Aquaman con Jason Momoa è diventato il primo cinecomic metallaro
Attingendo al vero look di Jason Momoa la Warner ha plasmato la versione per il cinema di Aquaman intorno all'etica metal
Quando iniziò con Baywatch, Jason Momoa era solo un ragazzo con capello alla moda, in Stargate Atlantis sembrava invece una versione più giovane di John Travolta in Battaglia per la Terra, aveva i dread e la barbetta (che non ha mai mollato), poi è arrivato Khal Drogo e lì ha cominciato a definire il proprio personaggio/persona.
Contemporaneamente all’apparizione in Il Trono di Spade è poi arrivato anche il remake di Conan il Barbaro e le scelte sembravano ormai fatte, anche perché il successo le aveva consolidate. Altissimo, grossissimo, barbuto, capelli lunghi come negli anni ‘80, catene, pantaloni di pelle, anfibi, tutto il corollario di tatuaggi e via dicendo.
Il metal delle Hawaii è così potente nel suo look che anche Aquaman è diventato come lui. Da che sarebbe biondo e con una faccia nobile nei fumetti, la versione per il cinema sceglie di puntare su Momoa come attore e come look. Hanno voluto lui e l’hanno voluto come è. Dolph Lundgren si è fatto barba e capelli rossi, Willem Dafoe si è tirato indietro i capelli in una crocchia come un samurai (o quasi), Amber Heard ha un parruccone rosso, Momoa invece è Momoa. L’attore è il suo look. Qualcosa che non si può dire per qualsiasi altro attore di primo piano che lavori nel mondo dei blockbuster. Per nessuno come lui sembra che l’estetica e il look personali siano così importanti da dover entrare nei film e modificare i personaggi.
L’idea sembra essere che Jason Momoa, nella vita reale, è frutto di un character design, cioè possiede dei tratti, delle fattezze, un abbigliamento e un modo di fare coerenti che paiono disegnati e concepiti a tavolino più che frutto di una vita. Come un wrestler degli anni ‘90 è curato nell’abbigliamento e nel trucco e parrucco per essere personaggio.
E un personaggio così ben “disegnato” e di successo è talmente oro per un cinefumetto che non è problema adattare tutto il film a lui e non viceversa.
Così Aquaman, tutto il film, è un’avventura metal, piena di mitologia fantasy (anche se si svolge sott’acqua), piena di viaggi, donne, risse e felicità nell’epica della battaglia e del contrasto. Solo la musica non è in tono.
Ovviamente è un’avventura sbruffona (di certo non una caratteristica esclusiva di questo film), sicuramente non pacifista ma improntata sul valore della forza.
Come anche il cinema cinese ama fare, molto del film ruota intorno alla conquista della vera forza. Il mezzo principale sarà un’arma bianca (come per l’appunto nelle grandi storie asiatiche, in cui la spada ha un ruolo quasi metafisico) ma sarà necessaria pure un’adeguata formazione dell’eroe che è tale più che altro sulla terraferma, mentre in acqua non è migliore di altri. Mezzosangue, quindi fuori dalla massa, diverso, unico, distinto, non somiglia a nessuno e non vuole farlo, l’Aquaman di Momoa ha una frivolezza e un disinteresse per il dovere che lo pongono all’opposto logico di Thor (eroe Marvel dai contrasti e dal mondo più o meno simile).
Là dove Thor è mitico, pieno di intrighi e missioni, denso di obblighi verso il suo regno, Aquaman deve solo tornare al pub e fare una vita semplice incentrata verso il piacere. Là dove Thor ha un fratello che è il suo opposto logico, il frivolo dio dell’inganno, Aquaman ne ha uno invece secchione, decisamente più ligio al dovere di lui. E in tutto questo Jason Momoa, letteralmente, ci sguazza.