Aspettando Batman v Superman: come è cambiato il mondo del Cavaliere Oscuro

Nell’attesa di Batman v Superman: Dawn of Justice, scopriamo insieme come è cambiato l’universo narrativo del Cavaliere Oscuro

Redattore su BadTaste.it e BadTv.it.


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Il cinema ha celebrato Batman con idee, ambizioni e cifre stilistiche molto diverse. Dopo essere apparso sul grande schermo nel 1966, come spin-off dell’omonima serie tv con le mirabolanti scazzottate che generavano fumetti animati, Batman irrompe nuovamente al cinema nel 1989. E' solo l’inizio di un lungo cammino che, tra mille ostacoli e peripezie, ci ha portati qui e ora.

Batman 1966

 Le varie cosmogonie cinematografiche del giustiziere mascherato hanno esplorato un diluvio di immagini e contenuti spaziando dal noir al gotico, dall’action movie al thriller. Tra alti e bassi, le vicende dell’uomo pipistrello hanno regalato al pubblico voli pindarici dell’immaginazione e più di una riflessione sul rapporto tra follia e giustizia. Vediamo quali sono stati, in quasi 30 anni, gli aspetti più interessanti delle avventure del cavaliere oscuro.

La città è l’involucro della psicosi collettiva: Batman e Batman – Il Ritorno

Il primo tratto distintivo della Gotham di Batman del 1989 è il maltempo. La città è un luogo oscuro, che da buona metropoli crepuscolare mostra un’ordinaria vita diurna sotto le intemperie. Ricoperta da un’uggiosa coltre di foschia, la giungla dei suoi grattacieli si staglia tra guglie e soluzioni architettoniche che ne fanno un'inquietante cattedrale del crimine. Come la Derry di Stephen King, anche Gotham è un vero e proprio personaggio. Se la città kinghiana è una sonnolenta creatura malevola, la burtoniana Gotham è il teatro di una psicosi collettiva in grado tanto di soccombere alla malavita quanto di affidarsi a un vendicatore mascherato. I suoi abitanti camminano spesso a testa bassa e ombrello chino, tra lo strombazzare dei clacson e le sirene della polizia di sottofondo. Le sue caotiche strade sono spesso dei non-luoghi, più simili ai ventricoli di un limbo che ai crocevia di una metropoli. Gangster, uomini di potere e affaristi senza scrupoli la osservano dall’alto: sia Jack Napier in Batman che Max Schreck in Batman - Il Ritorno scrutavano il brulicare della gente dai piani alti dei grattacieli: loro erano arrivati in alto con la violenza, gli altri ne avevano subito le angherie con omertà: “La gente perbene non dovrebbe stare qui” asseriva sommessamente Napier guardando in tv le sfuriate legalitarie di Harvey Dent.

Gotham City Batman 1989

Nella Gotham di Batman - Il Ritorno c’è poi un salto stilistico forte: anziché piovere, nevica. E’ Natale, e il primo cambio di rotta di Burton è nel proporre un sequel dai toni molto più oscuri, passando dai contrasti cromatici del noir a colori freddi come la neve. Se Batman era incentrato sul duello tra un folle e un giustiziere, Batman – Il Ritorno è il racconto gotico di un emarginato e del suo disperato bisogno di accettazione. Il perfido Pinguino è un po’ la degenerazione in chiave vendicativa del Joseph Merrick di The Elephant Man. Anche lo sfortunato protagonista del film di Lynch era oggetto dell’attenzione morbosa della gente: all’occorrenza destava odio o solidarietà a seconda degli umori di un’umanità tanto curiosa quanto crudele. La stessa schizofrenia ricorre tra i cittadini di Gotham, costantemente in balia del circo mediatico della stampa. Era proprio Joker a lamentarsi dell’ipersensibilità della gente al gossip e al fascino patinato delle copertine: “C’è qualcuno che sa dirmi in che razza di mondo stiamo vivendo, dove un uomo si traveste da pipistrello e si frega tutta la mia stampa? Questa città ha bisogno di un clistere!”

Batman 1989 Joker

Forse, l’unico vero cattivo vecchio stampo di Batman – Il Ritorno è il Max Schreck di Christopher Walken: è il solo antagonista accecato semplicemente da avidità e cupidigia, senza trascorsi traumatici che ne spieghino in chiave psicotica i piani malvagi. Mentre Jack Napier di Batman era un ex sgherro che si appropriava di una fabbrica di prodotti chimici, Max Schreck di Batman – Il Ritorno era un bieco capitano d’industria con l’amministrazione cittadina sul proprio libro paga. Ma entrambi erano figli di Gotham e della sua legge della giungla, dove emergere con successo significa prevaricare con la forza.

