Aquaman è (stato) il miglior film del DCEU
Poi sono arrivati The Suicide Squad e la rivoluzione di Gunn, ma fino a quel momento Aquaman era l’apice di un universo cinematografico zoppicante
Aquaman è arrivato su Prime Video (ed è disponibile anche su Netflix).
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È una storia tutto sommato semplice: il principe ereditario di Atlantide non vuole saperne di assumere il suo ruolo e preferisce nuotare libero e bere birra, fino a che succede qualcosa che lo obbliga a prendersi le sue responsabilità. Ma è raccontata con il respiro di chi ti sta dipingendo il ritratto di un’intera dinastia, di un mondo: Aquaman copre decenni di storia, sette regni diversi, una guerra acquatica di proporzioni ciclopiche. Sembra a tratti che voglia raccontare una trilogia in un film solo, con una magniloquenza che è raro trovare in quello che di fatto è uno spin-off/spiegone realizzato per arricchire e approfondire la saga principale.
Quasi 400 parole dopo l’inizio del pezzo arriva finalmente il momento di scrivere le due parole magiche che sono alla base di gran parte del successo di Aquaman: Jason Momoa. Aquaman è lui, e di conseguenza Aquaman è lui. È talmente prorompente, e il film talmente scritto intorno al fatto di avere a disposizione Jason Momoa, che invalida qualsiasi confronto con la sua controparte a fumetti: l’Aquaman del DCEU è quasi un personaggio nuovo, e Jason Momoa è lasciato libero di plasmarlo come gli pare. In un certo senso, Aquaman è il Thor del DCEU: considerata anche la quantità di ironia presente nel film, insolita per questo universo, non ci stupiremmo se un giorno uscisse un Aquaman: Ragnarok che vira fortissimo verso la comicità pura.
Aquaman non arriva ovviamente a quei livelli, non ci si avvicina neanche a dire la verità, ma è comunque rimasto per anni il film più vitale e anche tridimensionale del DCEU, un cineuniverso sul quale ogni opinione è legittima ma nel quale è impossibile non notare una certa tendenza a virare tutto al grigio, cromaticamente ma anche metaforicamente. È un film divertente ma non forzatamente: Jason Momoa è bravo, è bello ed è simpatico, e James Wan gli lascia la libertà di essere sé stesso – un bel balzo in avanti anche per lui, per anni intrappolato nell’archetipo Khal Drogo/Conan. È bello passare del tempo in sua compagnia, indipendentemente da quello che gli sta succedendo intorno: è un complimento enorme per un film di supereroi in quest’epoca nella quale la personalità è meno importante della tua collocazione all’interno di una narrazione più ampia.
Poi, certo, non tutto quello che succede intorno a Jason Momoa è alla sua altezza. Peggio: potrebbe essere il film di supereroi (Marvel inclusa) con il più clamoroso stacco qualitativo tra il protagonista e il resto del cast. Non che, per dire, Willem Dafoe o Nicole Kidman non siano gente di talento, anzi. È che nella fretta di raccontare una storia epica e tentacolare, Aquaman si dimentica di trattarli da personaggi, e loro stessi fanno poco per spiccare con lo scarso materiale a disposizione. Jason Momoa è quello che porta avanti il film con le sue azioni e le sue scelte; il resto del cast è composto da funzioni narrative, che passano più tempo a spiegarsi e a raccontare che cosa faranno a stretto giro che a farlo effettivamente.
(“E Amber Heard?” vi chiederete. Be’, è facile: nonostante abbia un personaggio sviluppato lievemente meglio degli altri, ha il problema che non è particolarmente brava a fare il suo mestiere, per cui la sua Mera si dimentica in fretta)
Aquaman ha però un vantaggio fondamentale che già nel 2018 lo elevava parecchie spanne sopra la concorrenza, e che ancora oggi lo rende una visione più che gradevole. È un vantaggio che sta proprio lì dove molti altri film di supereroi hanno il loro più clamoroso punto debole: sul finale. Nonostante un comparto di villain che oscillano tra l’anonimo e il dimenticabile, Aquaman ha una delle sequenze finali più spettacolari che il moderno cinema di supereroi ricordi, per messa in scena ma anche per l’idea stessa che ci sta dietro: una gigantesca battaglia sottomarina che coinvolge qualsiasi creatura pazza vi possa venire in mente, dai paguri giganti ai leviatani.
Certo, è una festa di CGI, che qui e là scricchiola anche. Ma è un’idea ambiziosa, larger than life come si dice nei Paesi anglofoni. È un’orgia subacquea approcciata con la stessa voglia di spaccare tutto di un Michael Bay in piena forma, una di quelle scene che vorresti mettere in pausa ogni dieci secondi per goderti tutte le migliaia di dettagli che ci sono stati infilati. È un finale spettacolare, spaccone, ma dotato di una sua bellezza, di un gusto per le coreografie che dimostra la presenza di un’idea estetica dietro: è un finale che cresce in intensità e bizzarrìa scena dopo scena, non si limita al semplice accumulo di stimoli ma li rinnova e li migliora costantemente. Ci sono tanti ottimi motivi per voler vedere un film in sala sullo schermo più grande possibile: vedere dei paguri giganti che si menano è uno di questi.
Più di tutto quanto, Aquaman è un film che ancora oggi si regge in piedi anche da solo. Certo, è il pezzo di un universo più ampio, ma non lo fa pesare: si potrebbe guardarlo per la prima volta senza sapere nulla del DCEU e goderselo comunque quanto basta. È un film fatto con l’idea di fare prima di tutto un film, insomma, e solo dopo un pezzo di mosaico. Al giorno d’oggi è merce rara.