Aspettando Civil War: come è cambiato il mondo di Captain America

Nell’attesa di Captain America: Civil War, scopriamo insieme come è cambiato sul grande schermo il mondo di Steve Rogers.

Redattore su BadTaste.it e BadTv.it.


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Captain America festeggia quest'anno 75 candeline. Nato sulla scia di una forte spinta propagandistica, il personaggio di Joe Simon e Jack Kirby ha oggi abbandonato gran parte dei suoi originari riferimenti ideologici per abbracciare un’attualità inevitabilmente problematica. Mentre aspettiamo Captain America: Civil War e limitando il discorso alle incursioni più significative sul piccolo e sul grande schermo, vediamo come è cambiato nel tempo il mondo del supersoldato dallo scudo stellato.

Supereroi e superpotenze

In Captain America - Il Primo Vendicatore, Steve Rogers reagisce stizzito ai filmati di propaganda che lo vedono protagonista. Davanti a tanta retorica, si sente più un esibizionista che un eroe nazionale. Eppure, quelle clip non sono molto diverse dal genere di retorica dalla quale, nel 1941, il personaggio è nato. L’Europa era già in guerra dal settembre del ’39 e le potenze dell’Asse italo-tedesco si erano impadronite di gran parte del continente, avanzando anche in Unione Sovietica. Gli Stati Uniti non erano usciti del tutto dalla crisi del ’29, ma sotto la spinta di Roosevelt cercavano di coniugare i loro interessi geopolitici con gli ideali democratici e la lotta ai totalitarismi. Occorreva creare nell’opinione pubblica americana sia una spinta ideale che indicasse i nazisti come il nemico da battere, sia degli eroi popolari che esprimessero l’appartenenza americana all’asse del bene. Nel 1940 il Chaplin de Il Grande Dittatore aveva messo in ridicolo Hitler, Mussolini e i loro accoliti, ma a una nazione prossima al conflitto servivano figure più marziali e combattive di un semplice barbiere. Ed ecco che fa la sua comparsa una cover con Rogers che dà un destro in faccia al Führer.

Captain America cover

E’ anche in quest’ottica che nasce Captain America, poco prima che i giapponesi forniscano una valida occasione per l’ingresso americano in guerra. Dopo l'attacco a Pearl Harbor, Hollywood fu libera di schierare l’artiglieria pesante contro il nemico, diventando la principale arma di propaganda delle potenze alleate. Il paradosso è che, nel 1944, viene realizzato un serial per il cinema chiamato proprio “Captain America” nel quale i cattivi non sono i nazisti. Prodotto dalla Republic Pictures, famosa per i tanti adattamenti di fumetti distribuiti dal 1935, lo show per il grande schermo vede nei suoi quindici episodi enormi differenze rispetto al personaggio di Simon e Kirby. Anzitutto, Cap non è Steve Rogers ma è il procuratore distrettuale Gran Gardner. Anziché presentare lo scudo di ordinanza, fa uso di una semplice pistola. E sfoggiando la sua tuta a stelle e strisce, viene chiamato ad aiutare il sindaco e il commissario della città dopo una serie di suicidi apparentemente inspiegabili.