Puoi chiamarmi Joker

L’aspetto più subdolo del primo nemico di Batman è anche il più evidente: la sua indole mitomane. Il Joker di Jack Nicholson cerca di accattivarsi le simpatie dei cittadini lanciando per le strade 20 milioni in contanti. E’ un nemico più iconico che allegorico: più che lanciare un messaggio potente, vuole lasciare un segno e guadagnarsi l’attenzione delle sue vittime per poi poterle colpire. Burton monta il suo film in maniera scientifica: prima contrappone la vanità di Napier alla riservatezza di Wayne, poi la follia di Joker alla giustizia di Batman. Il montaggio del primo appuntamento tra Bruce Wayne e Vicki Vale si incrocia con la celebre sequenza che vede Jack Napier scoprire il proprio nuovo mostruoso aspetto ed esplodere in una risata isterica. In quelle risa muore l’ultima parte di uno sgherro tradito dal proprio boss. Mentre Bruce Wayne sembra avere tutto, dall’altra parte della città nasce un uomo nuovo, Joker, pronto a scalare il potere proprio perché non ha più niente da perdere. “Jack è morto, amico caro, puoi chiamarmi Joker. E come vedi sono euforico” esclama il redivivo villain prima di sparare al suo vecchio mentore. E il nuovo diavolo di Gotham proietta il proprio ghigno malefico su una popolazione di reietti, schiavi del consumismo e delle apparenze. Sono proprio i cosmetici il veicolo principale attraverso cui Joker stampa un letale sorriso sui volti delle sue vittime. Nel (corto)circuito edonistico-mediatico della città, contaminare i prodotti dermatologici è il metodo più rapido per mettere in atto una carneficina. E se Joker è l’esasperazione della vanità di Jack Napier, è opportuno che i malcapitati abitanti di Gotham cadano omaggiando il loro carnefice: tramite il gas Smilex, gli intossicati muoiono dopo scroscianti e letali risate.

Batman 1989 Joker Smilex

Il paradosso è che, facendo della propria risata diabolica un marchio di fabbrica, il Joker di Jack Nicholson è forse il villain che si prende più sul serio. Le sue battute celebrano sempre il proprio ego, e sono più efficaci quando il suo piano diabolico raggiunge un livello più alto: “Prima eri una tigre di carta e ora sei carta carbone!” esclama dopo aver letteralmente carbonizzato il boss Antoine Rotelli. Tutto, nel variopinto vocabolario del genio del crimine, è proiettato su di sé e sulla propria capacità di prevalere sugli altri. E quando una terrorizzata Vicki Vale gli chiede “Sta scherzando?” la risposta è emblematica: “Ho l’aria di uno che scherza?”.

Il Quasimodo oscuro di Danny DeVito e il protagonismo di Tim Burton

Nel diritto romano, la locuzione latina “monstrum vel prodigium” indicava un neonato tanto deforme da avere sembianze più simili agli animali che agli uomini. Giulio Paolo sosteneva che non potessero essere considerati figli coloro che nascevano con sembianze diverse da quelle umane. Ai fini del diritto, il monstrum era da considerarsi come mai nato e, pertanto, privo di capacità giuridica. “Un bambino? Un mostro!” esclamava ne Il Gobbo di Notre Dame lo spietato Frollo, cercando di gettare il piccolo Quasimodo in un pozzo. E a Gotham, è più o meno lo stesso pensiero dei coniugi Cobblepot, che sconvolti dall’arrivo di un neonato deforme decidono di gettarlo in una fognatura, comportandosi proprio come se il monstrum non fosse mai nato. La sequenza dell’abbandono ricorda quasi un sacrificio umano: l’imboccatura della cloaca di Gotham sembra la grotta di un titano al quale dare in pasto una vittima sacrificale. Ma la culla del piccolo e sfortunato Cobblepot viaggia in un labirinto dantesco di fognature, in fondo al quale si cela la luce di una nuova vita.

