Apocalypse Now! usciva 40 anni fa in Italia il film impossibile che uccise Francis Ford Coppola

Un film superiore alla volontà di tutti i coinvolti, partito in una maniera, finito in tutt'altra. Apocalypse Now! è il risultato del suo tempo, delle avversità e del genio collettivo

Critico e giornalista cinematografico


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Capita molto spesso che un film sia irripetibile. Cioè che anche qualora si ricominciasse da capo la lavorazione il giorno dopo averla finita non verrebbe uguale, non avrebbe la stessa forza, non sarebbe la stessa cosa. Per alcuni film è perché sono misteriosi, contengono in sé cioè soluzioni, idee e sensazioni sconosciute anche ai propri autori, frutto di una creatività di gruppo e del momento storico o personale in cui sono stati partoriti, altri sono frutto delle vicende assurde che hanno portato alla loro genesi, altri ancora sono semplicemente figli del loro tempo. Apocalypse Now! racchiude in sé tutte queste condizioni irripetibili e in più è il frutto di una creatività di gruppo pazzesca che incrocia Vittorio Storaro, John Milius, Marlon Brando e Francis Ford Coppola all’apice del suo decennio creativo.

La storia di Apocalypse Now! è quella della seconda produzione cinematografica più travagliata di sempre (la prima è quella di Fitzcarraldo che ha visto ben di peggio e con molti meno soldi), un inferno raccontato in un documentario e un libro intitolati Viaggio all’inferno da Eleanor Coppola, moglie di Francis. Ed è impossibile prescindere da questo nel parlare del film perché tutto ciò ha influito nella realizzazione e nella piega che ha preso il film.
Gli aneddoti sono infiniti, le tragedie molteplici e la cosa migliore è vedere il documentario o leggere il libro. Un infarto a Martin Sheen in mezzo alla lavorazione, un finale mai scritto e cercato per 5-6 mesi in cui tutta la troupe, Brando incluso, era bloccata in Cambogia, il patrimonio di Coppola quasi sfumato, una famiglia in pezzi, l’arrivo ad un certo punto di Dennis Hopper con la droga, la crew di Storaro che si faceva mandare pacchi di pasta e sughi con le casse paracadutate. C’è tutto.

Eravamo troppo giovani con una disponibilità di soldi troppo ampia e troppa droga” è la parafrasi corretta di come Coppola descrisse i problemi del film. Il risultato doveva essere un disastro e come tale era atteso al Festival di Cannes, un film che tutti sapevano avere un’infinità di problemi, che tutti sapevano avere un finale raffazzonato trovato all’ultimo secondo e che tutti avevano bollato come il delirio di onnipotenza di un uomo che voleva diventare più grande di Hollywood. L’assurdità è che invece Apocalypse Now! è quell’1% di lavorazioni da incubo che partorisce un capolavoro, uno dei film migliori di sempre, uscito originariamente tagliato per il terrore di Coppola che fosse un fallimento e gli distruggesse la vita (o quel che ne rimaneva) poi rimesso a posto nella versione Redux del 2001 (poi di nuovo tagliato l’anno scorso nel final cut).
Nessuno mai aveva raccontato la follia della guerra con questa chiarezza e questa capacità di generare immagini potentissime, evocative, psichedeliche eppure terribilmente classiche. Apocalypse Now! ha segnato un modo di fare cinema, ha creato luoghi comuni del cinema di guerra ritagliandosi una zona tra il grottesco e il tragico che è solo sua e prima nessuno aveva mai esperito.

Usare Cuore di Tenebra come base e poi costruirci sopra un viaggio nella follia, in cui ogni stazione in cui Willard si ferma o è costretto a fermarsi mostra un livello superiore di follia, è il cuore del segreto del film. Una progressione che di stazione in stazione porta dritti nel centro dell’inferno “Il fiume mi appare come un cavo che porta dritto dentro Kurtz”. Road movie da fiume pieno di violenza e desiderio sessuale, sulle cui sponde ci sono continue invenzioni. Il plotone senza comandante che ripete sempre le stesse azioni, abbatte un ponte che poi viene ricostruito è incredibile, ed è un filo più folle dell’incontro con le conigliette, a sua volta un passo più in là verso la pazzia del colonnello Kilgore di Robert Duvall, quello che che tutti sapevano non si sarebbe mai fatto niente e rimane in piedi mentre ci sono i bombardamenti.