Negli anni ’60 la musica cambia. La guerra è vinta da quasi un ventennio ma Cap non ha esaurito la propria spinta propulsiva come modello per i giovani americani. Nel ’64 l’intuizione di Stan Lee è quella di fare di Rogers un eroe meno ideologico e più pragmatico, chiamato a correggere le storture e le ingiustizie interne alla Nazione. Nel '66, Cap fa una breve incursione nei 13 episodi della prima stagione della serie animata The Marvel Super Heroes, mentre le rimanenti 4 vedono protagonisti Hulk, Iron Man, Thor e Namor. Ma è alla fine degli anni ‘70 e ‘80 che il personaggio viene revisionato e riproposto a un pubblico nuovo, nato dopo il secondo conflitto mondiale. Diretto da Rod Holcomb e indirizzato al il mercato televisivo, Captain America del 1979 ha per protagonista il figlio di Cap che, dopo essere stato in marina, tenta una fallimentare carriera come artista. Dopo un incidente che lo riduce in fin di vita, gli viene iniettato uno speciale siero che non solo gli salva la pelle ma gli conferisce anche straordinarie abilità. Chiaramente, il siero è modellato sulle cellule del padre, ed è solo con il corredo genetico del figlio che può funzionare a dovere. Il protagonista, che ha il volto di Red Brown, tornerà nei panni del pargolo di Cap a distanza di pochi mesi in Captain America II: Death Too Soon, nel quale deve affrontare lo spietato Generale Miguel, interpretato da Christopher Lee. Il nuovo villain, quasi in maniera speculare alla nascita del supersoldato, ha creato un letale siero che accelera esponenzialmente l’invecchiamento delle persone. Rogers lo sconfiggerà lanciando il suo scudo e facendo in modo che una bottiglia della sostanza letale lo colpisca al volto, facendolo invecchiare in pochi secondi e portandolo a un’improvvisa morte di vecchiaia. Del Rogers propagandistico non c’è quasi più nulla, ma anche il moralizzatore benevolo di Stan Lee ha lasciato il posto a un ragazzone chiassoso che se ne va in giro in moto. Lo stesso Lee fu piuttosto deluso dalle due ravvicinate esperienze televisive. Nella prima, Rogers impiega quasi un’ora a indossare il fatidico costume, e sul finale non combatte abbastanza mettendo gli spettatori in una frustrante posizione di attesa.

Captain America 1979

Il vero tonfo sul grande schermo di Capitan America è del 1990. La vicenda ha inizio nell’Italia fascista, dove il piccolo Tadzio de Santis viene rapito e sottoposto ad un esperimento per creare un supersoldato al servizio del Governo dittatoriale. E’ così che secondo il film di Albert Pyun nasce Teschio Rosso, al quale si opporrà anni più tardi il giovane Steve Rogers, opportunamente trasformato dall’esperimento di turno. Quando il villain lancia un missile contro la Casa Bianca, Rogers interviene per neutralizzarlo. Nella colluttazione Cap ha la peggio, finendo legato al missile, mentre Teschio Rosso si taglia una mano pur di non finirvi agganciato. Sparato in orbita, Rogers riuscirà a deviare il corso del missile schiantandosi in Alaska, dove rimarrà congelato fino agli anni ’90. Nel frattempo Teschio Rosso si fa una plastica facciale e alleva una figlia (interpretata da Francesca Neri). E un bambino, che aveva fotografato Rogers che deviava il corso del missile, divenuto adulto viene eletto alla Casa Bianca. Sarà proprio il nuovo Presidente, impegnato in una campagna ecologista, a essere il nuovo obiettivo di Teschio Rosso. Ma stavolta, dopo lo scontro di mezzo secolo prima, Cap avrà definitivamente la meglio. Considerato oggi uno scult di prim’ordine, il film di Pyun ebbe il suo carico di guai. La produzione cambiò diversi registi e sceneggiatori e dal 1986 al 1990 sperimentò, a proprie spese, una serie di progetti andati a vuoto. Per la parte di Rogers furono presi in considerazione Arnold Schwarzenegger, Dolph Lundgren e Val Kilmer. Lundgren finirà a interpretare The Punisher nel 1989, Kilmer si butterà sull’interpretazione di Jim Morrison in The Doors di Oliver Stone mentre Schwarzenegger, già celebre per Terminator e Predator, firmerà per Atto di Forza di Paul Verhoeven. A prescindere dal casting, Capitan America fu un tonfo totale. Sul grande schermo l’eroe nazionale entra in letargo, e per più di vent’anni non si fa vedere in giro. Sul piccolo schermo, Cap torna invece su un terreno che sembra più generoso: l'animazione. Rogers appare, spesso brevemente, in un gran numero di serie animate, tra le quali X-Men del '92, Spider-Man e Fantastic Four del '94 e I Vendicatori (Avengers: United they stand) del'99, nonché in un fiume di videogiochi. Ma le porte del cinema restano chiuse.