Batman Il Ritorno fognature

Volente o nolente, Batman – Il Ritorno rovescia il mito di Mosè nella tragica vicenda del Pinguino: il primo viene abbandonato affinché possa sopravvivere, il secondo affinché sparisca per sempre. Il primo viene salvato dalle acque del Nilo, il secondo dai liquami della cloaca di Gotham. Se il ritorno di Mosè aveva una missione salvifica (il salvataggio di un popolo di schiavi), quello del Pinguino ha una deriva omicida (la vendetta contro un popolo di reietti). E se Mosè sfuggiva alla strage degli innocenti ordinata dal Faraone, il Pinguino ordinava di uccidere proprio i piccoli figli di Gotham.

Batman Il Ritorno pinguini

Da subito, in entrambi i film di Burton, la mitizzazione del prodigioso monstrum (che sia buono o cattivo) occupa le prime battute del film: all’inizio di Batman, due criminali di bassa lega parlano di un fantomatico uomo pipistrello, mentre in Batman – Il Ritorno gli strilloni delle testate scandalistiche gridano all’avvistamento del fantomatico uomo-pinguino delle fogne: “Il mostro vive sotto di noi?” titolano i giornali di Gotham, mentre il diretto interessato osserva il tutto dai canali di scolo. “E’ il momento per me di ascendere, di riemergere!” esclamerà il Pinguino, rivendicando un posto nel mondo e sognando il proprio riscatto sociale. Divenuto adulto, il Pinguino è cresciuto in silenzio come un Quasimodo oscuro e malvagio, relegato in una cattedrale fognaria sognando un mondo che è andato avanti senza di lui. Per risorgere e integrarsi tra gli uomini, sa che deve garantirsi un salvacondotto con il giusto appoggio. Ha osservato Gotham non “da fuori” ma “da sotto”, studiandone dinamiche e disvalori. Una volta catturato l’industriale Max Schreck, lo ricatterà minacciando di svelare le sostanze cancerogene scaricate dalle sue aziende nel suo mondo sotterraneo: “Ricorda Max, tu scarichi, io riciclo”. E viene fuori un baratto d’altri tempi: compiacente silenzio in cambio di un po’ di ingegneria gestionale. “Tu ed io, Max abbiamo qualcosa in comune: siamo entrambi considerati mostri. Ma in qualche modo, tu sei un mostro più che rispettato. Io, fino ad oggi, no”. Il Pinguino non vuole tornare in superficie solo per non essere più considerato un mostro, ma anche perché ha capito che a Gotham c’è uno spazio di potere per i mostri in doppiopetto. Ecco perché i suoi miseri stracci lasciano il posto a un abbigliamento dandy: a Gotham i veri mostri non indossano una camicia di forza.

Batman Il Ritorno Pinguino

Rinominatosi Oswald Cobblepot, resterà scottato dalla sua esperienza cittadina: Batman scoprirà che il suo desiderio di accettazione è una copertura della sua sete di vendetta. E la sua voglia di essere considerato un uomo avrà vita molto breve. Se il deforme Joseph Merrick di David Lynch urlava “Sono un essere umano!”, l’Oswald Cobblepot di Burton finiva con l’esclamare “Il mio nome non è Oswald, il mio nome è Pinguino! Non sono un uomo, sono un animale a sangue freddo!”. Oswald tornava ciò che era sempre stato, in mezzo a coloro che lo avevano accolto e accudito quando era stato scartato come un malriuscito avanzo di fabbrica. Ed erano proprio i pinguini a tornare in campo quando il loro amico, sconfitto per sempre, collassava al suolo. Come in un dramma teatrale, ne accompagnavano dolcemente il cadavere nelle acque della cloaca, restituendo alle fogne di Gotham la sfortunata creatura che aveva cercato di ritagliarsi un posto nel mondo.

I cartoni in live-action di Schumacher e la tabula rasa di Nolan

Il Batman di Joel Schumacher diventa, di fatto, il protagonista di un cartone animato trasposto in due improbabili live-action. “Ricordatevi, questo è un cartone” amava ripetere il regista sul set di Batman & Robin. Ma a metà degli anni ’90 anche la stessa animazione aveva un pubblico meno trasversale rispetto a oggi. Nei due film che seguono i titoli di Burton, i nemici di Gotham divengono macchiette lontane anche dal carisma e dal fascino di molti villain dei cartoni. Batman Forever riazzera l’estetica di Burton rimpiazzandola con un mondo più colorato, patinato e appariscente. Il regista vuole che tutto sia, in ordine di importanza, spettacolare e divertente. Nella saga irrompono colori sgargianti, improbabili calzamaglie e cattivi che terminano la frase ridendo da soli. Scene e costumi non fanno che ricordare allo spettatore la natura psichedelica e allucinogena della nuova Gotham, nella quale gli ambienti lussuosi sembrano i saloni del jet set di una sfilata di moda e i bassifondi hanno una nuova e fosforescente veste punk.

