno le cose per bene. Si è tornati a parlare di qualità. Promessa, ricercata, pretesa, è lei che è tornata protagonista grazie a questo secondo capitolo di Avatar e che lo aiuterà a non tramontare tanto presto. Per lo meno fino al prossimo seguito. 

Potete trovare gli altri nostri approfondimenti sui candidati a miglior film agli Oscar 2023 cliccando qui.

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