Captain America 1990

L'ascesa e il declino del Comandante in Capo e il ritorno del supersoldato

In Armageddon - Giudizio Finale di Michael Bay, nel corso della missione della NASA per salvare il mondo, un sarcastico Steve Buscemi sfotte il pilota della navetta “Freedom” esclamando “Indovinate un po’, Capitan America ha mancato l’atterraggio di 26 miglia!”. È solo una battuta, ma strappa un sorriso a un'enorme fetta di pubblico che ricorda Rogers con affetto e nostalgia. Cap, dopo suo ultimo flop al botteghino, non si fa vedere al cinema da un bel po'.  Nel frattempo, gli Usa hanno ben poche preoccupazioni rispetto al passato. Alla fine del ventesimo secolo, l’America è al culmine della propria autocelebrazione. Gli anni ’90 la vedono salda nella vetta delle superpotenze e i blockbuster hollywoodiani non fanno che celebrare l’idea della nazione illuminata chiamata di continuo a salvare il mondo. In Armageddon di Bay, durante la partenza di Bruce Willis e Ben Affleck alla volta dello Spazio, il discorso del Presidente degli Stati Uniti è ascoltato nei quattro angoli del globo come una prolusione del Dalai Lama. Contemporaneamente, in Deep Impact di Mimi Leder, anche Morgan Freeman è un Presidente illuminato, che invita il mondo intero alla preghiera (“Io ho fede in Dio!” esclama in diretta televisiva) e benedice i valorosi missionari della salvezza che partono per scongiurare la catastrofe generale. Due anni prima, in Independence Day, Bill Pullman ha ricordato ai piloti dell’ultimo disperato attacco agli invasori alieni che “Oggi festeggiamo il nostro giorno dell’Indipendenza!”. Un anno dopo, nel ’97, Harrison Ford in Air Force One ha direttamente preso a pugni il terrorista Gary Oldman e si è ripreso l’aereo presidenziale praticamente da solo, tra scazzottate alla Chuck Norris e improvvisate alla MacGyver, intimando persino al villain “Scendi subito dal mio aereo!”.

Negli anni ’90 ci vuole Tim Burton per interrompere una catena di buonismo patriottico. Il suo Presidente di Mars Attacks! (Jack Nicholson) è un inetto e imbecille politicante che anziché montare su una carlinga e andare in battaglia muore a seguito di una goffa stretta di mano col nemico. Gustose eccezioni a parte, nell’ultimo decennio del Novecento l’idea ontologica dell’eroismo americano è, in gran parte, assorbita dalla figura carismatica del Presidente degli Stati Uniti. Retorica (Armageddon), coraggio (Independence Day), fede (Deep Impact), eroismo (Air Force One) e amore (Il Presidente - Una storia d’amore) sono le qualità che la Nazione intera vede incarnate nella leadership della propria guida suprema. La politica americana ha vinto e il nuovo popolo eletto, senza rivali e con un’economia che tira, tende a vedere il suo eroe nel proprio Commander in Chief.

Mediaticamente, l'America possiede (o crede di possedere) gli anticorpi per resistere a ogni attacco. E le minacce alla propria libertà sono, per l’appunto, spunti per film di fantascienza. Le locandine di Independence Day mostravano alcuni dei più famosi luoghi del potere americani distrutti sotto il fuoco nemico. Nel 2001 accadrà sul serio. La fantascienza diventa realtà, ma la politica reagisce facendo nuovi danni. La gente inizia ad avere paura e la fiducia di un’era decennale, iniziata dopo la caduta dell’Unione Sovietica, svanisce in pochi mesi. Ma soprattutto, il colpo di reni della Casa Bianca si rivela più un colpo di grazia che di teatro. Le scorribande militari di Bush Jr. svuotano anche la cassaforte a stelle e strisce, e la finanza sregolata del sistema bancario getta la Nazione in un nuovo ’29. Gli Usa scoprono di non essere una nave inaffondabile e che le poche scialuppe disponibili devono far rotta verso Paesi tutt’altro che amici. I cinesi, oggi, detengono una parte importante del debito pubblico americano: la patria del capitalismo si è garantita un’assicurazione grazie ai banchieri di una Nazione governata dai comunisti. “Vota Eisenhower!” esclama Indy ai perfidi sovietici nell'ultimo Indiana Jones. Ma inevitabilmente i nazisti erano molto più cattivi.