Due Facce e l'Enigmista Batman Forever

Batman Forever ha successo, ma è il disastro di Batman & Robin a mettere la parola fine al franchise. Il film con protagonista George Clooney non solo segna una battuta d’arresto della saga, ma diviene un capitolo così irreparabile da rendere necessaria un’operazione nuova e diversa. Otto anni dopo, Batman Begins azzera tutti i suoi predecessori: nel 2005 Christopher Nolan piomba sulla scena con un film che non propone solamente un’estetica nuova, ma una cosmogonia differente. E soprattutto, il nuovo Batman vede una rinnovata attenzione verso Bruce Wayne, a volte anche a scapito del suo alter ego mascherato. Il ricco Wayne viene riproposto come un guerriero che si è isolato dal mondo, confinandosi nei luoghi più impervi e pericolosi del globo. Il suo è un addestramento lungo e complesso, lontano anni luce dalla vita comoda dei Bruce Wayne del passato. Un grosso salto, rispetto agli oltre 15 anni precedenti. Il Bruce Wayne di Burton, e in parte anche quello di Batman Forever, era un magnate d'altri tempi, lontano dall'indole smaccatamente manageriale proposta da Nolan. Alla fine degli anni '80 e all'inizio dei '90, la prima prerogativa del miliardario d’ordinanza era un accesso privilegiato a risorse costose. Il tycoon, di fatto, era un benestante su larga scala. I paperoni erano, prima di tutto, dei privilegiati con il vizio di accumulare oggetti di sempre maggior pregio a tutela del proprio status symbol. “I ricchi, sai perché sono strani? Perché possono permetterselo” confidava Alexander Knox alla bella Vicki Vale nel Batman dell’89. Ed era proprio la bella fotografa interpretata da Kim Basinger l’unica donna capace di comprendere Bruce: osservando lo sfarzo della sua residenza esclamava istintivamente “Questa casa e tutte queste cose non sembrano somigliarle affatto”. Nolan, invece, sposta tutto dall'apparenza all'azione: "Non è tanto chi sei ma quello che fai che ti qualifica" svelava a Bruce la Rachel Dawes di Katie Holmes.

Da giustiziere mascherato a soldato solitario: la militarizzazione di Batman

I film di Christopher Nolan escono in un arco temporale di 7 anni, ricchissimo di cambiamenti strutturali e intriso di una (ulteriore) informatizzazione dell’occidente che non risparmia nessun ambito: servizi, finanza, guerra, intrattenimento. Il mondo del 2005 e quello del 2012 sembrano intervallati da un secolo breve. La trilogia di Nolan inizia agli albori della diffusione dei social e termina dopo la più grave crisi economica del dopoguerra. In mezzo, ci sono gli insuccessi militari degli States, l’elezione di Obama, la diffusione degli smartphone, la fine della privacy, le nuove minacce del terrorismo internazionale e la strategia della tensione permanente. Il vertice superiore della trilogia di Nolan, Il Cavaliere Oscuro, fa dell’anarchia la prima problematica di una società tecnologica. “Guarda cosa ho fatto a questa città con qualche bidone di benzina e un paio di pallottole!” esclamava il Joker di Heath Ledger, smontando con una battuta la fiducia di un’intera epoca. E nel terzo capitolo fa la sua comparsa il software “smacchiatore”, in grado di cancellare le tracce digitali scomode dei potenti. L’approccio al combattimento di Batman si adegua al concetto di guerra asimmetrica: non puoi combattere con le tue stesse categorie un nemico diverso da te. Batman, di fatto, diventa la vittima sacrificale di una società che si abbassa ai livelli più infimi di chi la minaccia dall’interno. Non è l’eroe che Gotham si merita ma diventa “quello di cui ha bisogno”. Ne Il Cavaliere Oscuro, la scelta suprema del protettore di Gotham è di non morire da eroe ma di vivere abbastanza a lungo da diventare il cattivo. Per non far crollare le colonne portanti del sistema, Batman sperimenta il lato più oscuro del potere: la menzogna. E le nostre città divengono teatri di guerra, accorciando le distanze, anche psicologiche, dalle sfortunate scorribande militari nei luoghi più remoti del globo. La guerra, oramai, si combatte a casa nostra e non più per procura. Non è un caso che Batman si muova su un veicolo provvisto di tecnologia stealth, dal look che mescola i tratti tipici del tank, la forma del carro armato e il design del Lockheed F-117 Nighthawk della United States Air Force.

