Assassinio sull’Orient Express è solo una bozza della visione di Branagh

Assassinio sull’Orient Express è una prova generale, un accenno di quello che Kenneth Branagh aveva in mente per Poirot

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Assassinio sull’Orient Express è su Netflix

Ci sono due modi per guardare ad Assassinio sull’Orient Express a sette anni dalla sua uscita. Si può vederlo come un semplice, ennesimo adattamento di uno dei romanzi più famosi di Agatha Christie, e in questo senso è un progetto solido per quanto non particolarmente fantasioso, che non va a toccare il cuore della storia ma preferisce lavorare ai fianchi, cambiando dettagli qui e là e raramente decisivi. Oppure si può guardarlo con il senno di poi, in quanto film che ha preceduto Assassinio sul Nilo, cioè il progetto nel quale Kenneth Branagh ha esplicitato le sue intenzioni riguardo a Hercule Poirot: continuare a interpretarlo, plasmandolo e adattandolo alla sua personale visione, fino a trasformarlo in una versione del detective belga molto diversa da quella immaginata da Agatha Christie.

L’Assassinio sull’Orient Express e quello sul Nilo

Di Assassinio sul Nilo avevamo parlato diffusamente qui, definendolo “la origin story di un paio di baffi”, poiché usava l’impalcatura del romanzo di Agatha Christie per innestarci una serie di flashback, riflessioni ed elucubrazioni sul Poirot di Branagh, che nel secondo film si rivela per quello che è davvero, cioè una nuova interpretazione del personaggio voluta dal suo autore, per quanto con il beneplacito della Agatha Christie Limited. Inutile tornare a parlarne qui: quello che colpisce guardando Assassinio sull’Orient Express è quanto questa nuova direzione fosse già presente, seppur non in maniera evidente.

Il Poirot di Agatha Christie era quello che in inglese si definirebbe “fastidious”, con una serie di fisse relative alla puntualità, alla gestione dei suoi soldi e ad altri dettagli personali apparentemente secondari. Visti anche gli anni in cui furono scritti quei romanzi, però, queste caratteristiche erano presentate come neutre, simpatiche e innocue bizzarrie utili a definire il personaggio con qualche tratto memorabile. Il Poirot di Branagh, invece, sembra in parte risentire del successo della serie TV Sherlock, e in generale di un certo clima culturale che è tornato a celebrare i geni mettendone in evidenza però anche le disfunzionalità e riuscendo così a parlare di salute mentale in contesti di intrattenimento.

Quelle tre letterine…

In particolare, il Poirot di Assassinio sull’Orient Express prende le sue simpatiche stranezze e le trasforma in una forma clinica di disturbo ossessivo-compulsivo – così ha detto lo stesso Branagh, che rispetto alla fonte originale decide quindi di problematizzare certi comportamenti del suo detective, non solo di usarli come carburante per gag divertenti. “OCD” è una di quelle diagnosi delle quali si abusa spesso, e che la gente ama attribuirsi quando vuole descrivere quella che magari è una passione per l’ordine. Branagh sfugge in gran parte alla tentazione di rendere glamour l’OCD del suo personaggio, e del tutto a quella di dare un nome a quelli che vengono presentati come disturbi; ma non c’è dubbio che presenti un personaggio decisamente più sfaccettato della sua versione letteraria.

Tutto questo contribuisce a dare ad Assassinio sull’Orient Express una vaga aria di disagio che non è facile identificare, e che verrà chiarita del tutto solo con il secondo film. Il Poirot di Branagh è simile a quello di Agatha Christie, ma non è proprio lui: è un essere umano decisamente più tormentato (seppure nel film spesso in maniera un po’ cartoonesca, come tutte le volte che parla con il suo medaglione che custodisce la foto della moglie morta) e dunque ambiguo, al punto che – a differenza di quanto accade nel romanzo – è lui, e non Bouc, a decidere di non denunciare alla polizia la congiura contro Cassetti ma di sostenere la tesi dello “sconosciuto sul treno”.

Non è tutto nuovo sull’Orient Express

Come dicevamo, comunque, queste riflessioni funzionano solo ex post: avendo visto in che direzione Branagh ha deciso di portare il personaggio, si può rivedere Assassinio sull’Orient Express identificando i primi segnali lanciati a riguardo in questo primo capitolo. Per il resto, è vero come si scrisse in molte recensioni dell’epoca che il film è anche un’opera autoindulgente e autoriferita, che si distacca molto poco dalla fonte originale e che risulta quindi essere solo un’altra versione di un romanzo che ha già conosciuto un adattamento cinematografico nel 1974 e cinque diverse versioni per la TV, compresa una giapponese e una cinese datata 2022. La differenza la fa quindi l’esecuzione, e qui Branagh dimostra per l’ennesima volta di essere un regista più che solido quando si tratta di lavorare su materiale letterario, e di avere un occhio quasi hitchockiano per i momenti più francamente thriller.

Inutile dire poi le solite banalità sul cast, popolato di stelle che fanno a gara a chi splende di più; personalmente noi scegliamo l’outsider Daisy Ridley, tanto criticata per i suoi Star Wars, che qui dimostra che forse il problema di quei film non era lei ma chi aveva deciso di calarla in un contesto che non le apparteneva del tutto – ma questo è un altro discorso, quello che ci interessa è che in Assassinio sull’Orient Express riesce a non farsi schiacciare dai giganti che la circondano, e che si divertono a fare a gara a chi divora meglio la scena. E sì, non c’è nulla di sorprendente se già conoscete la storia, ma in fondo film del genere dovrebbero servire anche, forse soprattutto, a chi invece non è ancora venuto a contatto con la più grande giallista di sempre. E in questo senso, ci sono modi ben peggiori per scoprire Agatha Christie che farlo in compagnia di Kenneth Branagh.

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