In Iron Man 3, il povero Comandante in Capo della Nazione illuminata viene goffamente appeso a un gancio e salvato da Tony Stark. Gli eroi cominciano a cambiare, e sono i Presidenti ad aver bisogno di una mano. Sempre che, ovviamente, non sia proprio la guida suprema il vero problema della Nazione. Nello stesso anno di Iron Man 3, Kevin Spacey in House of Cards ha iniziato la sua spregiudicata scalata alla Presidenza a colpi di intrighi, complotti e brutali omicidi. Nel nuovo millennio il Presidente degli Stati Uniti è stato spesso oggetto di un vero e proprio massacro mediatico: Oliver Stone ha impietosamente demolito le bassezze della presidenza Bush, dando al controverso Presidente il colpo di grazia di una raffica di badilate hollywoodiane iniziata 4 anni prima da Michael Moore con Farenheit 9/11. Al di là della controversa era Bush, il Presidente come istituzione non se la passa più molto bene, e per vederlo in una luce positiva occorrono biopic come il calligrafico Lincoln spielberghiano. Forse, c'è di nuovo bisogno di eroi americani che anziché essere missionari prepotenti suppliscano alla carenza di una classe dirigente miope, corrotta o semplicemente inefficace.

Il nuovo Cap tra ottimismo e disincanto

I Marvel Studios sono nati con una mission che ingloba le due componenti tipiche del cinema hollywoodiano: arte e industria. Lo studio, che oggi è parte della galassia disneyana, punta a due obiettivi precisi: esprimere al meglio il potenziale cinematografico dei fumetti Marvel e, contemporaneamente, battere cassa. Tanta cassa. Che stiano riuscendo o meno a rendere giustizia ai personaggi della casa delle idee, è indubbio che il box office stia dando loro ragione (e prodotti) da vendere. Piaccia o no, una multinazionale dell’intrattenimento che sceglie di competere oltre i confini del proprio Paese è chiamata a studiare attentamente i mercati nei quali il suo prodotto punta a sfondare. Tuttavia, sulle scrivanie di Bob Iger e Kevin Feige c’è anche una sfida ulteriore: Cap non deve piacere solamente ai nuovi mercati (asiatici in testa) ma anche a un’America profondamente cambiata sia rispetto al secondo dopoguerra che agli anni ’80 e ’90. Rogers non può più permettersi di avere solo nemici statici, identificabili con un nome e un indirizzo, proprio perché anche i nemici degli States non hanno più un codice di avviamento postale. Se i nazisti sono, ancora una volta, i cattivi che sdoganano le nuove avventure cinematografiche di Rogers, è poi opportuno complicare le cose portando Cap a scontrarsi con chi gli è molto più vicino. Tra adattamenti dei fumetti, licenze poetiche e scelte creative nuove, l’idea del nuovo mondo di Capitan America è che il nostro nemico è innanzitutto chi vuole cambiare una parte di noi stessi. Gli eventi che stanno sconvolgendo la nostra attualità, oltre a generare paura e confusione, tendono a metterci gli uni contro gli altri. Da un lato, c’è chi sostiene l’adozione di misure drastiche come unica risposta a situazioni estreme. Dall’altro, c’è chi ritiene che limitare le nostre libertà sia proprio l’obiettivo di chi ci minaccia. E’ questa la vera civil war del nostro tempo. E presto, anche i Vendicatori non saranno più così uniti.