Batmobile Batman Begins

Alla Wayne Enterprises viene dato un look molto più executive e freddo di quanto mostrato nei giocattoloni di Schumacher. Non è più un laboratorio di idee con qualche scienziato pazzo di troppo, ma una multinazionale dagli interessi intrecciati tra difesa, alta finanza e avveniristica progettazione militare. Bruce Wayne sproloquia di fondi fiduciari, bilanci societari e rischi di derive speculative su titoli. Il pubblico lo sta a sentire senza capirci granché perché Jonathan e Christopher Nolan fanno una scelta precisa: fare di Bruce Wayne un manager di grido e di Batman un soldato solitario. Puntando tutto sulla genialità aritmetico-investigativa del personaggio, regista e sceneggiatore stravolgono (e secondo alcuni sviliscono) ciò che Bruce Wayne dovrebbe essere: un uomo di grande cultura. Il nuovo Wayne deve combattere tanto in strada che nelle salette degli spregiudicati Consigli di Amministrazione del suo stesso gruppo. Il famoso reparto Ricerca e Sviluppo, dove l’istrionico Edward Nigma di Batman Forever partoriva la sua macchina per il lavaggio del cervello, lascia il posto a gigantesche officine sotterranee, pronte a ospitare i prototipi e le materie prime della megaditta del tycoon.

Christian Bale Bruce Wayne

Abbiamo mai visto, veramente, Batman?

Come si confeziona un cinefumetto? Una riposta precisa e univoca non c’è ed è meglio diffidare di chi millanta di averne una. Qualunque sia il vostro Batman preferito, appartiene a voi come pubblico, nel rispetto della vostra personale visione dell’uomo, dell’eroe e del mito. Tuttavia, a livello di metodo, una buona base di partenza è quasi sempre prendere un fumetto e cercare di estrapolarne gli elementi ad alto potenziale cinematografico: atmosfera, caratterizzazione e azione. Ripercorrendo i Batman dell’ultimo trentennio, quando e quanto è stato fatto? La risposta potrebbe non essere così scontata. Nel 1989, Batman è stato un incontro felicissimo di rigore artistico e volontà produttiva: Burton era lanciato senza essere ancora una celebrità e la produzione ha saputo rischiare faccia e budget in tempi nei quali non era scontato che il personaggio si vendesse da solo. Da un lato c’erano produttori ben disposti, dall’altro un regista che si giocava tutto. Ha funzionato perché nessuno poteva permettersi di strafare. E' questo che rende il Batman del 1989 i tentativo più onesto e genuino di portare il personaggio e il suo mondo sul grande schermo. Batman – Il Ritorno, invece, spariglia nuovamente le carte.  Il cambio di stile è figlio di un Burton che è diventato celebre e che non vede l’ora di dare sfogo alle idee che ha sempre avuto in mente. Dopo l’enorme successo di Batman, è un regista talmente corteggiato che capisce di avere un potere contrattuale più alto. Di fatto, Burton non ha semplicemente imposto una cifra stilistica personale al suo secondo Batman, ma se ne è appropriato completamente. Tutto, in Batman – Il Ritorno, è funzionale a mettere in campo le invenzioni gotiche del suo regista. E’ Tim Burton, non Batman, il protagonista del film. Quantomeno, è una scelta creativa evidente fin da subito: il prologo e i lunghi titoli di testa preparano lo spettatore al tono del film, avvisandolo che ciò che vedrà non è soltanto il sequel di Batman, ma anche una proiezione diretta delle ossessioni del suo regista.

