Atto di forza ha 30 anni. La più grande trollata di Paul Verhoeven all'America
Un film d'azione americano pensato per prendere in giro l'inconsistenza del cinema d'azione americano, Atto di forza critica le fantasie violente del paese
In America poteva esserci più fortuna per questo stile. Del resto un po’ di successo quel film medievale l’aveva avuto e il suo attore feticcio (Rutger Hauer) era diventato già qualcuno oltreoceano.
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Quando arriva Atto di forza Verhoeven siede sulle spalle del successo di Robocop, ha una star pazzesca come Schwarzenegger e un testo di partenza di Philip Dick. Quindi alza l’asticella un altro po’, creando quella che (assieme al definitivo Starship Troopers, un film fascista che prende in giro uno stato innamorato dell’esercito) è la trollata più grande che abbia mai realizzato ai danni dell’America. Detto in maniera meno terra terra, Verhoeven riesce con Atto di forza a commentare in modi durissimi il paese che gli sta facendo produrre il film senza che questo sia evidente, senza che sia comprensibile a prima vista e soprattutto senza che sia chiaro a tutti. Ma solo ad uno sguardo più attento e allenato.
Nel film il protagonista è un manovale con una vita tranquilla e una bella moglie che tuttavia sogna e desidera di più. Si reca quindi in un centro che fabbrica sogni e tramite essi fa vivere ai propri clienti fantasie e avventure nella loro mente. Lì sceglie di vivere una fantasia da agente segreto. Durante il processo di impianto qualcosa va storto, c’è una colluttazione e il protagonista scopre di essere davvero un agente segreto, glielo dice un altro se stesso in una registrazione. Qualcuno ha compromesso la sua memoria e lo ha ridotto ad una vita normale ma deve andare su Marte e porta a termine una missione. Lo farà completando tutto quello che il centro per gli impianti gli aveva prospettato e quindi non sapremo mai se quel che abbiamo visto è la sua fantasia come gliel’hanno impiantata o la realtà.
[caption id="attachment_460727" align="aligncenter" width="400"] Tutta la trama del film anticipata all'inizio[/caption]
Addirittura alla fine accadrà qualcosa di impossibile come il cielo azzurro con le nuvole su Marte, esattamente la frase metaforica usata dalla compagnia inizialmente per spiegare che ci sarebbe stato un lieto fine. Che poi è il genere di paradossi cui Hollywood stessa non esita ad arrivare per dare un happy ending ai propri film. Atto di forza finirà come tutti i film di Schwarzenegger ma in virtù di quell’inizio la chiusa sembrerà decisamente più assurda e inconsistente del solito. Sembrerà cioè quel che è: una fantasia decisa da una grande società per far sfogare gli istinti che bruciano nelle teste delle persone e consolarle riguardo le loro vite ordinarie. Dentro il film c’è già la critica più grossa al cinema americano, alla sua idea di azione e a quel che è disposto a fare per consolare il pubblico.
La missione qui è fare un film per Schwarzenegger, quindi c’è azione e ci sono le battute secche, cioè le oneline. Ma Verhoeven crea anche uno spettacolo di pura propaganda, in cui il futuro rispecchia il peggio dell’America presente, ovvero una società dei consumi portata all’estremo. Non sarebbe niente di diverso rispetto a qualsiasi altra distopia, che è sempre una versione distorta del presente se non fosse che il film è apparentemente dalla parte della distopia. In come viene messa in scena la meschinità e lo spietato cinismo largamente accettato con cui le minoranze sono marginalizzate c’è una strana adesione. Il film finge di stare dalla parte del potere in realtà disegnandone un ritratto caricaturale. L’idea di Verhoeven è sempre di criticare dall’interno, fare un film che cavalchi l’opinione che critica così tanto da diventare paradossale e poi sedersi a guardare mentre viene esaltato e trova l’approvazione. Esattamente il meccanismo dei troll.
E così è regolarmente accaduto nella sua carriera.
L’America degli anni ‘80, quella della privatizzazione selvaggia, della deregolamentazione, dei reaganomics e dell’esaltazione di “Greed is good” (il motto di Gordon Gekko in Wall Street, pensato per essere una frase da disprezzare ma letto dal pubblico come un’esaltazione dell’etica capitalista) sono rispecchiate ed esaltate nei loro aspetti peggiori senza che nessuno si ponga problemi. Anche solo l’ambizione che il protagonista manifesta all’inizio, quando è insoddisfatto e dice “Io voglio essere qualcuno, fare qualcosa”, poi si trasformerà nel diventare qualcuno che uccide senza pietà, che ha fantasie di massacro. Come sempre nelle satire hollywoodiane di Verhoeven i protagonisti sono persone più o meno normali a cui basta una spinta per diventare dei sanguinari in contesto che li esalta per questo, in cui tutto ciò li rende eroi. Dentro il cuore di ogni americano batte il desiderio di violenza e non appena questo è giustificato o aiutato da qualcosa o qualcuno il pubblico approva e il cineasta ha mano libera.
Dunque se il film d’azione di Hollywood comanda violenza, e quello con Schwarzenegger lo fa ancora di più, Verhoeven esegue l’ordine andando ben oltre il richiesto, toccando il paradossale, e trovando comunque successo e approvazione. Nel film i proiettili fanno esplodere nuvole di sangue, la carne si maciulla e il protagonista stesso si fa scudo di un civile trivellato di colpi. Verhoeven dà risalto a questi dettaglio, mancando appositamente di edulcorare la violenza come fa di solito il cinema hollywoodiano ma mostrandone le conseguenze sui volti e sulla carne. In questo sta tutta la sua trollata, nell’adozione di un punto di vista filmico che è lo stesso degli altri ma più onesto e quindi più estremo.
[caption id="attachment_460719" align="aligncenter" width="600"] Sogni d'oro[/caption]