Volevo fare un film per tutta la famiglia, divertente, una cosa come I Cannoni di Navarone” dice Coppola torso nudo in una delle mille interviste che gli fece la migliore nel suo documentario. Originariamente lo avrebbe dovuto solo produrre, la sceneggiatura era stata scritta per Lucas, poi finì per farlo lui stesso. Voleva un film di grande incasso e non sapendo nemmeno come, stava finendo in un’opera sperimentale, serissima e molto dura, di certo non divertente. Apocalypse Now! inizia corretto, prendendo di petto il proprio genere di riferimento e il proprio tema, ma lentamente va alla deriva, in un altrove irraggiungibile con la logica. Sarebbe molto ruffiano dire che quel film aveva una sua vita, ma è obiettivo sostenere che la piega che aveva preso non era in controllo di nessuno. I set elaborati, le dimensioni della ricostruzione e la follia del titanismo (Coppola girava sul set con un elicottero privato), tutto ha contribuito a gonfiare un copione già fenomenale di suo, aggiungendo ogni volta qualcosa di importante.

Anche l’infausto arrivo di Dennis Hopper, quando tutto già buttava male, fornitissimo di droga, che si riflette nelle scene deliranti del suo fotografo e dei suoi dialoghi con Willard, potevano essere un disastro, un dettaglio risibile e ridicolo, invece in quel grandissimo flusso e viaggio nella pazzia che è il film ha perfettamente senso. Il dialogo stralunato (“Non puoi andare sulla luna con le frazioni. Che fai? Atterri su ⅝?”) fa da specchio a quello più ponderato (ma sottilmente folle) con Kurtz. Marlon Brando che era arrivato grasso quando in realtà aveva promesso di dimagrire (il personaggio, come in Cuore di Tenebra, doveva spaventare perché magro e terribile) era prigioniero di Coppola, ogni giorno girava dialoghi inventati da se stesso sul momento, improvvisava fino a che ne aveva e poi si alzava e se ne andava.

Dopo mesi e mesi aggiunti alle riprese una sera la visione di un rito tribale in cui viene squartato un toro diede a Coppola l’idea per il finale. Così perfetto perché impensabile a freddo, così semplice eppure terribile. Ma era davvero un pretesto. Una ragione per finire quell’incubo. In realtà Apocalypse Now! vive dell’incredibile indecisione che lo anima, di un inizio con paletti molto chiari (Kurtz è il male della guerra, l’ufficiale impazzito che sevizia e uccide, Willard il giustiziere che deve attraversare l’inferno per fermarlo) e finisce nella terra di nessuno con una totale confusione tra personaggi morali e non, chi sostenga le ragioni più sensate e cosa vada fatto davvero. Willard inizia come un eroe tragico, ubriaco (le scene di ubriachezza sono state girate con Martin Sheen davvero ubriaco, un’assurdità) ma pronto a redimersi e finisce come un villain contaminato nell’orrore che esce dall’acqua fangosa solo fino al naso. Grandezza e follia si mischiano nel film come nella storia, desiderio di dominio e manie di grandezza anche.

Dopo quel film così grande da mandare al manicomio chiunque il Coppola degli anni ‘70 è morto. La sua carriera artistica è andata solo in picchiata. Ha girato buoni film (Rusty, Il Selvaggio, Peggy Sue Si È Sposata) ma niente in confronto a quel che aveva girato fino a quel momento. Niente con quell’ambizione artistica e quell’audacia formale. Nel fare Apocalypse Now! ha annullato se stesso, chiuso i conti con i sogni giovanili e scrutato troppo a fondo nel nero della propria anima. La sua rimane una parabola che mette paura, quella di un regista che anche nel successo riesce ad autodistruggersi, anche girando uno dei migliori film di sempre riesce a porre fine alla propria carriera.

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