Arkane Studios, da Arx Fatalis a DEATHLOOP seguendo sempre lo stesso sentiero | Speciale

A vent’anni dalla fondazione, la storia di Arkane Studios parla di una software house che sa stupire, scommettendo sempre sulla stessa formula di gioco

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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La storia di Arkane Studios può essere facilmente divisa in due fasi distinte e quasi antitetiche tra loro. C’è un pre-Dishonored, era caratterizzata dall’inseguimento di un sogno e da una lunga trafila di fallimenti, ed un post, in cui gli sviluppatori hanno trasformato il desiderio d’emulazione nella realizzazione di una serie di titoli di successo proprio perché, all’apparenza, a loro modo originali ed unici.

La nascita dello studio, avvenuta nel 1999, va ricercato nel desiderio del suo fondatore, Raphael Colantonio, di creare un sequel di Ultima Underworld: The Stygian Abyss, gioco di ruolo pubblicato per la prima volta su sistemi MS-DOS nel 1992. Quella che divenne in breve un’autentica ossessione, dovette scontrarsi con diverse problematiche relative ai diritti del gioco, nonché con lo scetticismo di Electronic Arts, detentrice dell’IP, per nulla convinta dalla bontà del progetto.

La risposta alle reticenze del publisher americano, fu Arx Fatalis un titolo seminale in tutto e per tutto, nonché prima tappa di un tragitto che prosegue, tutt’oggi, sul medesimo sentiero, pur con una consapevolezza dei propri mezzi del tutta nuova.

Il gioco di ruolo, pubblicato nel 2002 su PC, è di fatto un Dishonored, un Pray, persino un DEATHLOOP, momentaneamente futura esclusiva per PlayStation 5, in nuce. Il titolo, nato effettivamente come sorta di sequel, di spin-off, di tributo alla già citata produzione di Blue Sky Productions, esibiva fieramente tutte le principali feature dei titoli avvenire di Arkane Studios.

Il contesto fantasy, tanto per cominciare, certamente più tradizionale rispetto a quello visto in Pray, più spiccatamente sci-fi, ma ugualmente centrale nell’economia dell’RPG, principale veicolo per attrarre il videogiocatore e trascinarlo in uno scenario virtuale coerente, credibile, quanto più immersivo possibile.

Esattamente come in Dishonored si respira un profondo pessimismo nel contesto narrativo che fa da sfondo all’avventura del protagonista. Laddove Dunwall era preda di un’epidemia, il mondo di Am Shaegar, protagonista dell’epopea, è fatto di cunicoli e città sotterranee, avamposti in cui si rintanano umani, goblin, nani e altre razze dopo che il sole è tramontato per sempre.

In termini ludici si trova, quasi intatta, la stessa voglia di creare un’esperienza estremamente interattiva, permissiva, varia. L’eroe possiede diversi poteri magici con cui eliminare i propri oppositori, ma l’approccio stealth è quello che si rivela più efficace in molteplici situazioni. A questo proposito, collabora naturalmente il level design. Non c’è la propensione alla verticalità di Dishonored, né le fasi di backtracking di Prey, eppure Arx Fatalis incentivava identicamente l’esplorazione, l’uso della materia grigia per scovare soluzioni originali ed efficienti per superare ogni ostacolo.

Per quanto macchinoso, persino lo stesso sistema di combattimento aspirava a quel senso di libertà e disinvoltura sfoderato da Corvo Attano, a suo agio sia nel corpo a corpo, che nell’utilizzo di potenti incantesimi. Il control scheme non permetteva ad Am Shaegar di sfoderare una paragonabile velocità d’esecuzione, soprattutto l’utilizzo della magia era tutt’altro che immediato ed intuitivo. Eppure, seppur in forme embrionali, concept e idee messe in campo da Arkane Studios nel suo più recente passato sono già tutte lì, in bella mostra nel gioco che ne ha segnato il debutto nell’industria videoludica.

Con DEATHLOOP, di cui sono ancora ignoti molti dettagli a dire il vero, la storia sembra ripetersi quasi identica. Molta attenzione all’art design, al contesto narrativo, prima ancora che alla storia vera e propria, un gameplay che punta molto su un ritmo tanto folgorante, quanto in realtà frutto di attente valutazioni.

Quella di Arkane Studios è la storia di una continua ricerca di qualcosa di già visto, già conosciuto, già amato. Nel desiderio di creare un nuovo Ultima Underworld, il team, dopo numerosi insuccessi e cancellazioni, ha saputo trovare la propria strada, non discostandosi mai troppo dall’opera di riferimento, ma riuscendo a tramutare la propria ambizione, ed ossessione, in una sorta di manifesto artistico. Un po’ come per altri studi di sviluppo, Quantic Dream o Naughty Dog per esempio, anche Arkane Studios si sta specializzando in produzione autoriali, se non di genere, in cui si ripresentano puntualmente certe feature, dove l’esperienza ruota attorno a cardini noti e ben definiti.

A rendere la software house tanto apprezzata dai fan, ad elevarne lo status agli occhi di videogiocatori e di addetti ai lavori, e la sua capacità di saper declinare la stessa formula in giochi di fatto unici, originali, sorprendenti. La magia di Arkane Studios è proprio questa e non vediamo l’ora di vederla nuovamente applicata in DEATHOLOOP.

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