Inoltre, il pubblico di Cap è fatto sia da chi è cresciuto con il personaggio (e con le sue svariate evoluzioni fumettistiche) che da chi ne è rimasto conquistato da poco. Anagraficamente, i primi hanno visto il mondo cambiare mentre i secondi non hanno condotto vite molto diverse da quelle di una buona parte dei loro coetanei di altri Paesi. L’aspetto più interessante della cultura dei supereroi è che coinvolge le masse in maniera trasversale e transnazionale. Da Singapore alla Malesia, dal Giappone alla Norvegia, dal Sudafrica fino al Brasile, l’Iron Man di Robert Downey Jr. è un’icona di tutti e di nessuno: la sua immensa popolarità deriva dalla forte carica “aspirational” che il personaggio è in grado di suscitare, anche in culture diverse. “Cosa sei senza armatura?” gli chiede provocatoriamente Cap in The Avengers, “Un genio, miliardario, playboy, filantropo” risponde Stark. Da un emisfero all'altro, tutti abbiamo riso. Chiaramente, Stark è continuamente chiamato ad uscire dal proprio materialismo più becero per scoprire che oltre al denaro, alle attrezzature e al successo deve fare affidamento sulla propria sensibilità. E Cap? Il ragazzone d’altri tempi dotato di eccezionale forza e prestanza fisica si ritrova a scoprire un mondo più complesso della dicotomia buoni/cattivi. Viene da un mondo che non c’è più, ma non ha sperimentato l’evoluzione e la gradualità del cambiamento: si è ritrovato a subirle di colpo. Eppure, non rinuncia alle sue piccole grandi soddisfazioni: "Linguaggio!" esclama di continuo durante una pericolosa missione in Avengers: Age of Ultron, bacchettando chiunque dica qualcosa di scurrile. E’ un eroe che nasce ottimista e cresce disincantato, a differenza di Stark che nasce e prospera nello spregiudicato mondo degli affari e che trasforma un incidente in un’opportunità.

#TeamCap

Lo scudo di Capitan America è stato per decenni uno dei simulacri di un popolo che ha vissuto per oltre mezzo secolo con l’idea della propria impermeabilità a un terrore che infestava le aree più calde del pianeta. Nei fumetti, Cap ha attraversato molte epoche e stagioni della politica estera Usa, sempre nel segno dell'eccezionalismo americano votato a ristabilire l'ordine sotto l'egida della propria bandiera. Da Supereroe come allegoria di una superpotenza, Cap è sopravvissuto nel tempo come tedoforo dei valori della liberaldemocrazia a stelle e strisce. Tuttavia, da oltre quindici anni, l’America sperimenta una rinnovata vulnerabilità che si scontra con le sue convinzioni più profonde. E al cinema, l'inquietudine di un Paese che non ostenta il proprio ego con la sicurezza di un tempo, si nota. E’ dura, in un’epoca di costanti minacce, bilanciare le libertà individuali con la certezza di dormire sonni tranquilli. La terra delle opportunità è ancora disposta a celebrare il proprio culto del libero cittadino? O forse si è abituata a barattare parte della propria libertà con la tanto agognata sicurezza? Gli scandali della NSA, la diatriba tra Apple e il Governo Federale sui dati sensibili e l'interminabile battaglia per limitare la diffusione delle armi da fuoco sono solo alcuni dei segnali di una civil war che scuote dal profondo gli ideali dei padri fondatori. Nell’universo made in Usa, il diritto a possedere un’arma è ancora un pilastro ideale della Nazione. Sulla carta (costituzionale), l’americano non è disposto a consegnare allo Stato il monopolio della violenza. Una parte importante degli statunitensi rivendica, tra le sue libertà individuali, la facoltà di difendersi in proprio. Qual è il ruolo di Capitan America in una società sempre più liquida, che oscilla tra la pretesa di restare terra di libertà e l’ansia di proteggere la propria gente?

Originariamente, con il suo scudo stellato, Cap non proteggeva solo gli Usa ma si faceva portatore dello stesso spirito protettivo verso i più sfortunati del mondo, pronto a proiettare i valori americani su tutti coloro che disgraziatamente ne erano sprovvisti. In origine, Rogers era simile a un esportatore di democrazia: una dicitura che non ha avuto i risvolti più felici nel corso del nuovo millennio. Oggi, (ri)portare al cinema l’emblema dell’eroe nazionale con l’esigenza di battere cassa su scala globale comporta sfide di scrittura, produzione e promozione. Tra le complicazioni più ardue c’è quella di trasformare in un cosmopolita disilluso un supereroe che ha nel proprio nome quello di un’intera Nazione. E Rogers, al cinema, è anche una creatura molto costosa, che non può più permettersi di piacere solo in patria.

Captain America: Civil War farà il suo ingresso nelle sale a maggio. Debutterà in un mondo che si pone domande scomode e che è a caccia di risposte dagli esiti incerti. Cap compie 75 anni, e forse la sua Civil War è anche un po' la nostra.

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