Michelle Pfeiffer Catwoman Batman Il Ritorno

Si potrebbe obiettare che, in qualche modo, anche Schumacher e Nolan si siano comportati in maniera abbastanza analoga. Ma i due hanno preso le redini di Batman con modalità, obiettivi e risultati differenti. Schumacher è stato letteralmente bersagliato di critiche per aver confezionato due giocattoloni chiassosi e di cattivo gusto, con un picco demenziale in Batman & Robin, vero e proprio trionfo del trash. Eppure, Batman Forever è leggermente diverso da Batman & Robin: è enormemente più chiassoso e pacchiano rispetto ai precedenti, ma si percepisce ancora la vaga presenza di un autore che vi suggerisce delle scelte stilistiche tanto discutibili quanto mirate. La spettacolarità è sovrana e calpesta completamente lo script: se un’inquadratura è suggestiva, poco importa a cosa serva, finché la giostra è accesa e il jukebox suona. E’ invece in Batman & Robin che il regista è totalmente assente, e appare più che evidente il controllo del film da parte delle case di giocattoli, intenzionate a venderne il merchandise. Schumacher, che ha sbagliato e ucciso il franchise, ha candidamente ammesso di aver avuto (e accettato) un mandato ben preciso: essere il lobbista creativo dei giocattolai. Tuttavia, cosa non da poco, si è scusato con i fan. E negli States, due sono i luoghi dove è cosa molto rara sentire “Mi dispiace”: Hollywood e la Casa Bianca.

Nolan, invece, ha furbescamente usato la padronanza del mezzo cinematografico per fare un salto di quantità, prima ancora che di qualità: dopo Batman Begins, ha utilizzando il personaggio e il marchio “Batman” per realizzare dei thriller che gli consentissero di raggiungere un pubblico più vasto. Di fatto, ha contestualizzato Batman al presente, che oggi è già passato, cavalcando la popolarità del franchise per fare il proprio e personalissimo discorso sul potere e sul controllo (di Gotham e, per estensione, del mondo). Ancora una volta, Batman è diventato la scusa o per mostrare qualcosa di molto personale (Burton), o per parlare di qualcosa di contingente e attuale (Nolan). Ma l’attualità di Batman è intrinseca, non c’è bisogno di ricrearla. Il fascino senza tempo del personaggio è proprio nel tormento di un uomo paradossale su tutta la linea, che anziché fare la bella vita si dà alla caccia al folle di turno. Con Batman Begins, Nolan è stato più sincero che con Il Cavaliere Oscuro e Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno: dopo aver sdoganato il reboot come approccio produttivo, ha capito di aver usato bene l'occasione di smettere di essere visto da un pubblico di nicchia. Scelta sua, che numericamente ha anche funzionato. Tuttavia, rimane il dubbio che Batman sia stato nuovamente sfruttato, un po’ come l’ennesimo Peter Pan del grande schermo: sempre raccontato in maniera “altra”. Nolan non si è fatto scrupolo di scomodare i trend topic del nostro tempo, dal terrorismo alla finanziarizzazione delle nostre economie. Lo ha fatto per catturare, non tanto su Batman ma su se stesso, un’attenzione enormemente più grande di quanto non gli fosse stata rivolta in passato. Dopo Batman Begins, il nome del supereroe sparisce dal titolo dei film successivi. Al mito, non è stato aggiunto molto. Prova ne è che, nonostante tre film di grande successo, dopo pochi anni siamo ancora tutti qui ad aspettare la nuova versione targata Snyder del giustiziere, in una nuova veste e in una cosmogonia differente.

Christopher Nolan Il Cavaliere Oscuro Il Ritorno

I numeri sono stati dalla parte di Nolan: Il Cavaliere Oscuro è il primo titolo con l’uomo pipistrello ad aver sfondato il tetto del miliardo di dollari. Ma della trilogia di Nolan restano, soprattutto, le ottime interpretazioni di un cast di classe. Christian Bale, Cillian Murphy, Heath Leadger, Tom Hardy, Morgan Freeman, Gary Oldman e Michael Caine hanno il merito di essere diventati i loro personaggi con un’immersione pressoché totale. Ma la regia non è solo direzione di attori, è anche metalinguaggio. Nolan ha optato per una narrazione ermetica che ha stupito il pubblico, ma che in parte lo ha anche diviso. I mostri di Nolan sono comuni mortali votati a dimostrare qualcosa: il potere della mente sul corpo (Crane), la democraticità del caos (Joker), la distruzione rigeneratrice della rivoluzione (Bane). Una ritrovata ordinarietà che è evidente anche nella loro fisicità. Joker è un cane sciolto sbucato dal nulla, che si trucca la faccia per mascherare delle cicatrici. Lo Spaventapasseri è uno psichiatra che indossa un vecchio sacco di iuta per intimidire i suoi pazienti disturbati. Bane è un criminale ferito al volto, costretto a portare una maschera per respirare. La stessa Selina Kyle di Anne Hathaway non viene mai chiamata Catwoman: è una ladra alla quale la stampa ha affibbiato un nomignolo per vendere qualche copia in più. Nella Selina Kyle di Michelle Pfeiffer  l’identificazione felina era invece molto forte. Nel film di Burton del '92 un gatto stilizzato appariva fin da subito in cima al grattacielo della Schreck, e Max minacciava la sua impacciata segretaria chiedendole “Sa cosa combinò la curiosità al gatto?”. Ed era proprio una batteria di gatti, finalmente, a riportare Selina nel mondo dei vivi dopo che la povera assistente era stata defenestrata.

