Assassinio sul Nilo di Kenneth Branagh è la origin story di un paio di baffi
Assassinio sul Nilo fa finta di essere un giallo quando in realtà vuole solo raccontare l’origine dei mustacchi di Poirot
Ogni volta che si parla di adattamenti cinematografici di note opere letterarie e dell’importanza o meno di rispettarle alla lettera, prima o poi salta fuori il nome di Stanley Kubrick, indicato come modello da seguire per come è riuscito a creare capolavori pur stravolgendo molti dettagli (e a volte anche la lettera) dei romanzi a cui si ispirò per la maggior parte dei suoi film. Con Assassinio sull’Orient Express, e soprattutto con il suo sequel, Kenneth Branagh sembra aver deciso di lanciare un guanto di sfida al buon Stanley, e di sostituirlo nell’immaginario collettivo. Perché se è vero che sulla carta Assassinio sul Nilo racconta la stessa storia di quello che è probabilmente il romanzo più famoso di Agatha Christie, la verità è che l’omicidio di Linnet Doyle, l’indagine che ne segue e le sconvolgenti rivelazioni a cui arriverà il miglior detective del mondo sono solo lo sfondo sul quale si consuma una vicenda molto più personale e intima: la origin story dei baffi di Hercule Poirot.
Assassinio sul Nilo si apre con un elegantissimo (fin troppo, visto il contesto) piano sequenza in bianco e nero recitato in francese e ambientato nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, dove un giovane Hercule Poirot dimostra tutte le proprie doti intellettuali formulando un piano che gli consente di salvare il suo intero battaglione dall’attacco dei tedeschi. È un attacco shockante e inaspettato, spia di quanto Branagh sia libero di fare quello che vuole con il suo secondo film agathachristiano; e serve per raccontarci due cose importanti su Poirot: il fatto che è stato innamorato, e il fatto che i suoi lunghi baffi servono per coprire una ferita di guerra – un suggerimento della sua amata, una soluzione al dramma del ritrovarsi all’improvviso sfigurato e orribile (o di percepirsi come tale).
Un intero paragrafo di relazioni pericolose che nel film richiede tutto il primo, lunghissimo atto per essere esplicitato, e che è direttamente collegato alla scelta di Poirot di farsi crescere i baffi per compiacere la moglie morta, e a quella conseguente di non amare più nessuna dopo di lei. In mezzo al turbinio amoroso e ormonale che agita l’intera nave da crociera sulla quale si svolge gran parte dell’azione (e per fortuna, perché quando ci si sposta all’aria aperta, cioè in un teatro di posa di Londra, il blue screen diventa dominante e i fiumi di digitale e postproduzione affogano qualsiasi pretesa di atmosfera, trasformando tutta la messa in scena in un incrocio tra una costosissima pubblicità di un profumo e una puntata di una telenovela ad alto budget vista su una TV con il contrasto sparato a mille – perdonateci l’inciso ma in mezzo a tutte le cose buone che si possono dire su Assassinio sul Nilo ci sembrava giusto anche citare quello che è senza dubbio il suo più enorme difetto), in mezzo alla tempesta di amorosi sensi che anima la nave, dicevamo, Poirot rappresenta l’apparente unico baluardo di sanità mentale – l’unico personaggio che non si fa travolgere dalle passioni e che quindi non commette errori o gesti moralmente reprensibili.
È tutto molto “in character”, ma è anche una lettura fortemente personale di Branagh, del personaggio e della situazione. La origin story dei suoi mustacchi non è solo un esercizio di stile o un suo vezzo per lasciare il segno su un classico della letteratura: Branagh eleva Poirot al di sopra della pazza folla perché è l’unico che riesce a resistere alle tentazioni dell’amore, e i suoi folti baffi gli sono essenziali per tenere il punto, perché gli ricordano il suo tragico passato e il motivo per cui ha scelto di non amare mai più.
In questo senso, tutti i personaggi del film prima o poi si devono confrontare con lui, e paragonare le rispettive visioni del mondo, della vita e dell’amore. Oltre che detective, Poirot è anche confessore, è l’unico che dialoga con tutte le parti in causa perché è anche l’unico che riesce a elevarsi, a non cedere sotto i colpi della seduzione. Certo lo vediamo esitare, dubitare, in un paio di momenti quasi cedere; ma a riportarlo alla realtà ci pensano i suoi baffi, che sono sostanzialmente il suo Alfred.
Tutto questo nel romanzo di Agatha Christie non c’è; e d’altra parte tutto quello che c’è nel romanzo di Agatha Christie diventa quasi un retropensiero in Assassinio sul Nilo. Il delitto che dà il via agli eventi arriva tardissimo nell’economia di un film giallo; e anche quando Poirot è nel bel mezzo del caso, trova sempre il tempo per una riflessione sulla futilità dell’amore, o per il ricordo di un tempo in cui è stato, per un brevissimo periodo, felice. È facile vedere tutto questo come un difetto, e in effetti Assassinio sul Nilo è un film ombelicale nel quale i tormenti del protagonista, e la personale rilettura di Kenneth Branagh del personaggio di Poirot, si prendono la scena a scapito dell’elemento giallo. Ma a Branagh piace così, agli eredi di Agatha Christie anche e pure al pubblico, tutto sommato, nonostante i risultati deludenti del secondo film al botteghino. Aspettiamo quindi con curiosità di capire in quale direzione imprevedibile ci porterà Kenneth Branagh negli inevitabili (già in fase di sviluppo, in realtà) sequel.