Assassination Nation, il miglior film sul bullismo che non avete visto
Assassination Nation ha perso la sua occasione di diventare un culto quando uscì, e ora che arriva in streaming può vendicarsi
Oltre ad avere uno dei titoli più complicati di sempre da scrivere senza impappinarsi, Assassination Nation è un film che potrebbe farvi arrabbiare. Come tutti i prodotti generazionali e che parlano esclusivamente e ostinatamente la lingua della fascia di pubblico a cui si rivolgono, potrebbe facilmente risultarvi indigesto se siete al di fuori di questa fascia, e se non avete voglia di ascoltare un discorso scritto e declamato secondo regole che non sono le vostre. Vi irrita quando vedete qualcosa che identificate come “woke”? Credete che Hollywood ormai metta donne e omosessuali ovunque perché si è piegata alla dittatura del politicamente corretto? Avete la ferma convinzione che le nuove generazioni siano composte da creature perdute e senza direzione, e che i vecchi valori su cui potevi contar non esistano più, o abbiano perso tutto il loro, appunto, valore?
Assassination Nation è un film che parla di cyberbullismo e porta il discorso alle sue più estreme conseguenze. Diretto da Sam Levinson, figlio di Barry e ultimamente più noto come creatore dell’acclamatissima Euphoria, racconta la storia di Lily Colson e delle sue amiche Sarah, Bex ed Em – NB: c’è un motivo se abbiamo riportato il cognome di una sola di loro, ma ci torniamo. Le quattro vivono a Salem, la stessa delle streghe, e sono adolescenti annoiate e dalle esistenze infinitamente instagrammabili; sono la versione 2018 (è quando è uscito il film: siamo curiosi di sapere come lo cambierebbe oggi Levinson) delle protagoniste di Mean Girls, ma anche, e forse soprattutto, di quelle di Spring Breakers, del quale Assassination Nation è una sorta di sequel spirituale. E sono nipoti di Winona Ryder e Christian Slater in Schegge di follia, e pronipoti di James Dean in Gioventù bruciata; sono, in altre parole, adolescenti perfettamente calate nel loro presente, che non hanno e non fanno nulla di speciale a parte essere protagoniste del film in cui si trovano.
Sam Levinson, però, ha una visione distorta e quasi psichedelica di cosa significhi essere nate all’inizio del 2000. Lontano da ogni tentazione di realismo o cronachistica, il suo Assassination Nation è piuttosto la risposta teen a Natural Born Killers, un film tutto di regia pieno di neon, tagli di luce assurdi, montaggi azzardati, apparati extratesto, e poi split screen usati con criterio e gusto, piani sequenza piazzati nei momenti adatti… come l’adolescenza che racconta, è un film che si specchia in continuazione, che continua a cercare l’angolo giusto, la luce giusta per scattare il selfie perfetto. Sarebbe manieristico, se non fosse che ogni tocco di stile e ogni inquadratura artistica sono sporcate da un disagio di fondo che per una volta non va di pari passo con la povertà o l’ignoranza. Lily Colson e le sue amiche sono ragazze normali, che vivono in un contesto sociale nel quale l’immagine è tutto e la privacy è niente, e per le quali ogni istante di vita è decisivo perché potrebbe essere fotografato e finire online – volontariamente, se la foto è venuta bene, o per ferire, se è venuta male, o se ritrae il soggetto in situazioni moralmente deprecabili.
Ed è su questo dettaglio, sul filo sottile che separa un’immagine intima e imperfetta, che mostra le nostre debolezze senza paura perché in teoria non nasce per essere condivisa con il mondo, che si gioca il momento in cui Assassination Nation smette di essere un ritratto generazionale e comincia a sperimentare con il nostro senso del limite. Come in molti film e serie di questi anni (pensate ad American Vandal, o a Sex Education, sempre per restare in TV), arriva il momento in cui la valanga di segreti che si nasconde dietro le vite perfette delle protagoniste e di tutta la gente che ruota loro intorno finiscono in rete, e in pasto all’intera scuola. Ed è un momento che non risparmia nessuno, né il sindaco di Salem, un rigido conservatore ferocemente etero con la passione nascosta per il travestitismo, né il preside del liceo, che finisce sulla graticola per una questione talmente stupida e decontestualizzata che se ci dicessero che è ispirata a un fatto di cronaca non ci stupiremmo.
Assassination Nation si chiede: e se tutte queste facciate, tutta questa perfezione ostentata, crollassero contemporaneamente? Se un intero paese potesse conoscere tutta la verità sul resto della popolazione? La risposta di Levinson ci fa pensare che il ragazzo abbia una certa tendenza al nichilismo: nel momento in cui crollano le apparenze, ci dice, la gente perde la testa, e reagisce, be’… a dirla tutta, reagisce come abbiamo visto in infinite variazioni sul tema negli ultimi tre anni, il che rende Assassination Nation non solo un bel film sul bullismo ma anche una satira sociopolitica pungente e lungimirante. E anche un film che può, se gliene fregasse qualcosa, fregiarsi dell’etichetta di “horror”, o comunque di thriller molto violento.
Nel momento in cui diventa un tutti contro tutti, Assassination Nation mette da parte gli orpelli e le scritte in sovraimpressione per virare in territorio home invasion, con più di un punto in comune con The Purge. Ma, come scriverebbero testate con meno dignità della nostra, tutto virato al rosa: perché le protagoniste sono quattro donne, e quello che si trovano ad affrontare è qualcosa che può capitare solo alle donne. Per cui Assassination Nation richiede anche un minimo sindacale di sforzo di identificazione da parte di circa metà della popolazione mondiale – quel genere di identificazione alla quale molta gente risponde sbuffando e alzando gli occhi al cielo perché “ormai fanno solo i film con le donne”.
Assassination Nation è (anche) esattamente questo genere di film qui: quello che occupa uno spazio tradizionalmente maschile (spesso nella forma del “padre che difende la sua famiglia dagli invasori”) e ci mette le minigonne di pelle e le discussioni sul cunnilingus, e tra una badilata in faccia e una sparatoria che renderebbe fiero Tarantino riesce a parlare di violenza, consenso, di quanto sia distruttivo per una donna trovarsi all’improvviso sui telefoni di tutto il mondo, trasformata in un oggetto, una “lilycolson” – quella situazione per cui il tuo stesso nome diventa un mantra, una formula magica per evocare violenza e fantasie di stupro anche in chi non ti ha mai incontrato prima e ti conosce solo per una foto fatta circolare dal tuo ex.
Assassination Nation è quindi anche un atto d’accusa rivolto ai generici “adulti”, ma è anche abbastanza intelligente e consapevole da spiegare nei dettagli che cosa intenda con questa parola, e da permettersi anche di scherzare su quella che, probabilmente, sarà la reazione di un sacco di gente che si sentirà punta sul vivo dal film: “not all men”. (Anche) di questo parla il film; e se la cosa vi irrita significa che ha già fatto centro.