L’armata delle tenebre dopo trent’anni è ancora un manuale di grammatica

Compie trent’anni L’armata delle tenebre di Sam Raimi, il film che ha insegnato al mondo come si fa un certo tipo di horror

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L’armata delle tenebre debuttava trent'anni fa in anteprima mondiale al Sitges (in Italia uscì nel 1993). Parlarne mi richiede di scrivere in prima persona almeno questo primo paragrafo, e di prenderla un po’ alla larga. Quando il film di Sam Raimi uscì al cinema cominciò a diffondersi, tra i fan dei Metallica, un’idea che sarebbe poi diventata predominante quattro anni dopo, influenzando tra le altre cose la mia crescita musicale. L’idea era che dopo aver definito le regole di un genere e averlo perseguito con forza e senza compromessi per un decennio, la band avesse deciso di gettare la spugna e di passare a musica più facile e digeribile allo scopo di vendere – il c.d. Black Album fu lo spartiacque dopo il quale i Metallica diventarono “troppo commerciali”. Ovviamente, come sempre capita di fronte a posizioni forti ma tutto sommato ancora ragionevoli, nacquero anche gli estremismi: c’era chi diceva che il processo di svendita morale fosse cominciato già con il disco precedente che “non suonava abbastanza Metallica”, e c’era persino chi sosteneva che la band avesse cominciato a perdere la sua fibra morale già dal primo disco, quando aveva inserito, nel settimo pezzo del disco, un bridge pulito di chitarra.

“Come mai questa deviazione in territori musicali?” vi chiederete giustamente. È presto detto: il fandom di Sam Raimi coincide per una buona fetta con quello dei Metallica, ma se al primo fossero stati applicati gli stessi criteri usati per i secondi, L’armata delle tenebre sarebbe stato un flop, o più precisamente un tradimento delle origini – che si poteva già subodorare con La casa 2 e i suoi inserti comici/slapstick. Perché non importa da che angolo guardiate il quinto film di Sam Raimi, rimane comunque un’opera strana, assurda e soprattutto imprevedibile, almeno per chi lo vedeva come nuovo profeta dell’horror più violento, esasperato e senza compromessi.

L’armata delle tenebre è contemporaneamente più estremo e meno estremo dei due predecessori. Partiamo dal “meno”: La casa e La casa 2 sono film quasi interamente dedicati ai loro effetti speciali e alla messa in scena di una violenza parossistica e spesso oltre i limiti dell’assurdo. Il primo faceva paura, il secondo puntava anche sulla satira e sulla parodia ma senza mai risparmiarsi quando si trattava di far scorrere sangue a fiumi. L’armata delle tenebre ha meno tempo per dedicarsi esclusivamente a quello perché – e qui arriviamo anche al “più” – è un film sovrabbondante e nel quale succede di tutto, che passa con agilità dalla commedia pura all’autocitazione dei due precedenti, dalla slapstick al film in costume all’action alimentato a one-liner.

Il principale modello di riferimento, curiosamente, è Mark Twain, in particolare il suo Un americano alla corte di re Artù, cioè la storia di un uomo dei nostri tempi che viene rispedito nel passato e riesce a cavarsela grazie alla sua superiore conoscenza, legata non tanto a sue doti particolari ma al fatto che viene dal futuro (tipo Non ci resta che piangere ma con i Deadite). Ovviamente c’è un MacGuffin soprannaturale in continuità con i film precedenti – il Necronomicon Ex Mortis –, che permetterà all’eroe in questione di tornare nel suo tempo (forse). E a differenza del romanzo di Mark Twain c’è un esercito di non-morti e affini che si frappongono tra Ash Williams del reparto ferramenta di S-Mart e il suo obiettivo.

Questo setup insieme familiare e assurdo (soprattutto per chi vide il film al tempo e arrivava dai due capitoli di La casa) lascia tutto lo spazio d’azione del mondo ai due grandi protagonisti di L’armata delle tenebre. Il primo è ovviamente Sam Raimi, che qui dimostra una volta di più di essere un mago e uno dei registi più creativi della storia del cinema. Il film è stracolmo di idee, alcune già viste ma sempre efficaci (una su tutte la c.d. “soggettiva Raimi”, che qualcuno chiama Projectile Cam), altre nuove di zecca e favorite dal fatto che L’armata delle tenebre uscì cinque anni dopo La casa 2, con tutti i passi avanti che può fare la tecnologia in un lustro.

Alcuni effetti (la moltiplicazione degli Ash dallo specchio, la nascita per mitosi di Evil Ash) sembrano magie ancora oggi, e nonostante i trent’anni non hanno perso nulla del loro smalto – per quanto c’è da ammettere che qualcuno di questi è stato svilito dai passaggi in HD e ora in 4K, che non fanno nulla per nascondere certe magagne che la definizione dell’epoca mascherava alla perfezione. C’è più creatività, più idee assurde e brillanti in questa scena che in intere filmografie di registi blasonati:

E ovviamente, come la scena del pozzo illustra alla perfezione, c’è il secondo grande protagonista di L’armata delle tenebre che eleva il film al rango di capolavoro. Parliamo di Bruce “Se i menti potessero uccidere” Campbell, se chiedete a noi (a me) uno degli attori più sottovalutati dell’intera storia del cinema, uno che se non avesse la passione per il sangue e i B-movie e non fosse cresciuto con le cattive compagnie (tipo Raimi, appunto) sarebbe potuto diventare una star da Oscar, da red carpet, da grande Hollywood tutta patina e lustrini. O anche, in meno parole, Bruce Campbell aveva tutto quello che gli serviva per diventare un Jim Carrey: la mimica, un controllo sovrumano dei muscoli facciali, l’incredibile capacità di riempire un set da solo.

Non è un caso che alcune delle scene migliori di L’armata delle tenebre coinvolgano esclusivamente Ash Williams, che a un certo punto passa dieci minuti buoni a, di fatto, prendersi a schiaffi da solo e ribaltarsi in giro per la stanza. Pochissimi attori occupano il 110% dello spazio loro concesso con la nonchalance di Bruce Campbell, e ancora meno riescono a pronunciare con tanta convinzione, e insieme tanta ironia, che però non diventa mai sarcasmo, battute tipo “Gimme some sugar, baby” (a proposito della quale c’è da aggiungere il dettaglio che Bruce Campbell la odiava e non avrebbe voluto pronunciarla).

Facevamo all’inizio un parallelo tra i Metallica (peraltro una band che ha sempre avuto un legame strettissimo con l’horror) e L’armata delle tenebre. È curioso in questo senso andare a rileggere le recensioni del film datate 1992: il film venne ricevuto discretamente, ma la maggior parte della critica concordò che “non faceva paura come La casa” e che “alla fine non capisci se sia serio o una parodia”. Nessuna accusa a Raimi di essersi dato al cinema commerciale per incassare di più, ma comunque questa strisciante idea che, se solo provi a sgarrare dalla strada che tu stesso hai tracciato, c’è una folla di gente pronta ad accusarti di tradimento, o ancora peggio a dirti di “stare nel tuo”.

Sam Raimi nel suo non ci è mai stato, o meglio ha passato l’intera carriera a espandere i confini di quello che è considerato “suo”. E L’armata delle tenebre è un primo manifesto di questa sua voglia di esplorare e di non sedersi comodamente all’interno della sua comfort zone. Il fatto che sia da trent’anni che il resto del cinema horror pesca a piene mani dalle sue intuizioni e dalle sue soluzioni visive e anche narrative dimostra che Raimi aveva ragione – che ha sempre avuto ragione.

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