Catwoman Batman Il Ritorno

Nolan, invece, si imbarca in una velleità ulteriore: non mostrare la transizione del villain. Il Joker di Heath Ledger è Joker dalla prima scena, così come Bane e il Dottor Crane. La loro personalità non cambia radicalmente a seguito di un incidente, e il passato del personaggio non viene mostrato. Persino in Batman & Robin si vedeva l’infelice e poco credibile trasformazione dello sfortunato ex galeotto in Bane (tristemente tradotto in “Flagello” nella versione italiana), senza chiaramente alcuna sfumatura psicologica. Del passato dei villain, a Nolan, non importa. Lo stesso Joker racconta in continuazione diverse versioni di come si è fatto le famose cicatrici: c’è da supporre che non ne sia vera nessuna. E mancano all’appello quelle scene spartiacque e di rottura nelle quali la vecchia identità del villain moriva per fare posto alla sua furia omicida. Il Joker di Jack Nicholson iniziava a ridere nel buio e la Selina di Michelle Pfeiffer distruggeva il suo appartamento. Anche Schumacher, che ha del tutto appiattito i personaggi relegandoli a macchiette, consentiva loro almeno un cambio di look o di divisa. Edward Nigma e Pamela Isley erano da subito due squilibrati, pronti persino a scegliere i propri suggestivi nomi “criminali”. Ma era lo stesso Nigma a farsi un costume e a chiamarsi l’Enigmista, come la Isley a apostrofarsi pubblicamente come Poison Ivy. Anche Nicholson e DeVito si davano i propri nomi (Joker e Oswald), ma dopo una transizione radicale che li rendeva diversi da tutto ciò che erano stati in precedenza. Nolan, inoltre, semplifica la personalità dei villain in maniera ermetica, ma propone la semplicità come ultimo stadio della complessità: il malvagio è imbattibile quando non ha regole e ti costringe a scendere al suo livello. E Batman, di punto in bianco, incontra la banalità del male: “Certe persone vogliono solo veder bruciare il mondo” svelava Alfred a Bruce Wayne.

Che succede ora

27 anni dopo Batman, e appena 4 dopo Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno, Zack Snyder ha un’occasione unica: riproporre il personaggio avendo a disposizione gli innumerevoli vantaggi dell’universo cinematografico. Se getta il sasso deve anche mostrare la mano, ma può permettersi di spargere vari semi che potranno essere coltivati in futuro. Dovrà mostrare di aver avuto l’intelligenza di mettersi a tavolino e concepire Batman come un personaggio a tutto tondo e non come un veicolo delle proprie ossessioni o vanità. Dovrà fare del cavaliere oscuro uno dei veri protagonisti della vicenda, senza fare di Batman v Superman: Dawn of Justice uno spot della propria regia. Spesso, l’eleganza di un regista è nella capacità di far dimenticare al pubblico di star guardando un suo film, ricordandoglielo opportunamente al momento giusto e con piccoli e gustosissimi dettagli mai casuali. La base del nuovo film dell’Universo Cinematografico DC Comics è quello dello scontro tra titani. E in mezzo, ancora una volta, ci siamo tutti noi. E non è questione di “chiunque vinca noi perdiamo”, ma di chi vincerà. E’ uno scontro tra due icone, non un incontro di wrestling alla Alien vs Predator. Tra qualche giorno, sapremo se Snyder ha azzeccato il film. Nel frattempo, teniamo d’occhio il cielo.

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