Assurda, squinternata, adorabile Lucy | BadBuster

Lucy di Luc Besson è uno dei film più sgangherati degli anni Duemila, eppure per qualche motivo è impossibile resistere al suo fascino

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Avete aperto gli occhi stamattina con una gran voglia di paccottiglia di qualità? Avete una strana urgenza di godervi un po’ di fantapseudoscienza senza pretese, o forse con un sacco di pretese senza poterselo permettere? Vi siete rigirati nel letto tutta la notte chiedendovi che fine abbia fatto Luc Besson? Ebbene, ho una soluzione a tutto: Netflix ha da poco tempo aggiunto in catalogo Lucy, il sequel spirituale segreto di Her nonché il film che nel 2014 convinse qualche mente illuminata che fare un film su Ghost in the Shell con Scarlett Johansson fosse l’idea migliore del mondo.

Scarlett Johansson

Lucy e la factory di Besson

Lucy è un’opera per certi versi incredibile, e per uno in particolare che riserverò all’ultimo paragrafo, la cui lettura è consigliata solo a chi ha già visto il film. A partire dal suo concepimento: non so quale sia la vostra opinione su Luc Besson, ma io non posso che stimare una persona che dice di odiare Hollywood come luogo e come ambiente ma di amare i film di Hollywood e che per trovare una soluzione a questo dilemma ha deciso di costruirsi una piccola Hollywood casalinga. La sua EuropaCorp è un progetto unico nel vecchio continente, una factory di talenti che ha prodotto decine di film, regalato qualche nome nuovo al cinema mainstream, dato spazio a progetti estemporanei e un po’ folli (Le tre sepolture di Tommy Lee Jones, giusto per dirne uno); ma è anche una fabbrica di cloni di Besson, dalla quale sono usciti pessimi registi come Olivier Megaton e Louis Leterrier.

E poi è ovviamente un veicolo per lo stesso Besson per dare sfogo a tutti i suoi istinti e alle sue idee non importa quanto pazze. Con EuropaCorp Besson ha prodotto il bizzarro Angel-A, la saga dei Minimei, Valerian, ma anche The Lady e The Family – in sostanza qualsiasi cosa gli passasse per la testa, una collezione di stranezze non sempre riuscite nella quale Lucy riesce comunque a spiccare per assurdità. Scritto inizialmente per Angelina Jolie (anche se Besson nega), che dopo Salt aveva un po’ interrotto la sua corsa a diventare quello che alla fine è diventata Charlize Theron, e poi affidato a una Scarlett Johansson nel pieno della seconda trasformazione della sua carriera – la prima è quella da bomba sexy ad attrice d’autore, la seconda è la promozione a superstar ultragalattica –, pensato per essere parte di una trilogia che avrebbe dovuto portare il franchise in zona 2001 (davvero), Lucy è quello che succede quando un tizio facilmente impressionabile legge un factoid scientifico smentito ormai da anni e decide di costruirci un film intorno.

Lucy gruppo

Lucy e ombre

Il factoid in questione è quest’idea assurda che noi esseri umani usiamo solo il 10% delle potenzialità del nostro cervello, e che se riuscissimo a sbloccare il restante 90% ci eleveremmo e diventeremmo creature celestiali o qualche altra vaccata simile. Come ho già detto è un’informazione assolutamente falsa, il che non le ha impedito di diventare lo spunto per un numero di film superiore a 0 (e solo tre anni prima di Lucy era uscito Limitless, il che porta il totale almeno a 2), e di ispirare a Besson quest’idea della ragazza innocente e indifesa che...

Uhm, be’, alla quale cuciono dentro la pancia una valigetta piena di droghe che poi si rompe rilasciando le suddette droghe nell’organismo di Lucy la quale comincia a sviluppare poteri incredibili e contemporaneamente a perdere pezzi della sua umanità (come la farfalla si libera dei resti del bozzolo prima di spiegare le ali). Lucy è di fatto l’ennesima origin story, il racconto di come una persona normale venga in possesso di capacità uniche e debba capire come funzionano e che cosa farsene; ma parte da un presupposto talmente improbabile da scadere quasi nella parodia, ed è declinato non come un film di supereroi ma come un action tinto di thriller alla Besson, una collezione di inseguimenti e sparatorie occasionalmente interrotte da Morgan Freeman che dice frasi profonde con la sua voce profonda.

Johansson Freeman

Scarlett superstar

Tutto questo ruota ovviamente intorno a Scarlett Johansson, protagonista del 101% delle scene del film e che qui colleziona più primi piani intensi che nel resto della sua carriera. La fortuna di Besson è che Johansson si diverte un mondo a recitare la parte della dura senza sentimenti ma con poteri telecinetici cronenberghiani, e a costellare il tutto con una serie di one-liner filosofiche – come nel magnifico dialogo “I’d rather be late than dead” “We never really die” tra lei e Amr Waked, un clamoroso pasticcio tra metafisica e badassery. Lucy funziona perché funziona la sua protagonista, e tutto il resto sta in piedi di conseguenza e non certo per meriti propri: non di regia e montaggio, più confuse e squinternate della media dei film di Besson, e non certo della scrittura, che anche al netto della boiata sul 10% non fa nulla per elevarsi al di sopra della mediocrità di uno script di servizio. Almeno fino al finale, quando Besson scopre tutte le sue carte: è qui che vi invito ad abbandonare la nave se non avete ancora visto Lucy.

Lucy Johansson

SPOILER SU LUCY, davvero!

Sul finale succede una cosa che non so descrivere se non in questo modo: Scarlett Johansson diventa una chiavetta USB nera, che però è anche Dio. A colpirmi non è tanto, o non solo, l’insensatezza della soluzione, quanto che Besson l’abbia concepita con in mente altri due film. Due! La tua protagonista ci ha messo un’ora e mezza a diventare un flashdrive e dovrebbe passare le successive tre o quattro a... deframmentare? Riformattare in FAT-32? Come fai a fare il sequel di un film nel quale l’eroina alla fine diventa, oltre che una chiavetta USB, una creatura immortale e onnipotente e onnisciente? Temo che moriremo con la curiosità di sapere in che direzione sarebbe andato Besson se avesse fatto i sequel, e non vedremo mai la nostra Lucy scontrarsi con un’entità ancora più potente di lei: il disco fisso esterno.

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